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Leo the Lion e i felini dello sport

Simbolo di forza, autorità e fierezza, il leone viene spesso scomodato per definire temperamento e pregi dei campioni dello sport

18 aprile 2024
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Esattamente cent’anni fa, il 18 aprile 1924, dall’unione fra Metro Pictures, Goldwyn Pictures e Louis B. Mayer Pictures – e col contributo finanziario di alcune potenti banche – veniva fondata a Hollywood la Metro Goldwyn Mayer, la più importante casa di produzione cinematografica, un colosso capace negli anni di mettere sotto contratto attori del calibro di Clarke Gable, Greta Garbo, Spencer Tracy e maestri della regia come Cukor, Vidal e Kubrick. Parliamo degli studios che hanno fatto sognare svariate generazioni di spettatori in tutto il mondo e che hanno portato sugli schermi personaggi indimenticabili quali Tarzan, Tom & Jerry, James Bond e Rocky Balboa. Ad accomunare tutti questi nomi c’è ovviamente Leo the Lion, l’iconica mascotte felina che da sempre apre ogni produzione della MGM, e il cui ruggito – dapprima in platea e in balconata soltanto immaginato – fu reso udibile a partire dal 1928, con il magico avvento del sonoro.

Simbolo di forza, autorità e fierezza per antonomasia, il leone è stato spesso usato – in ambito sportivo – per meglio definire il temperamento e le virtù di alcuni fra i più grandi campioni della storia. Di atleti paragonati al re della foresta ce ne sono, e ce ne furono, davvero moltissimi e, dovendone citare qualcuno, ci si ritroverebbe preda del proverbiale imbarazzo della scelta. Così al volo, il primo che mi si affaccia alla memoria è Fiorenzo Magni, ciclista in grado nel secondo dopoguerra di rappresentare – in Italia – l’unica alternativa al dualismo fra i leggendari Bartali e Coppi, dei quali era leggermente più giovane e coi quali riuscì a rivaleggiare come nessun altro. Toscano di nascita e poi trasferitosi a Monza, subito dopo la Seconda guerra mondiale si rifugiò a San Marino per paura delle vendette e delle ritorsioni che molti avrebbero voluto mettere in atto nei suoi confronti. Fascista convinto, dopo l’8 settembre del ’43 rifiutò di tradire Mussolini e si unì alla Repubblica di Salò, con la divisa della quale si trovò a combattere non poche battaglie contro i partigiani, durante le quali ci scappò pure qualche morto. Processato, contro di lui furono chiesti 30 anni di reclusione, ma a salvarlo fu la testimonianza del suo amico e compagno di squadra Alfredo Martini (in seguito Ct azzurro per oltre 20 anni), che a differenza di altri accettò di parlare e lo fece a suo favore: deposizione che – insieme all’Amnistia Togliatti – aiutò a farlo definitivamente assolvere nel 1947, quando gli fu pure restituita la licenza per poter correre. E un paio d’anni più tardi, nel 1949, 75 anni fa, vinceva il primo dei suoi tre Giri delle Fiandre consecutivi, impresa titanica che gli valse appunto il soprannome di Leone delle Fiandre.

Altre celebri fiere dello sport sono ovviamente i calciatori della Nazionale del Camerun, che proprio quarant’anni fa, nel 1984, in Costa d’Avorio mettevano le mani sulla prima delle loro cinque Coppe d’Africa. Lions indomptables (indomabili) vengono chiamati in francese – lingua che nel Paese è maggioritaria – e in campo cercano sempre di rendere onore al nickname che portano: eroe di quel primo trionfo continentale fu il celeberrimo centravanti Roger Milla, che giocò da professionista in due continenti, segnando caterve di gol, dai 13 (!) ai 44 anni (!), e che fu esso stesso soprannominato, con pieno merito, Leone.

Addirittura Re Leone veniva chiamato invece Gabriel Omar Batistuta, che della belva simbolo della savana portava pure la fluente bionda chioma. Centravanti capace come pochi di combinare potenza, tecnica e tiro da lontano al fulmicotone, l’argentino – che non se l’è mai tirata, a differenza di altri che non sarebbero degni neanche di allacciargli le scarpe – viene celebrato assai meno di quanto meriterebbe. Eppure, i numeri parlano assai eloquentemente a suo favore: svezzato da Newell’s, River e Boca, giunse in Italia poco più che ventenne e ci restò una dozzina d’anni, mettendo a segno oltre 240 gol e consacrando i suoi servigi quasi interamente alla Fiorentina, dove rimase anche in Serie B –, dimostrando una fedeltà che ai giorni nostri verrebbe probabilmente considerata, invece che un pregio, una tara di cui vergognarsi.