Escono oggi i Caprichos de Goya e i Preludi al Circeo suonati dal chitarrista italo-ticinese. Ripercorriamo con lui la vita di Mario Castelnuovo-Tedesco
Nato a Frosinone quasi cinquant’anni fa, luganese acquisito, chitarrista dalla prestigiosa carriera e insegnante di chitarra classica tra Lugano e Locarno, Cristiano Poli Cappelli è quello che negli Stati Uniti chiamano ‘recording artist’ (artista ‘registrante’), fregio che oggi, con l’home recording dilagante, chiunque potrebbe appuntarsi sul petto ma che invece sottindende il saper ‘fare i dischi’, cosa che Poli Cappelli fa da tempo. Di lui, l’etichetta giapponese Da Vinci pubblica oggi la serie dei 24 Caprichos de Goya op. 195 del compositore italiano Mario Castelnuovo-Tedesco e con essi i suoi 3 Preludi al Circeo, op. 194. «Recording artist è una definizione che mi piace», commenta il chitarrista. «Quello delle registrazioni è un mondo molto diverso dal concertismo. C’è l’animale da palcoscenico e chi invece, ed è il mio caso, si trova più a suo agio dietro a un microfono». Anche se ha suonato tanto, in tutto il mondo, da solo o in duo, e ama più la musica da camera che il concerto solistico. «Un esempio illustre è Glenn Gould, sempre alla ricerca della perfezione sonora e di esecuzione».
Nato a Firenze nel 1895 da una famiglia di origine ebraica, morto a Beverly Hills nel 1968 da naturalizzato statunitense, a inizio carriera Mario Castelnuovo-Tedesco è concertista e compositore suonatissimo: Arturo Toscanini dirige prime assolute dei suoi concerti, Andrés Segovia ne esegue le opere per chitarra classica. «È un nome fondamentale per questo strumento che non ha nessun Mozart, Beethoven o Chopin a scriverne le partiture», spiega Poli Cappelli. «Però abbiamo autori che hanno dedicato il proprio tempo a scrivere per chitarra nonostante non fossero chitarristi, ed è il caso di Castelnuovo-Tedesco, pianista. Rispetto a Tansman, che ho registrato, in Castelnuovo-Tedesco i rimaneggiamenti sono addirittura meno necessari».
Dopo averlo studiato in Conservatorio, in quanto nome con il quale tutti presto o tardi si sarebbero dovuti cimentare, Poli Cappelli ha affrontato Castelnuovo-Tedesco ‘di petto in duo’ con Andrea Pace, fino a registrarne l’Integrale delle opere per due chitarre, per quello che pare il momento liberatorio di un complesso rapporto padre-figlio: «Sì, in un certo senso incidere la sua musica è stato un sublimare la paura dell’affrontare la realtà, paura che chiamerei piuttosto concretezza, per la difficoltà di lettura ed esecuzione. Il duo, inoltre, crea ulteriori difficoltà anche se con Andrea parliamo la stessa lingua». Anche nei 3 Preludi del Circeo e nei Capricci di Goya, «ciclo impegnativo, opera anche autopsicanalitica dai rimandi autobiografici, come il confronto con il suo maestro e il quasi dileggio della musica contemporanea».
I 24 Caprichos de Goya escono dallo Studio Assolo di Roma, quelli di Andrea Pace. Al disco si è arrivati dopo diversi anni di studio dei pezzi: «Mettersi di fronte a un repertorio di questo tipo significa doverlo metabolizzare, per il doversi confrontare con le poche altre registrazioni esistenti e per quella voglia di fare qualcosa come fosse l’ultima, che vivo come una dimostrazione di serietà. Alla fine l’incisione è stata più rapida di altre in passato, sulla carta, più semplici come l’Integrale di Antonio Lauro, per esempio».
Nel 1939, le famigerate leggi razziali introdotte l’anno prima dal fascismo costringono Mario Castelnuovo-Tedesco a riparare a New York prima e a Hollywood poi, dove si afferma come autore di colonne sonore. Parallelamente al cinema, insegna composizione al Conservatorio di Los Angeles e ha tra i suoi allievi Elmer Bernstein, Jerry Goldsmith, Henry Mancini e John Williams. La colonna sonora del pluripremiato ‘The Maestro’, film di Adam Cushman che nel 2018 di Castelnuovo-Tedesco racconta la storia, contiene anche incisioni di Cristiano Poli Cappelli (e di Lorenzo Micheli, che insegna al Conservatorio della Svizzera italiana). «‘The Maestro’ è uno spaccato della vita didattica, più che di quella compositiva. Malgrado spesso non fosse accreditato, a Hollywood era celebre per la velocità con la quale scriveva e orchestrava».
L’Italia, Mario Castelnuovo-Tedesco se l’era dimenticato. Solo nel 2018, ottant’anni dopo le leggi razziali e cinquanta dopo la sua morte, la Repubblica Italiana gli ha dedicato il Premio del suo Presidente e la Medaglia della Camera dei Deputati. «Il suo rapporto con l’Italia fu fortemente combattuto», spiega Poli Cappelli, «e il non aver mai nemmeno pensato di tornare in patria dice molto. Il nome lo ha tenuto in vita Segovia, che lo ha suonato fino alla fine dei suoi giorni, mentre il repertorio pianistico è eseguito pochissimo». Chissà, forse un giorno un pianista di grido farà per il pianoforte quel che Segovia ha fatto per la chitarra. Non funziona forse così quando si vuole riportare in auge qualcuno? «A volte sì, ma è successo anche a Bach di finire in un angolo per poi diventare l’Everest di tutti i compositori. A volte è anche una questione di mode, e di carenza di senso critico. Negli ultimi anni i social e la produzione liquida della musica hanno tolto il piacere di cercare un Lp, di sentire com’è e giudicarlo da sé. Oggi raramente un giovane interprete di chitarra prova un brano perché ha trovato lo spartito in un negozio...».
Si apre qui un dissertare di padri che nei primi anni Ottanta tornavano a casa con vinili in offerta speciale della James Last Orchestra, che non erano certo musica classica, «però era musica che alla Classica ha avvicinato tanti», chiude Poli Cappelli. «Non voglio fare il boomer, ma oggi questo tentativo di avvicinamento è un po’ più complicato. Da parte mia, continuo a dedicarmi alla mia nicchia». Da parte nostra, viva (anche) la nicchia.