Quello che traspare dall’ingarbugliata situazione politica francese è, innanzitutto, da ascrivere all’azzardo di Macron di indire elezioni anticipate
Il 7 luglio scorso, dopo la spettacolare “remontada” del Nouveau Front Populaire al secondo turno delle legislative francesi, sembrava pacifico che il presidente Macron affidasse a un esponente di quel movimento l’incarico di formare il nuovo governo. D’altronde, all’alleanza di sinistra era riuscita l’impresa di battere il Rassemblement National del duo Le Pen-Bardella, nettamente in testa dopo il primo turno. Così, a due mesi dal voto, la sinistra unita ha presentato il proprio candidato, o per meglio dire la propria candidata, l’economista 37enne Lucie Castets, per succedere al premier dimissionario, il macroniano Gabriel Attal. Il presidente l’ha ricevuta all’Eliseo e, tuttavia, l’ha scartata, preferendole il 73enne Michel Barnier, il quale non ha nulla di sinistra, essendo esponente del partito della destra moderata Les Republicains. Un partito che, oltretutto, prima delle elezioni anticipate sarebbe stato sul punto di allearsi con il Rassemblement National.
C’è da chiedersi, a questo punto, perché Macron abbia deciso di dare l’incarico di formare il nuovo governo a Barnier, denominato in modo sprezzante dalla sinistra, ma anche da una parte della stampa, un “dinosauro”. Una nomina, la sua, che sabato 7 settembre è stata contestata in tutta la Francia da decine di migliaia di manifestanti appartenenti alla sinistra.
Quello che traspare dall’ingarbugliata situazione politica francese è, innanzitutto, da ascrivere all’azzardo di Macron di indire elezioni anticipate dopo la vittoria dell’estrema destra alle europee. Anche il Nouveau Front Populaire ci ha comunque messo del suo, litigando al proprio interno sul nome del candidato da proporre a Matignon. Fatto sta che il “dinosauro” Barnier alla fine ce l’ha fatta, con una coalizione talmente frastagliata da ricordare certe maggioranze della cosiddetta prima repubblica italiana. All’Eliseo si è presentato giovedì 19 settembre con una lista di 38 ministri, metà uomini e metà donne, in rappresentanza di sette partiti e partitini. La fetta più consistente se la sono aggiudicata i macroniani con i quali, in settimana, il nuovo premier ha già avuto un aspro contrasto. Visto lo stato disastroso dei conti francesi Barnier vorrebbe aumentare le imposte, il che ha fatto montare la mosca al naso al suo predecessore Gabriel Attal. Il 35enne Attal gli avrebbe strappato la promessa che non verranno accresciute le tasse dei “francesi che lavorano”.
Ciò detto, Barnier possiede il giusto senso dello Stato per accettare di farsi sacrificare in un momento politicamente così complicato. A parlare per lui c’è il suo ruolo di negoziatore europeo con il Regno Unito, sulla Brexit. Un impegno che lo assorbì dal 2016 al 2020 e che gli valse, tra le altre cose, un elogio del capofila dei “brexiters” Nigel Farage. Il quale, una volta concluso l’accordo con Bruxelles, affermò che avrebbe ingaggiato volentieri una personalità del calibro di quel francese alto dal portamento elegante. Dopo aver portato a termine l’estenuante trattativa con Londra, a Barnier venne pronosticato un riconoscimento in patria. Di fatto è stato nominato primo ministro, ma il terreno su cui dovrà muoversi è talmente scivoloso da mettere a repentaglio la sua reputazione. Male che gli vada, vien da dire che può sempre rivolgersi a Farage.