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Del (non) senso di una ‘Dichiarazione’

Clima e diritti umani, il Parlamento alle prese con la sentenza della Corte di Strasburgo. La parola a tre consiglieri agli Stati

Il 9 aprile la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Svizzera nella causa intentata dalla ‘Anziane per il clima’
(Keystone)
5 giugno 2024
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“Un segnale devastante”, “un attacco contro lo strumento principale della tutela dei diritti umani in Europa”, che avviene “proprio quando il diritto internazionale è sotto pressione”, nel Vecchio continente e altrove. Alla vigilia del dibattito odierno al Consiglio degli Stati (la replica tra una settimana esatta al Nazionale), Amnesty International e la Piattaforma delle Ong svizzere per i diritti umani, di cui fa parte, sono tornate a esprimere tutta la loro preoccupazione. A loro avviso, le Commissioni degli affari giuridici del Parlamento “giocano con il fuoco”, chiedendo al Consiglio federale – in una ‘Dichiarazione’ – di far sapere al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che non si intende dare ulteriore seguito alla storica sentenza con cui poco meno di due mesi fa la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu) ha condannato la Svizzera nella causa intentata dalle ‘Anziane per il clima’.

Una sentenza politica? Un’ingerenza giudiziaria, in spregio alla volontà del popolo sovrano (il no alla legge sul CO2 del 2021)? Oppure una legittima – benché criticabile finché si vuole – interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), alla quale uno Stato di diritto, volente o nolente, non può far altro che conformarsi?

Pressing sul Consiglio federale

Politici ed esperti di diritto si accapigliano da settimane. La frustrazione ha preso piede nella Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati. In una Dichiarazione, approvata per 10 voti a 3, la Cag-S deplora “l’attivismo giudiziario” della Corte, che “travalica i limiti dello sviluppo del diritto concessi a un tribunale internazionale”. Ai giudici di Strasburgo si chiede tra l’altro di “rispettare i processi democratici” degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Il Consiglio federale viene invitato a comunicare al Comitato dei ministri (organo che veglia sulla corretta applicazione delle sentenze Cedu) che “non vede alcuna ragione per dare ulteriore seguito” al verdetto. Questo perché “gli sforzi precedentemente e attualmente profusi dalla Svizzera in materia di politica climatica soddisfano i requisiti in materia di diritti umani formulati nella sentenza”. La scorsa settimana anche la commissione ‘sorella’ del Nazionale ha deciso di sottoporre al plenum una Dichiarazione identica, al fine di lanciare un “forte segnale politico” ai giudici della Corte Edu.

Due idee di separazione dei poteri

Daniel Jositsch (Ps/Zh) è la ‘mente’ della Dichiarazione. Il documento approvato dalla Cag-S fa chiarezza su un punto: «Per quanto la Svizzera ha fatto, o sta facendo, nell’ambito della sua politica ambientale, la sentenza è già applicata», spiega a ‘laRegione’ il ‘senatore’ zurighese. Il problema – ribadisce il professore di diritto – è «il fatto che la Corte Edu ha oltrepassato le sue competenze, minando la credibilità sua e della Convenzione». Per questo è «importante che prendiamo posizione», segnalando che «la Svizzera rispetta le sentenze Cedu, ma che queste devono essere corrette, non politiche». «Persino la stessa Corte – prosegue Jositsch – ammette di sviluppare la Cedu: ma questo non è il compito di un tribunale. Siamo al cuore della separazione dei poteri: è il Parlamento che fa le leggi; compito dei tribunali è interpretarle e vegliare sul loro rispetto, non in primo luogo svilupparle ulteriormente».


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Daniel Jositsch (Ps)

Di tutt’altro parere Carlo Sommaruga. In commissione, il socialista ginevrino (assieme alle colleghe socialista Mathilde Crevoisier Crelier ed ecologista Céline Vara) ha votato contro la Dichiarazione. Oggi chiederà al plenum di respingerla, perché «non è compito di un organo politico intervenire sulla decisione di un organo giudiziario». Una dichiarazione del Parlamento svizzero in merito a una sentenza della Corte Edu è «come se il Gran Consiglio ticinese adottasse una risoluzione per contestare una decisione del Tribunale federale che si applicherebbe al Ticino».

