laR+ IL COMMENTO

Il colpo di Stato permanente

Dal pamphlet ‘Le coup d'Etat permanent’ di François Mitterand (che però da presidente vi si adattò) al presidenzialismo autoritario di Emmanuel Macron

In sintesi:
  • Con intelligenza, arguzia e cinismo Mitterand fu un perfetto ‘monarca della Repubblica’ 
  • Oggi Macron ha infilato la Francia in una rapidissima successione di tappe forzate
  • Manovre e tatticismi del presidente hanno sì bloccato l'ex Front National, ma non piacciono alla maggioranza dei francesi
Il presidente francese Emmanuel Macron
(Keystone)
2 settembre 2024
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“Le Coup d’Etat permanent” fu scritto da Mitterrand nel maggio 1962, quando nulla indicava che egli, tanto più con un passato politico non limpidissimo durante le travagliate vicissitudini della Francia occupata dai nazisti, un giorno avrebbe ambito alla più alta carica della Repubblica. Era un atto d’accusa, quel pamphlet, contro la Quinta Repubblica, che de Gaulle aveva appena chiesto (e ottenuto) dai francesi per garantire forza e stabilità alle istituzioni del paese. Il titolo non poteva lasciare dubbi: per Mitterrand si era trattato di un putsch politico di cui l’eroe della liberazione avrebbe approfittato, godendo di un ampio potere personale.

Diventato vent’anni dopo capo dell’Eliseo, Mitterrand si adattò perfettamente al “colpo di Stato permanente”, che a suo tempo aveva sbertucciato: anzi con intelligenza, astuzia e cinismo fu un perfetto ‘monarca della Repubblica’. Inevitabile ripensarci mentre la Francia è alle prese con la crisi del presidenzialismo che vede protagonista Emmanuel Macron. Il quale, della carica conquistata a due riprese, sta facendo un uso da molti criticato come autoritario e anti-democratico. Sconfitto insieme al suo movimento centrista alle elezioni europee, ha infilato la nazione in una rapidissima successione di tappe forzate, soprattutto nel tentativo di bloccare la strada all’estrema destra di Marine Le Pen. Ha convocato elezioni parlamentari in sole tre settimane, chiesto ai francesi (che in sostanza lo avevano bocciato nelle urne) di assumersi la responsabilità di opporsi agli estremisti, dunque incoraggiato il formarsi (obiettivamente inatteso) di un Nuovo Fronte Popolare di una sinistra estremamente variegata. Ottenendo alla fine una sorta di regalo avvelenato.

L’ex Front National è stato sì sconfitto, ma le urne hanno premiato innanzitutto la gauche, seguita da un fronte moderato (centristi e neo-gollisti), relegando al terzo posto l’estrema destra. Il che ha creato una situazione politica inedita negli ultimi 60 anni: non più il presidente, bensì il parlamento avrebbe dovuto cercare una nuova maggioranza, fatica a cui l’Assemblea non era affatto abituata. Maggioranza, soprattutto, che lo stesso presidente ha subito condizionato. L’autoritario Macron prima ha decretato una sorta di pausa olimpica, poi dettato una condizione come minimo controversa: la nuova maggioranza parlamentare avrebbe dovuto escludere non solo i parlamentari dell’iper-destra, ma anche il principale partito del fronte della sinistra, quello radicale degli “Insoumises” di J.L. Mélenchon, che per favorire un compromesso aveva comunque rinunciato a un proprio esponente al ruolo di primo ministro. L’obiettivo del capo dell’Eliseo è chiaro: frantumare la gauche, creare un fronte di sole forze moderate, continuare a guidare il paese fino alle prossime presidenziali. Sperando (non di più) di depotenziare l’estrema destra.

Manovra e tatticismi che la maggioranza dei francesi non capisce né apprezza. I sondaggi dicono che la maggioranza del paese preferirebbe a questo punto le dimissioni di Macron. Cos’altro attendersi? Nemmeno il “monarca repubblicano” può permettersi di ignorare così platealmente gli elettori. A de Gaulle bastò perdere un referendum, non elezioni politiche, per lasciare l’Eliseo.