Caterina Valente nei ricordi luganesi di Fabio Concato: ‘Donna intelligente, empatica, umile. Credo che talenti come lei non ne nasceranno per un po’’
«Un gigante, non solo artisticamente, per tutto quello che ha prodotto in vita. Ha cantato nel mondo intero». Gigante al femminile. Da qualche parte nella nostra mente stava il racconto di un’amicizia tra Fabio Concato, da lui raccontataci, e Caterina Valente, una storia di viaggi oltreconfine, filmati d’archivio, musica condivisa e stima reciproca. Ci infiliamo nel primo momento libero del cantautore milanese, che da qui al 2025 ha più concerti di Dua Lipa, per chiedere conferma di quel ricordo a una settimana dalla dipartita della cantante, chitarrista, ballerina italo-francese con ampi sprazzi di vita luganese. «Oltre che intelligentissima, Caterina era una donna simpatica, umile, empatica, socievole, buona con me personalmente, una specie di mamma», ci dice Fabio, tornando alle origini di quell’amicizia.
«Mi fu presentata da Franco Bertagnini, suo vicino di casa. Prima ci siamo conosciuti telefonicamente, poi sono riuscito a conoscerla di persona. Quel giorno ero emozionato, naturalmente, perché nonostante la sua semplicità, lei era Caterina Valente, con la sua storia e il suo talento clamoroso. Cantava come una dea, suonava in modo altrettanto divino la chitarra, e lo ha fatto sino a 8-9 anni fa. Sapeva ascoltare le mie tristezze, le mie malinconie, ed era sempre realisticamente positiva nel rispondere, nel consigliarmi».
C’è una canzone che lega Concato a Caterina Valente. L’ha scritta Fabio e s’intitola ‘Gigi’, dichiarazione d’amore per il jazz e per un padre che non c’è più. Un padre che nel 1990, per l’album ‘Giannutri’, gli chiamò quei versi e quegli “accordi complicati” che ha il Sudamerica, con i quali, citando la canzone, titoliamo questo articolo. Caterina ha voluto inserirla nel suo ultimo album d’inediti ‘Girltalk’, disco del Duemila nel quale, in coda a tutto, l’artista aveva messo ‘Papa n’as pas voulu’, la prima canzone da lei cantata sopra un palco, debitamente rivisitata. «Incidere ‘Gigi’ è stato un bel gesto da parte sua, e dovevamo ancora conoscerci», ricorda Fabio. L’arpa della polistrumentista francese Catherine Michel, con cui Valente firma quel disco, s’inserisce come ingrediente inedito nell’esplosione bossa che chiude il brano.
Segno distintivo la bossanova, che accompagna tanto l’autore della canzone quanto l’interprete: «Lei suonava in un modo che davvero è difficile spiegare, credo che Jobim fosse rapito dal suo stile. Tanti meriti nella sua formazione musicale li ha avuti il fratello Silvio. Ecco, quando Caterina parlava di uomini che aveva amato tanto nella sua vita, il fratello era sempre il primo della lista. Le ha insegnato a muoversi, a danzare, a suonare la chitarra, le ha fatto da ‘superpadre’ e ‘supermanager’. Forse è stato davvero l’uomo più importante della sua vita».
Altre istantanee da un’amicizia. «Quando andavo a trovarla, certo, si parlava un poco di noi, io però non resistevo e le chiedevo di vedere insieme cose sue televisive, tonnellate di Vhs con cose che mai avrei pensato di vedere, lei che si esibiva con artisti di prim’ordine e di mezzo mondo, non solo Dean Martin e Jobim. Non ha mai avuto preclusioni, è sempre stata aperta a ogni esperienza musicale, di qualsiasi genere, e anche di questo le va dato atto». Chiediamo a Fabio di scegliere un’esecuzione, o un’esibizione di Caterina Valente che meriti un’area protetta, un sigillo dell’Unesco, ma «ci sono troppe cose magnifiche. Certamente, non ‘Bongo Cha Cha Cha’». È con quel brano del 1959 che con molti mezzi di informazione hanno ‘liquidato’ la commemorazione, merito o colpa di un remix che nel 2021, rilanciato da tiktoker e influencer, aveva conferito nuova popolarità alla canzone e alla sua interprete, peraltro non felicissima del non essere stata interpellata.
«In Italia è stata quasi dimenticata – sottolinea Fabio – e non si capisce perché. So che la Rai non le riservava più l’attenzione dovuta, ma non era un problema di Caterina, che un po’ è stata ‘bandita’ dalla tv di Stato e un po’ quella tv non le interessava più. Credo che abbia sofferto, in Italia ha lavorato a lungo, in show che portavano il suo nome, cosa riuscita a lei e forse a Mina soltanto». Mina, un’altra luganese, colei che «ha continuato a chiamarla ‘Maestra’ sino a che Caterina non se n’è andata, una dichiarazione di umiltà».
Un ultimo pensiero concatiano: «Credo che come Caterina Valente non ne nasceranno per un po’, o almeno di talenti di quel livello, oggi non ce n’è. Già trovare qualcuno che si accompagna con lo strumento… Premesso che ci sono alcuni che hanno scritto cose importantissime senza sapere una nota, l’accompagnarsi con uno strumento dovrebbe essere una regola, un abecedario».