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‘Licenziata dopo aver adottato due bambini, non succeda mai più’

Parificare le mamme adottive a quelle biologiche nella protezione per le prime 16 settimane, ne discuterà il Gran Consiglio. La testimonianza

In sintesi:
  • ‘Sono stata licenziata, perché siccome da quel momento avevo dei figli, siccome ero una mamma, secondo loro non potevo più lavorare come prima’
  • Isabella (Centro): ‘Questa iniziativa cantonale non porta né maggiori costi ai datori di lavoro, né allo Stato, né davvero a nessuno’
La discussione è aperta
(Keystone)
16 settembre 2024
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«Ero felice, coi miei due bimbi appena arrivati qui a casa in Ticino dalla Thailandia, finalmente ero una mamma con un bellissimo percorso di famiglia, amore e conoscenza davanti. Poi suona il telefono, rispondo, è la direttrice del personale della ditta dove lavoravo: e mi informa che sono stata licenziata, perché siccome da quel momento avevo dei figli, siccome ero una mamma, secondo loro non potevo più lavorare come prima». Ed è così che Martina (nome noto alla redazione) passa «dalla gioia più assoluta al sentirsi crollare il mondo addosso». Con un licenziamento che un’iniziativa cantonale del Centro (presentata da Giorgio Fonio, Maurizio Agustoni e Fiorenzo Dadò), che verrà dibattuta nella sessione di Gran Consiglio che si inaugura oggi, vuole vietare nelle prime 16 settimane dall’adozione parificando le mamme adottive alle mamme biologiche, che hanno questa protezione dal momento del parto.

Era l’agosto del 2019. Pochi mesi prima, ad aprile, a Martina e al marito arriva la telefonata da parte dell’associazione cui si erano rivolti per coronare il loro sogno e desiderio di allargare la famiglia e nel giro di un mese sarebbero partiti per la Thailandia, per conoscere i due fratellini di due e tre anni che presto sarebbero diventati i loro figli. «Eravamo felicissimi», ricorda Martina. Aggiungendo anche come «la stessa persona che mi ha licenziata al telefono, era al corrente di tutto». Già, perché «il percorso di adozione non è semplice, ed è iniziato tre anni prima. E quindi nel 2016 ho informato l’azienda dove lavoravo e ho chiesto loro tutti i documenti che mi servivano». Reazioni? «Nessuna, molta disponibilità e ci hanno detto di non preoccuparci di niente».

Si torna al 2019, quando il primo campanello d’allarme suona forte. Perché prima di partire per la Thailandia, Martina va nell’ufficio del personale della sua ditta e informa che sarebbe dovuta partire per un mese chiedendo il congedo maternità che le spettava. La risposta? «Mi ha detto che non erano figli miei, perché chiedevo un congedo? Io le ho replicato che il Ticino lo prevede anche per i bambini adottivi e lei ne ha preso atto, mi ha detto di partire, che se era così allora andava bene».

Ma era solo l’inizio. Perché Martina, in quella ditta, non ha più potuto lavorare. Appena passati i tre mesi di congedo, licenziata in tronco, e al telefono, coi suoi bimbi appena arrivati in casa. «Può immaginare come sono rimasta... ho chiesto il perché di questa decisione, e la risposta è stata che dal momento che ora ero una mamma non avrei garantito il lavoro di prima. Pensi che ero in quella azienda da 25 anni...». E non era così, proprio per niente: «Ma no! Mi stavo organizzando, ero anche felice di poter tornare a lavorare perché ci tenevo al mio posto di lavoro, mi consideravo una di famiglia, era il mio mondo. Mi hanno negato la possibilità di lavorare, senza nemmeno riconoscermi i miei diritti. L’ultima ruota del carro, e per niente rispettata».

