‘Caso don Leo’, riflessi e riflessioni in un'altra confessione. La Chiesa Evangelica Riformata: ‘Noi avremmo agito diversamente’
Lo scandalo di questi giorni ha evidentemente toccato le sensibilità non soltanto cattoliche, ma anche quelle di altre confessioni. Fra esse, la Chiesa Evangelica Riformata in Ticino (Cert). Formata da tre Comunità regionali, impiega 7 pastori, alcune persone in amministrazione e conta varie migliaia di membri in tutto il Ticino, che la sostengono con contributi volontari. Anche la Cert svolge attività con i giovani. Lo fa, attraverso volontari e pastori/e, nella Scuola domenicale per i più piccoli, con storie bibliche e lavoretti durante il culto degli adulti, ma anche nel corso di preparazione alla Confermazione e nei Gruppi giovani, a volte auto-organizzati. Inoltre, in seno alla Cert viene proposto l’insegnamento religioso evangelico facoltativo nelle Scuole elementari, Medie e Medie superiori.
Proprio in occasione della sua ultima assemblea legislativa, la Cert ha deciso di adottare importanti misure atte a prevenire ogni tipo di abuso.
Pastore Stefano D’Archino, presidente della Chiesa Evangelica Riformata in Ticino, innanzitutto crede che il caso del presbitero cattolico sotto inchiesta avrà conseguenze anche per voi?
Purtroppo, visto che la gente vede le varie chiese, pur nelle loro differenze, sostanzialmente come un’unica cosa – anche per via delle collaborazioni ecumeniche che hanno – potrebbero in effetti esserci dei riflessi. Ricordo che a seguito di precedenti casi emersi in Svizzera c’era stato un significativo abbandono di membri anche nelle nostre chiese. Mi permetta di sottolineare che in ogni caso la testimonianza cristiana ne soffre.
Abusi nel clero: una piaga da cui continuano a suppurare nuovi o vecchi casi. Qual è la situazione nella vostra chiesa?
Nei nostri quasi cinquant’anni di storia (festeggeremo il riconoscimento come chiesa cantonale proprio nel 2025) non abbiamo avuto notizia di alcun caso di abuso. Comunque, non stiamo a guardare. Lo scorso Sinodo si è deciso all’unanimità di inserire negli statuti una linea chiara e inequivocabile contro ogni abuso, ed è stata incaricata una società esterna (movis.ch) per dare consulenza a chi eventualmente si senta vittima. Ciò è avvenuto dopo un anno e mezzo di processo democratico, iniziato proprio dopo le notizie di abusi nelle altre chiese, per incoraggiamento della nostra chiesa nazionale.
In concreto?
Alla modifica degli statuti ha fatto seguito la diffusione e l’accettazione di nuove linee guida per tutti i dipendenti e i responsabili. Nel prossimo autunno partiranno dei corsi di formazione specifici per gli insegnanti, gli impiegati e i volontari, finalizzati alla prevenzione di ogni tipo di abuso e per rafforzare la consapevolezza sul tema. Purtroppo, in passato nella società gli abusi sui minori venivano sottovalutati, mentre oggi c’è finalmente completa coscienza che si tratta di gravissime forme di violenza e di attacco all’integrità personale e ad una crescita equilibrata. La nostra chiesa vuole testimoniare che non ci deve essere la benché minima tolleranza verso casi di questo genere.
Nel caso specifico del prelato cattolico risalta il lungo tempo trascorso fra la segnalazione all’Amministratore apostolico e il coinvolgimento del Ministero pubblico. Se la stessa situazione fosse capitata nella Chiesa Evangelica Riformata, come avreste reagito?
Per noi la trasmissione all’autorità penale sarebbe immediata. Nei regolamenti abbiamo infatti inserito specificatamente che i Consigli di Chiesa hanno l’obbligo di diligenza. Ciò significa che, come per le aziende, qualora giunga una notizia che possa configurare un reato, il Consiglio debba avvertire subito l’autorità pubblica.
