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‘Non un rapimento pianificato ma una decisione scellerata’

La Corte delle Assise criminali di Lugano ha emesso due sentenze di condanna per i fatti dello scorso 16 agosto: 32 mesi da espiare e 22 mesi sospesi

La sentenza
(archivio Ti-Press)
18 luglio 2024
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Non un rapimento pianificato ma «l'insorgere di una decisione scellerata presa in quel frangente». Quello andato in scena il 16 agosto dell'anno scorso tra Figino e Vezia è stato un «rapimento approssimativo, di una durata relativamente breve rispetto ad altre realtà e con violenze che non sono state invalidanti per la vittima». È questa la conclusione a cui è arrivata la Corte delle Assise criminali di Lugano chiamata a giudicare l'azione di due dei quattro partecipanti all'azione violenta di ormai un anno fa. Il giudice Marco Villa ha emesso due sentenze di condanna. Il 33enne italiano, che già si trova in espiazione anticipata della pena, è stato condannato a 32 mesi di detenzione e al pagamento di una multa di 1'000 franchi. Per lui la Corte ha ordinato 10 anni di espulsione dalla Svizzera. Il secondo imputato, un 31enne cittadino italiano, è invece stato condannato a 22 mesi di detenzione sospesi per un periodo di prova di tre anni. La Corte ha deciso di applicare il caso di rigore e l'uomo non verrà espulso. «Ha vissuto un evento pessimo che non doveva succedere, ma si è trattato di un'eccezionalità rispetto al suo normale vivere», sono state le parole del giudice. Nei loro confronti il procuratore pubblico Zaccaria Akbas ha chiesto condanne a 4 anni e 3 mesi da espiare e rispettivamente 32 mesi (di cui 12 da espiare) oltre che 10 e 7 anni di espulsione dalla Svizzera.

Il reato: rapimento qualificato

Prima di entrare nel merito dei fatti, il presidente della Corte ha spiegato una questione «puramente teorica». Il reato principale inserito nell'atto d'accusa era quello di sequestro di persona e rapimento, circostanze aggravanti poiché hanno cercato di ottenere un riscatto e hanno trattato la vittima con crudeltà. «Non può esserci concorso tra sequestro e rapimento. Per correttezza giuridica si è trattato di un rapimento qualificato». Che ci sia stato, ha aggiunto il giudice, «è pacifico, perché la vittima è stata portata da un'altra parte, dove non voleva. Foste rimasti a Figino, parleremmo di sequestro, ma visto che siete andati a Vezia, si tratta di un rapimento». Parlando del 31enne e andando a rispondere alla tesi difensiva (come spiegheremo nell'ultimo paragrafo), «per la Corte non c’è mezzo dubbio che possa essere prosciolto dal reato di rapimento qualificato: è stato parte attiva tanto quanto gli altri, partecipando dall'inizio alla fine, dando le informazioni che hanno dato il la all'azione, mettendo a disposizione le auto, bloccando la porta dell'appartamento della vittima con un piede e tenendo il borsello e il telefono di quest'ultima, ma soprattutto ha avuto due occasioni limpide come il sole per distanziarsi». Per entrambi la colpa è stata definita «grave: avete agito per futili motivi verso una persona con cui c'era un rapporto di amicizia». Il 33enne è stato prosciolto dal reato di coazione (per il suo incontro con la vittima nel pomeriggio, poche ore prima dei fatti); caduto, per entrambi, anche il reato di violazione di domicilio.

La ‘crudeltà’ dell'uso del tubo

La Corte ha preso posizione sulle aggravanti della crudeltà e della richiesta di riscatto. «Pugni, sberle e spintoni possono ancora rientrare nel comportamento del reato di base e non configurano crudeltà». Il discorso cambia parlando del tubo flessibile d'acciaio usato a mo’ di frusta che ha procurato diverse fratture e traumi alla vittima. Per la Corte «non c’è nessun altro scopo o finalità se non quello di essere crudele». I due imputati hanno dovuto rispondere di questa azione «per dolo eventuale: ve ne siete andati a prendere la birra lasciando la vittima in balia degli autori più violenti e non potendo escludere violenze maggiori». E anche dopo aver raggiunto nuovamente la fattoria, «non vi siete dissociati dall'utilizzo di questo tubo». Rispetto ai due imputati non presenti in aula – e contro i quali il procedimento è stato disgiunto vista la presenza di altri reati – il 33enne «ha colpito meno» e il 31enne, in base al principio in dubio pro reo, «non sembra aver dato colpi». Passando ai 20mila franchi chiesti alla vittima come riscatto, «non sarebbe cambiato nulla se la somma fosse arrivata dalla vittima o dalla sua famiglia: ci sarebbe stata una diminuzione di valori della persona vittima».

Le difese contestano le aggravanti

La seconda giornata di dibattimento si è aperta con le arringhe difensive: in entrambi i casi è stato chiesto il proscioglimento dal reato principale di sequestro di persona e rapimento. A essere contestate sono state le aggravanti della crudeltà e della richiesta di riscatto. Le difese hanno quindi puntato su massicce riduzioni di pena. L'avvocato Marco Morelli, legale del 33enne, ha sostenuto che «tutti hanno partecipato all'azione ma i comportamenti diversi incidono nei rispettivi gradi di colpa». Il 33enne «voleva dare una lezione alla vittima e risolvere le questioni del contratto di lavoro e del permesso, ma non voleva sequestrarlo, consapevole che i suoi problemi non si sarebbero risolti». Il 16 agosto scorso «ha solo assecondato gli altri imputati, ricoprendo un ruolo non decisionale». La colpa dell'imputato «non può essere considerata grave» e per questo «le aggravanti non sono configurabili». Per la difesa non c’è stata crudeltà perché «ha partecipato in minima parte alle percosse alla vittima» e i 2-3mila franchi di cui «reclamava la restituzione non sono un vero e proprio riscatto, trattandosi del denaro per gli oneri sociali che la vittima si era indebitamente intascata». L'avvocato Ioana Mauger ha invece sostenuto che il 31enne sia «vittima di una situazione più grande di lui da cui non è riuscito a uscire, essendosi trovato al posto sbagliato, nel momento sbagliato e con le persone sbagliate». Quella sera ha accettato di andare a casa della vittima «per chiedere informazioni e spiegazioni, ma non per riavere il denaro che gli era stato sottratto, avendo attivato le procedure assicurative e legali». In merito alla crudeltà, «la vittima stessa conferma di non essere mai stata colpita dal mio cliente». La legale si è opposta all'espulsione dalla Svizzera del 31enne («considera il Ticino, che è il centro dei suoi interessi da più anni, come la sua casa») e ha presentato una richiesta di risarcimento di 24'800 franchi «per ingiusta carcerazione».

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