Nel merito, Sommaruga «non trova nulla di disturbante nella sentenza». Tanto più che la Corte Edu «giunge alla conclusione che la Svizzera non fa il necessario, ma non le dice cosa fare sul piano politico: lascia il campo completamente aperto. La Svizzera può ad esempio scegliere di migliorare le proprie leggi, oppure di rendere più efficace la loro applicazione». «La netta maggioranza» degli esperti ascoltati dalla Cag-S considera che la sentenza sia «estremamente ben concepita» e «consente di proteggere i diritti delle cittadine e dei cittadini di domani» dall’inazione dei governi in ambito climatico. In nome del principio della separazione dei poteri, Sommaruga non approverà nemmeno le versioni più edulcorate della Dichiarazione. Anche perché comporterebbero lo stesso rischio dell’originale: fornire un pretesto agli «Stati europei illiberali» per non applicare, a loro volta, le sentenze della Corte Edu.


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Carlo Sommaruga (Ps)

Il passaggio incriminato

Una delle versioni alternative è firmata da Andrea Gmür-Schönenberger (Centro). La lucernese propone di stralciare l’intero passaggio incriminato: “La Svizzera non vede alcuna ragione per dare ulteriore seguito alla sentenza (...), dato che gli sforzi precedentemente e attualmente profusi dalla Svizzera in materia di politica climatica soddisfano i requisiti in materia di diritti umani formulati nella sentenza”. Una frase “inutile e che può essere dannosa”, nella misura in cui potrebbe incoraggiare Stati con istituzioni democratiche meno solide delle nostre a ignorare i verdetti dei giudici di Strasburgo, ha detto in sostanza Gmür alla ‘Nzz’.


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Andrea Gmür-Schönenberger (Centro)

Per la ‘senatrice’ del Centro è «positivo» che il Parlamento si sia mosso. «Non può essere che un tribunale si metta a fare politica, anziché limitarsi a interpretare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo». La separazione dei poteri va «naturalmente tenuta in grande considerazione». Ma quando una sentenza è «dettata a tal punto da motivazioni politiche, bisogna intervenire in un qualche modo. In questi casi – dichiara Gmür alla ‘Regione’ – formulare una critica è assolutamente legittimo e opportuno. Bisogna far presente che il popolo svizzero nel 2021 ha respinto la legge sul CO2. E che noi non possiamo fare leggi che contraddicono la volontà popolare, ma solo rimetterci al lavoro per cercare nuove soluzioni di compromesso».

Cosmesi e sostanza

Anche Matthias Michel (Plr/Zg) propone di stralciare il passaggio problematico. Ma se Andrea Gmür lo vorrebbe semplicemente rimpiazzare con un generico “la Svizzera rispetta i suoi impegni internazionali in materia di clima”, il collega lascerebbe in pratica intatta la seconda parte: “Considerati i suoi sforzi passati e attuali in materia di politica climatica, la Svizzera ritiene che i requisiti in materia di diritti umani formulati nella sentenza siano soddisfatti”.

In un caso come in un altro, la sostanza non cambierebbe: più o meno edulcorata che sia, una Dichiarazione del Parlamento svizzero invierebbe un segnale politico di un certo peso. All’indirizzo della Corte Edu. E, di riflesso, a tutti gli altri Stati membri del Consiglio d’Europa.

Di cosa parliamo

Una sentenza, un vespaio

Il 9 aprile la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu) ha condannato la Svizzera per aver violato segnatamente l’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ovvero il diritto al rispetto della vita privata e familiare, in quanto non ha preso sufficienti misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. La causa era stata intentata dall’associazione ‘Anziane per il clima’, sostenuta da Greenpeace Svizzera. È la prima volta che i giudici di Strasburgo condannano uno Stato per mancanza di iniziative contro il cambiamento del clima, legando la tutela dei diritti umani al rispetto degli obblighi ambientali. La sentenza ha carattere vincolante, obbliga cioè la Svizzera a conformarsi. Spetterà al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa controllare le misure che la Confederazione vorrà adottare per rimediare alle carenze. Il verdetto ha suscitato un vespaio in Svizzera. Critiche sono giunte in particolare da eminenti esperti di diritto, che accusano tra l’altro i giudici di Strasburgo di aver oltrepassato le proprie competenze. Anche il Parlamento si è mosso: le Commissioni degli affari giuridici delle due Camere hanno elaborato una ‘Dichiarazione’ con la quale si chiede al Consiglio federale di intervenire presso il Consiglio d’Europa per far conoscere la posizione della Confederazione e comunicare che “la Svizzera non vede (...) alcuna ragione per dare ulteriore seguito alla sentenza”.