L’ennesimo tentativo di truffa ai danni di una coppia di pensionati della Vallemaggia, che non si è fatta abbindolare dal lauto guadagno prospettato
Un (forse) parente lontano deceduto in una tragedia, una somma consistente di denaro (si parla di milioni) bloccata in una cassetta di sicurezza e la richiesta di collaborazione per sbloccare tale importo e riceverne in cambio una parte, almeno il 50 per cento.
È la tanto allettante quanto inverosimile proposta ricevuta da una coppia di pensionati della Vallemaggia, attraverso una serie di lettere recapitate presso il proprio domicilio e provenienti dalla Francia (come certificato dal bollo postale) ma i cui mittenti sarebbero dei fantomatici avvocati spagnoli, più precisamente di Madrid. O meglio, gli studi legali esistono davvero, proprio nella capitale iberica, ma come abbiamo potuto appurare, i numeri di telefono indicati sulle missive – e gli indirizzi email, che come balza subito all’occhio hanno i nomi “storpiati” e finiscono in un troppo classico, per dei legali, @gmail.com – non corrispondono a essi. Così come, naturalmente, anche gli avvocati che sarebbero i mittenti delle lettere e che effettivamente lavorano per tali uffici, da noi contattati affermano di non sapere nulla di tale storia.
Una storia va detto per quanto poco credibile, piuttosto strutturata e presentata in maniera furba dagli autori di quella che è solo un’altra delle svariate truffe perpetrate ai danni di anziani (soprattutto), che però in questo caso non hanno fortunatamente abboccato all’amo.
Nella prima lettera, arrivata in Vallemaggia lo scorso giugno, lo pseudo-avvocato spiega di aver “ottenuto le vostre informazioni di contatto dai registri pubblici svizzeri mentre cercavo un cognome simile a quello del mio defunto cliente, un magnate degli affari di nome Pinco Pallino (nome noto alla redazione, con il cognome corrispondente a quello dei destinatari della missiva, ndr), che ha vissuto in Spagna per oltre un decennio prima della sua morte. È morto insieme alla sua famiglia durante il disastro naturale di Tohoku, avvenuto nel marzo 2011 durante la loro breve vacanza in Giappone”. Il riferimento è al terremoto che effettivamente devastò le coste giapponesi e provocò l’incidente nucleare di Fukushima.
La lettera parla poi delle “circostanze e dell’urgenza che circondano questa richiesta: prima della catastrofe, ha depositato un baule/tesoro, contenente la somma di 15,4 milioni di dollari presso una società di sicurezza qui in Spagna. In qualità di avvocato del defunto Pinco Pallino, la società di sicurezza mi ha incaricato di presentare un membro della sua famiglia (erede) per avanzare una richiesta di risarcimento, altrimenti il contenuto del caveau sarà confiscato e portato all’Ufficio di sicurezza diplomatica come non reclamato. Dopo sforzi esaustivi e la ricerca di un membro diretto della famiglia del mio defunto cliente, senza alcun risultato, all’inizio di quest’anno mi è stata data l’ultima opzione di presentare un parente anche lontano per la richiesta di risarcimento”.
Ed ecco la proposta: “A fronte di queste condizioni, vi propongo di candidarvi come parente prossimo, so che potreste non essere parenti del mio defunto cliente, ma avendo un cognome comune con lui e le modalità che ho messo in atto, posso garantirvi che se seguirete le mie istruzioni la cassaforte vi sarà rilasciata”. A quel punto, “divideremo il contenuto nella proporzione del 50% per ciascuno”. Naturalmente viene sottolineato come “non c’è alcun rischio legato a questa attività, poiché ho elaborato tutte le modalità per portare a termine l’operazione in modo efficace”, ma allo stesso tempo “non abbiamo bisogno di fare pubblicità indebita in quanto ciò potrebbe ostacolare il processo. La discrezione deve essere mantenuta”.
Alla prima lettera ne è seguita, a fine agosto, una seconda contenente la medesima storiella e le stesse richieste, anche se il nome del presunto parente risultava diverso e soprattutto differente era il mittente, sempre un avvocato spagnolo ma con altre generalità, altro studio notarile e nuovi recapiti. Verificata l’inesistenza di un legame tra questi ultimi e le lettere, abbiamo quindi provato a contattare gli autori delle missive. Se nel primo caso dopo una fugace risposta l’interlocutore ha appeso e non si è più fatto trovare, nel secondo siamo invece riusciti a stabilire un contatto con un uomo che a dire il vero di spagnolo aveva ben poco, con l’accento che esprimendosi in inglese suonava decisamente più da Europa dell’Est.
A quel punto la comunicazione si è spostata anche via email, dove il nostro interlocutore ha ribadito la “pressione” dell’istituto bancario affinché venisse trovato al più presto un possibile beneficiario della somma depositata e ha ammesso che non gli importava di trovare un vero parente, ma che bastava qualcuno con lo stesso cognome. Dopo l’ennesima rassicurazione (“è tutto legale”), una bella ‘captatio benevolentiae’ (“solo una mente aperta e matura può comprendere quello che sto dicendo e sono sicuro che tu ce l’hai”), la reiterata richiesta di non fare “pubblicità non necessaria” e la promessa di chiudere l’operazione in tre settimane seguendo le indicazioni, gli scambi di email e telefonate sono proseguite a ritmo giornaliero, fino alla richiesta dell’invio di un documento, di una fattura (possibilmente con le coordinate bancarie) e del pagamento di 10mila franchi per le spese procedurali necessarie a “sbloccare” l’eredità. In fondo, che saranno mai dieci biglietti da mille, per ricevere 7 milioni…
Richieste alle quali evidentemente non abbiamo dato seguito, segnalando l’accaduto alla Polizia cantonale, che non è purtroppo nuova a doversi confrontare con raggiri del genere, anzi. La stessa Polcantonale sottolinea infatti come questo modus operandi (lettera di un sedicente studio legale, eredità da sbloccare) ricalchi, con una serie di varianti e sfumature, altri raggiri simili che in passato avevano interessato il nostro territorio. Questo, in sostanza, il meccanismo: attraverso l’iniziale invio di corrispondenza, sia in forma tradizionale (lettere o fax) sia elettronica (e-mail), viene preso contatto con le potenziali vittime prospettando vincite strabilianti o importanti guadagni destinati in realtà a mai arrivare. Il comune denominatore è determinato dal fatto che prima di poter incassare, bisogna versare una somma sotto forma di anticipo o fornire informazioni riservate, come numeri dei conti bancari e altri dati personali. Operazioni queste ultime evidentemente da non compiere, con la stessa Polizia cantonale che invita a “una sana prudenza nei confronti di questo genere di invii, a cui non bisogna dare alcun seguito”.