Alle Assise criminali un'accusa di violenza carnale in un appartamento del Luganese. L'accusa chiede 34 mesi, la difesa il proscioglimento
Ha affrontato «una dimensione tanto intima quanto sottile» che ha visto protagoniste «due persone provenienti da mondi distanti» il processo indiziario che si è svolto oggi, martedì 16 luglio, davanti alla Corte delle assise criminali. Alla sbarra è comparso un cittadino afgano, oggi 26enne, al beneficio di un permesso F (richiedente l'asilo in ammissione provvisoria) accusato di violenza carnale nei confronti della donna che stava frequentando nel maggio del 2018. La procuratrice pubblica Anna Fumagalli ha chiesto una condanna a 34 mesi di detenzione (senza opporsi a una sospensione parziale della pena) e 5 anni di espulsione dalla Svizzera. L'avvocato David Simoni si è invece battuto per il proscioglimento del 26enne. La Corte presieduta dal giudice Mauro Ermani (a latere Renata Loss Campana e Aurelio Facchi) comunicherà la sentenza per iscritto alle parti nei prossimi giorni.
I fatti si sono svolti nell'appartamento del Luganese dell'imputato. Quella sera i due, che si stavano frequentando da qualche settimana, si sono incontrati per mangiare una pizza da asporto in compagnia di altre persone (che però non si sono viste). Dopo due rifiuti, il rapporto si è consumato. «Eravamo d'accordo», sono state le parole pronunciate a più riprese dall'imputato sollecitato dalle domande del giudice. Il giorno dopo la ragazza si è recata all'ospedale e ha sporto denuncia. La Corte («non mi esprimo sulle mancate misure a tutela dell'inchiesta», sono state le parole del giudice) ha avuto non poche difficoltà a ricostruire quanto accaduto quella sera: le parole pronunciate più di frequente dall'imputato sono infatti state «non ricordo». L'uomo, che al momento dei fatti stava osservando il Ramadan, ha per esempio dichiarato di non ricordare come ha conosciuto la ragazza, come è avvenuto il rapporto, se la donna abbia o meno provato dolore e come i due si siano ritrovati insieme in polizia qualche giorno dopo. Stando all'atto d'accusa, la donna ha rifiutato il rapporto sessuale in quanto vergine e, al momento dei fatti, testimone di Geova, religione che non consente di avere rapporti prima del matrimonio. L'insistenza dell'imputato, che ha anche chiuso a chiave la porta dell'appartamento, ha “pietrificato la donna dalla paura e dal panico”.
Quella sera, ha ricordato Fumagalli, l'imputato ha cercato tre volte l'approccio, ottenendo due rifiuti. «Ma non si è fermato, anzi ha esortato la vittima a concedersi con fare infastidito, bloccando ogni sua ribellione e facendola cadere nel silenzio». Il giorno successivo i due si sono scambiati dei messaggi. «Messaggi chiari – ha aggiunto la pp –. Lei afferma di non aver voluto il rapporto mentre lui si scusa ripetutamente, ammettendo che la colpa è sua e che se avesse potuto tornare indietro non lo avrebbe fatto». Un comportamento che per l'accusa denota «premeditazione, con il solo intento di approfittare del corpo di una ragazza con evidenti fragilità. Il suo rincrescimento è limitato alla propria condizione personale». Quello avvenuto nel maggio di sei anni fa «è stato il primo e ultimo rapporto tra i due. Dopo i necessari accertamenti medici sulle possibili infezioni, i contatti tra le parti si sono bruscamente interrotti». La versione della vittima è «lineare e costante nel tempo». L'imputato, ha concluso Fumagalli, «ha una colpa grave: ha leso la libertà sessuale di una persona particolarmente fragile per dare sfogo ai propri impulsi. Dopo i fatti ha dimostrato freddezza e manipolazione. È una persona totalmente incurante del prossimo, priva di empatia e senza pentimento». Il 26enne è arrivato in Svizzera nel 2015, a seguito di una relazione sessuale nel suo Paese d'origine che, a mente dei parenti della donna, «altro non era che uno stupro». Un racconto che «non è stato ritenuto credibile, per cui la sua domanda d'asilo è stata rifiutata ed è stato ammesso in Svizzera a titolo provvisorio».
L'avvocato Camilla Cimiotti, legale della vittima che si è costituita accusatrice privata, ha presentato una richiesta di torto morale di 15mila franchi. «Ci troviamo a esaminare fatti di oltre sei anni fa e con due versioni: quella dell'imputato, che sfacciatamente oggi ha dichiarato di non ricordare, e quella dell'accusatrice privata che al contrario quella sera non la potrà mai scordare, perché qualcosa è cambiato per sempre. Se i fatti avessero una ricostruzione diversa, lui non si sarebbe mai scusato».
Respingendo «integralmente» l'atto d'accusa, l'avvocato David Simoni ha sviluppato la sua arringa su «otto momenti chiave, che dimostrano che la presunta vittima non è lineare». Per Simoni «ci sono comportamenti umani che creano rabbia e indignazione. Ma già dal primo interrogatorio è emerso che forse le cose non stanno come sembrano. Si viene a sapere che i due si frequentano sentimentalmente e dopo diversi incontri esterni, si incontrano a casa di lui, la ragazza non pensa a una denuncia immediata ma il giorno seguente esortata dai familiari, mentre dalle conversazioni emerge che la ragazza ha stuzzicato con provocazioni esplicite». A questo si aggiunge il fatto che «si è presentata in polizia con lo stesso ragazzo che ha denunciato e ammettendo di amarlo ancora, smettendo così di essere vittima anche agli occhi degli inquirenti. Motivo per cui non è stato arrestato: un'implicita ammissione che a fare difetto erano i seri indizi di colpevolezza». Quanto avvenuto è stato «un atto sessuale tra due persone adulte e consapevoli, pur non escludendo che la vittima possa aver avuto in seguito dei ripensamenti». Per l'uomo sono stati chiesti anche il pagamento delle spese di patrocinio e un'indennità per torto morale.