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S'indaga sui ruoli nella banda che ha tentato la rapina

Avevano due pistole cariche i quattro uomini entrati nel negozio di via Pessina a Lugano. Accertamenti anche sugli spari esplosi da un poliziotto

Qualche minuto dopo la tentata rapina in centro città
(Ti-Press)
3 luglio 2024
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È quasi scontata, da parte del giudice dei provvedimenti coercitivi (Gpc), la conferma dell’arresto del quartetto, che ieri ha tentato di rapinare la gioielleria e l’ufficio cambio Taleda in via Pessina a Lugano. La richiesta è stata formulata dal Procuratore pubblico Simone Barca, al termine dell’interrogatorio a cui ha sottoposto quella che si può presumere fosse una banda. Una banda composta da un 46enne e da un 34enne: entrambi hanno affermato di essere di nazionalità croata e di essere residenti in Croazia, mentre gli altri due sono un 48enne e una 34enne, sedicenti cittadini serbi residenti in Serbia. Sono accusati di rapina aggravata, esposizione a pericolo della vita altrui, violenza e minaccia contro funzionari, infrazione alla Legge federale sulle armi, infrazione alla Legge federale sugli stranieri, violazione del bando. Dalle perquisizioni effettuate dalla polizia i quattro malviventi sono risultati in possesso di due pistole, entrambe cariche.

In banda per un’azione spregiudicata

Sono tante le domande che aleggiano su un fatto quasi senza precedenti. I rapinatori, di fronte al magistrato, difficilmente hanno potuto negare i fatti, visto che sono stati colti in flagranza di reato. Come noto, l’inchiesta è alle prime battute e prosegue con l’obiettivo “di ricostruire dinamica e responsabilità dell’accaduto”, recita la nota stampa diffusa nella tarda mattinata di oggi. Anzitutto, gli inquirenti sono chiamati a verificare la nazionalità dichiarata nell’interrogatorio di ieri. Poi, si dovrà definire una sorta di profilo di ognuno dei membri della banda, il loro ruolo sociale, l’eventuale professione svolta da ciascuno di loro. Inoltre occorrerà richiedere al Paese di provenienza il loro casellario giudiziale, per capire se abbiano già avuto a che fare con la giustizia. Insomma, dapprima si tratta di ricostruire la storia personale di ognuno dei quattro uomini che ieri hanno agito con tanta spregiudicatezza in centro città e in pieno giorno, tanto da far pensare a persone che non si siano fatte troppi scrupoli nell’agire. Le indagini dovranno pure approfondire il grado di pianificazione del colpo, come e per quali ragioni sia stato scelto quel negozio da colpire e gli eventuali appostamenti precedenti in via Pessina. Resta da chiarire il ruolo dei singoli membri della banda e le relazioni di potere fra loro. In altre parole, chi ha diretto le operazioni e in che modo avevano immaginato di fuggire col bottino.

Da chiarire le modalità dei due spari

La rapina a mano armata, lo ricordiamo, è stata sventata soltanto grazie alla pronta reazione di una pattuglia di agenti in bicicletta della Polizia della Città di Lugano. Il tentativo di fuga dal negozio, dove erano entrati in tre, da parte di uno dei rapinatori e la successiva colluttazione con l’agente della Polcom, fa supporre che si tratti di persone con una certa esperienza, per usare un eufemismo, nel mettere in atto azioni del genere. Nel corso dell’operazione sono stati esplosi due colpi, da una pistola di ordinanza, da parte di uno dei due poliziotti che hanno sventato la rapina. Due spari che avrebbero potuto causare ferimenti o peggio. Le successive ricerche hanno consentito di individuare i bossoli. Come si nota da uno dei tanti video pubblicati, il secondo proiettile è partito nel corpo a corpo tra l’agente e il rapinatore. Si presume involontariamente, mentre l’altro è stato sparato alcuni minuti prima verso l'entrata del negozio, non si sa ancora per quale motivo. Lo dovrà stabilire, come da prassi e come anticipato dalla Regione nell’edizione di ieri, il Ministero pubblico. Come? Con gli accertamenti avviati “per chiarire la sussistenza di eventuali fattispecie penali in relazione all’utilizzo dell’arma di servizio da parte di un agente della Polizia Città di Lugano”, si legge nella nota. Accertamenti coordinati dal Procuratore generale Andrea Pagani.

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