Perché Martina ha una certezza ferrea e giustificata: «Io sono una mamma. Un giorno ho trovato un libro per bambini che parla di questo tema, e definisce le mamme biologiche come mamme di pancia, e le mamme adottive come mamme di cuore. Certo, non li ho cresciuti dentro di me. Non ho partorito. Mi è mancata l’immediata conoscenza, con il legame che si forma subito». Ma i suoi bimbi «in Thailandia erano divisi per età, assieme a un’altra decina di ragazzini, in un istituto. Sono arrivati qui ed erano con due estranei, che gli volevano già un mondo di bene ma erano estranei. Il primo mese siamo stati quasi in isolamento, per far capire loro che potevano fidarsi, che stava cominciando qualcosa di bello e dolce. Ora, quando mi chiamano mamma e mi abbracciano mi esplode ancora e sempre il cuore dalla felicità». Quindi certo, è così: «Non deve essere fatta alcuna competizione né alcun paragone, sia chiaro. Penso solo che quello che è spontaneo con una mamma biologica, con una mamma adottiva deve essere guadagnato attraverso la fiducia, l’amore e soprattutto il tempo. Chi non ha vissuto un’esperienza simile non sa di cosa parla, certe situazioni vanno vissute. Perché io mamma adottiva non posso coniugare carriera e famiglia? Cosa ho di diverso dalle altre mamme? Niente».

Adesso Martina si è ricostruita quella vita che le aveva fatto tremare la terra sotto i piedi nel momento di massima gioia: «Ho seguito una formazione, adesso faccio un lavoro che fa sorridere e porta sollievo a tante persone. Basta organizzarsi. Ma deve essere la famiglia, la mamma a decidere come. Non un datore di lavoro che licenzia chi pensa non possa servire più semplicemente perché ha dei figli».

LA POLITICA

Isabella: ‘È importante e non costa niente’

Il rapporto commissionale di Amalia Mirante (Avanti con Ticino&Lavoro), favorevole all’iniziativa, di firme non ne ha molte. Ha quella della relatrice, chiaramente. Quelle del Centro, ci mancherebbe. Roberta Passardi unica del Plr, mentre Danilo Forini per il Ps e Marco Noi per i Verdi lo hanno firmato ma con riserva. Detta breve: il tutto rischia di naufragare in aula. Ed è questo il pericolo che vede il deputato del Centro Claudio Isabella, che conferma come «in commissione abbiamo visto che si cercava qualsivoglia motivo per non dire sì a questa iniziativa cantonale che d’accordo non riguarda moltissime persone, i casi in Ticino sono meno di una decina l’anno, ma per queste persone è un argomento importantissimo».

Isabella, ripensando ai lavori commissionali, stigmatizza un po’ le motivazioni addotte per non appoggiare la proposta di protezione dal licenziamento per 16 settimane delle neomamme adottive: «Si è detto di tutto – conferma il granconsigliere del Centro –. C’è chi dice no o vorrebbe dire no perché si parla solo di madri e non di adozioni da parte di coppie omosessuali, c’è chi dice che non serve a nulla perché a Berna le iniziative cantonali ticinesi non passano mai, c’è anche chi afferma che le mamme adottive sono diverse da quelle biologiche perché non hanno problemi fisici dovuti al parto e quindi non c’è la motivazione...».

Invece, riprende Isabella, che è anche sindacalista Ocst, «questa protezione dal licenziamento è importante perché, purtroppo, anche per chi adotta le prime settimane portano situazioni particolari e difficili, che non permettono alla lavoratrice di essere completamente a disposizione del datore di lavoro e di essere maggiormente flessibile». Nel senso che «evidentemente bisogna passare del tempo con il bambino, ci sono assenze magari maggiori nelle prime settimane, appunto per star vicino al neoarrivato». L’idea, spiega ancora Isabella, «è proteggere queste persone e il loro posto di lavoro. Non diciamo che debbano essere pagate ore non lavorate, ma solo difendere il lavoro di chi sceglie di adottare un bambino». Persone che «spesso fanno parte di una coppia che non può avere figli biologici, che hanno già passato momenti dolorosi, che decidono di affrontare comunque un percorso lungo e complicato». In più, «questa iniziativa cantonale non porta né maggiori costi ai datori di lavoro, né allo Stato, né davvero a nessuno. Chiede una semplice parificazione».

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