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Una ‘spedizione punitiva’ per recuperare i soldi

Alle Assise criminali di Lugano il sequestro di persona e il rapimento avvenuti a Figino. Due imputati alla sbarra: chieste pene fino a 4 anni e 3 mesi

La Corte è presieduta dal giudice Marco Villa
17 luglio 2024
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Un sequestro di oltre quattro ore per recuperare 20mila franchi legati a debiti e a un contratto di lavoro fittizio stipulato a favore di uno di loro. Sono questi i contorni della «spedizione punitiva» dello scorso 16 agosto quando quattro uomini prelevarono un conoscente dalla sua abitazione di Figino, per poi sequestrarlo e picchiarlo in una fattoria di Vezia. Alla sbarra, davanti alla Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Marco Villa (a latere Giovanna Canepa Meuli e Luca Zorzi) compaiono due cittadini italiani di 33 e 31 anni al momento dei fatti dimoranti nel Luganese. Il procedimento nei confronti di un terzo uomo era già stato disgiunto (visto che il suo nome compare anche in altri incarti). Sorte analoga è stata decisa direttamente in aula per il quarto uomo, un 21enne ticinese, arrestato a inizio settimana per una rissa. I due devono rispondere del reato principale di sequestro di persona e rapimento, circostanze aggravanti poiché hanno cercato di ottenere un riscatto e hanno trattato la vittima con crudeltà. I due hanno riconosciuto i fatti, ma non le aggravanti. «Siamo stati quelli più marginali – sono state le parole del 33enne –. È vero che l'ho colpito con qualche sberla e un calcio nel sedere, ma quando è stato trattato male non eravamo sul posto». Il 31enne ha ammesso di essere stato «in parte presente. La parte della crudeltà non l'ho vista: non avevo intenzione di rovinarmi la vita». Nei loro confronti il procuratore pubblico Zaccaria Akbas (che ha eredito l'incarto dall'ex procuratrice pubblica Pamela Pedretti) ha chiesto condanne a 4 anni e 3 mesi da espiare e rispettivamente 32 mesi (di cui 12 da espiare) oltre che 10 e 7 anni di espulsione dalla Svizzera. Domani la parola passerà agli avvocati Marco Morelli e Ioana Mauger. La sentenza sarà pronunciata in serata.

Dalla coazione al sequestro

La spedizione è iniziata già nel pomeriggio del 16 agosto, quando il 33enne e uno dei due imputati non presenti in aula, hanno raggiunto la vittima, costringendola a seguirli in un ritrovo di Lugano per avere garanzie sul contratto di lavoro fittizio che avrebbe permesso al 33enne di rinnovare il permesso di soggiorno in Svizzera e restituire un debito di cocaina di 400 euro. «Sembrava tutto risolto – sono state le parole del procuratore pubblico – visto che l'uomo si è allontanato dal bar ed è rincasato». Un paio d'ore dopo il quartetto di imputati si è trovato nel bar di un centro sportivo. È stato in quel momento che il 31enne ha informato gli altri sul fatto che le società della vittima, che stava per trasferirsi in Italia, non erano più attive. Una situazione per la quale il 33enne «si è sentito preso in giro» visto che poco prima «era stato rassicurato». Da qui la decisione di raggiungere nuovamente Figino «con intenzioni tutt'altro che pacifiche, mettendo in conto che poteva succedere di tutto», ha aggiunto Akbas. L'uomo è quindi stato costretto a salire in auto. Dopo qualche calcio e schiaffo sull'auto guidata dal 31enne – «ho chiesto di non picchiarlo perché avrebbero sporcato la macchina. Erano alterati dall'alcol e ho sentito pressione» – è nel fienile della fattoria che sono avvenute le violenze fisiche. Oltre a calci, pugni e colpi inferti con un tubo flessibile d'acciaio usato a mo' di frusta che gli hanno procurato diverse fratture e traumi, la testa dell'uomo è stata anche immersa in un catino pieno d'acqua e gli sono stati lanciati la ruota di un’auto e uno sgabello in legno. «Mi sono trovato in questa situazione contro la mia volontà: dovevamo per forza andare dalla vittima – sono state le parole del 31enne –. Ero paralizzato, non gli ho alzato un dito. Non ho chiamato la polizia perché ero terrorizzato e avevo paura di ripercussioni». Il 33enne ha per contro affermato che il secondo imputato «era cosciente e nessuno lo ha costretto. Mi ha fatto vedere che le aziende non erano più a Registro di commercio e mi ha caricato». Durante l'azione il 31enne ha inventato una scusa per allontanarsi. «Le situazione si era aggravata parecchio e ho detto che dovevo andare. Qualcuno, non ricordo chi, mi ha detto con toni non gentili che dovevo cambiare auto e, non avendone una seconda, ho chiamato mio fratello». Prima di far rientro alla fattoria, il 31enne e il 33enne, che lo ha accompagnato, hanno comprato delle birre. «Quando siamo andati via lo hanno conciato – ha detto il 33enne, che si trova in anticipata espiazione della pena –. Pensavo avessero insistito per avere i soldi, ma non che lo avrebbero ridotto così. Il mio intento non era quello di sequestrarlo, tanto non sarebbe cambiato nulla». Solo in questa terza fase il gruppo ha discusso della sorte della vittima (tra le ipotesi indicate dall'atto d'accusa anche l'uso del cloroformio) che è stata riaccompagnata a casa dopo l'intervento dei proprietari della fattoria.

‘Le giuste pressioni per avere i suoi soldi’

Il pp ha definito «molto grave per l'efferatezza del suo agire» il comportamento del 33enne. Il 31enne ha invece «sempre cercato di minimizzare il suo coinvolgimento» anche se vantava un debito, legato a un precedente furto, con la vittima. «Ha scorto la possibilità di recuperare il denaro: sentendo le pretese degli altri ha capito che con loro avrebbe potuto esercitare le pressioni giuste, non senza violenza, per avere i suoi soldi. Dà giustificazioni ridicole sostenendo che i correi avrebbero pensato di sfruttarlo perché aveva un movente. Ha aderito in tutto e per tutto al disegno criminale che si stava realizzando, sapeva che la situazione stava per degenerare, ma a lui andava bene così». I due imputati non si sono accaniti sulla loro vittima come gli altri due uomini, ha concluso Akbas, «ma hanno fatto parte in tutto e per tutto della spedizione punitiva che aveva come scopo trovare un modo per recuperare i loro soldi».

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