La Corte dei reclami penali del Tribunale d'appello dopo la sentenza del Tribunale federale: sì alla copia anonimizzata e quasi integrale della decisione
Dopo il Tribunale federale, anche la Corte dei reclami penali del Tribunale d'appello ticinese lo mette nero su bianco: ‘laRegione’ potrà avere una copia pressoché integrale e anonimizzata del decreto d'abbandono con cui l'allora procuratrice pubblica Pamela Pedretti, il 24 febbraio 2021, di fatto scagionò don Azzolino Chiappini. La vicenda che coinvolse il rettore emerito della Facoltà di teologia di Lugano e già vicario generale della Diocesi di Lugano deflagrò, lo ricordiamo, nell'autunno del 2020 quando il Ministero pubblico del Cantone Ticino aprì un procedimento penale nei suoi confronti per lesioni semplici, omissione, coazione, sequestro di persona e rapimento. Tutte ipotesi di reato che sarebbero stati commessi nei confronti di una donna 48enne di origine finlandese che viveva con don Chiappini nello stesso appartamento.
Dopo che la già pp Pedretti, alla fine dell'istruzione, decise di emettere un decreto d'abbandono sia laRegione, con il direttore Daniel Ritzer e il vicedirettore Andrea Manna, sia il Corriere del Ticino col direttore Paride Pelli, presentarono due istanze alla procuratrice pubblica per ottenere una copia anonimizzata del decreto d'abbandono. La risposta di Pedretti arrivò il 17 maggio 2021, ma limitata al fatto che i giornalisti interessati avrebbero potuto presentarsi al Ministero pubblico per visionare ciò che, in seguito, poi la Corte dei reclami penali avrebbe concesso, riformando la decisione di Pedretti: una pagina su 24. A questo punto, la direzione de ‘laRegione’ si è rivolta al Tribunale federale che, nel novembre 2022, le ha dato ragione facendo tornare l'incarto alla Crp per un'altra decisione tenendo conto del giudizio dell'Alta Corte di Losanna: cioè la possibilità di ricevere il decreto d'abbandono della già pp Pedretti in maniera integrale e anonimizzato. Nella sentenza, Mon Repos scrisse che “senza una descrizione quantomeno riassuntiva della fattispecie perseguita, i motivi dell'abbandono del procedimento penale non possono essere seguiti e compresi, e possono dare luogo a congetture”. In più, “come rettamente rilevato dalla pp, la restrizione disposta dalla Crp non consente di cogliere compiutamente la portata della procedura avviata dal Ministero pubblico e impedisce di conseguenza ai media di esercitare un controllo effettivo sul funzionamento”.
E veniamo all'oggi. O meglio, all'11 luglio 2024, data in cui – anche dopo un commento pubblicato dal nostro giornale su un'altra vicenda, quella dell'accesso alla documentazione fornita dalla Polizia cantonale su quanto accaduto la notte in cui venne demolita parte dell'ex Macello a Lugano – la Corte dei reclami penali del Tribunale d'appello fondamentalmente ha recepito quanto deciso dal Tribunale federale. Nelle ventotto pagine della sentenza emessa dai giudici Nicola Respini (presidente), Ivano Ranzanici e Giovan Maria Tattarletti, la Crp indica che Losanna “ha indicato che, in considerazione del principio di pubblicità della giustizia, la consultazione del decreto d'abbandono, a cui i giornalisti ricorrenti avevano diritto di accedere, si estendeva di massima all'intero giudizio e pertanto anche ai fatti, non soltanto alle considerazioni giuridiche”. Di conseguenza, “i giornalisti istanti hanno dunque di principio diritto all'accesso al decreto di abbandono nella sua interezza, ovvero ai considerandi in fatto e in diritto. E questo per consentire loro di conoscere chiaramente i fatti alla base del procedimento e di valutare la fondatezza della decisione finale”. Ad ogni modo, “occorre tenere conto di eventuali preponderanti interessi privati contrapposti” rimarca la Crp. Quindi, “si giustifica pure di non permettere l'accesso a quei passaggi dei consideranti del decreto cui sono riportate le dichiarazioni rese a verbale” da don Chiappini e dalla donna 48enne, “riguardanti informazioni strettamente legate alla loro sfera intima, unicamente nella misura in cui non sono necessarie per capire l'esito del procedimento penale”.
Contro questa decisione, entro trenta giorni dalla notifica, è possibile inoltrare ricorso al Tribunale federale.