In relazione agli abusi nella chiesa cattolica aleggia sempre il tema dell’obbligo del celibato, che invece da voi non c’è mai stato. Crede che questo “limite” alla libera espressione dell’affettività e della sessualità dei preti possa in qualche modo favorire determinate derive?
È ovvio che un conto è vivere liberamente la propria sessualità in maniera diciamo consona, serena e consapevole, e un altro esercitare coazione a causa di impulsi deviati. Sono due cose completamente diverse. Ma per rispondere alla sua domanda dico di sì: credo che l’imposizione del celibato favorisca una visione distorta della sessualità. Purtroppo, comunque, gli abusi sui minori avvengono anche in molti altri contesti lontani dalle chiese.
Oltre cinque mesi sono trascorsi fra il momento in cui l’Amministratore apostolico della Curia vescovile ha preso atto del “disagio di una persona adulta – secondo la formulazione della Diocesi di Lugano – in particolare per alcuni approcci inadeguati da parte del presbitero nei suoi confronti e forse nei confronti anche di un minorenne”, e quello in cui per il presbitero stesso, don Rolando Leo, sono scattate le manette. La segnalazione risale infatti a febbraio, mentre il fermo è avvenuto mercoledì scorso, 7 agosto, al Collegio Papio di Ascona.
Assume contorni sempre più incomprensibili, la vicenda del cappellano del Papio, responsabile dell’Ufficio insegnamento religioso scolastico, docente e assistente spirituale della Pastorale giovanile diocesana sotto inchiesta per atti sessuali con fanciulli, coazione sessuale, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere e pornografia. Per oltre cinque mesi, pur se indicato come possibile molestatore, il religioso ha potuto continuare a svolgere le sue attività, anche con i ragazzi. L’ultima in ordine di tempo è stata il pellegrinaggio in bici con la Pastorale giovanile a Medjugorje, terminato la sera del 6 agosto; ma in precedenza, negli ultimi mesi, v’erano state ad esempio anche una colonia in Valle di Blenio e un viaggio in Africa. La tempistica d’azione (o, per certi versi, d’inazione) è stata precisata sabato dalla Curia vescovile, secondo cui dopo la segnalazione era stata interpellata una delle due persone di contatto attive nella Commissione di esperti in caso di abusi sessuali in ambito ecclesiale, “con lo scopo di accompagnare il segnalante a condividere i fatti da lui vissuti e aiutarlo a decidere se deporre denuncia”. A ciò è seguito un ulteriore “periodo di riflessione”, che aveva portato la presunta vittima (adolescente al momento dei fatti) a sporgere denuncia. Ciò era poi avvenuto a inizio aprile, e cioè due mesi dopo la segnalazione e quattro mesi prima che il presbitero venisse fermato.
Stando alla Curia, in tutto questo tempo “non è stata attuata alcun tipo di misura” nei confronti di don Leo ”per non interferire nell’accertamento della verità e rischiare l’inquinamento delle prove”. Non è dato sapere, con esattezza, se la Curia abbia agito in questo modo ‘motu proprio’ o su richiesta del Ministero pubblico, e se quest’ultimo avrebbe invece potuto ammettere un cambio di mansioni quantomeno per non lasciare più entrare in contatto diretto il prelato con i giovani. Resta il fatto che in una sorta di pericoloso cortocircuito strategico e operativo fra le autorità religiose e penali, a don Rolando Leo è stata lasciata totale libertà d’azione per diversi mesi – anche e soprattutto con i ragazzi a lui affidati come assistente spirituale della Pastorale giovanile diocesana – per evitare che, spostandolo verso altri incarichi, ‘mangiasse la foglia’ e potesse brigare per inquinare l’inchiesta o cancellare eventuali prove presenti su computer e cellulare, i quali gli sono stati sequestrati al momento del fermo. Dalle prime verifiche penali – come da noi anticipato nell’edizione di sabato – emerge che il prete avrebbe fatto uso di filmati a sfondo pedopornografico e che sarebbero diversi i ragazzi cui avrebbe rivolto le sue attenzioni sessuali nell’arco di più anni.