Il Consiglio federale propone opportunamente due varianti per il finanziamento. Ma non è scontato che in Parlamento i partiti scendano a miti consigli
Tanto limpido il sì popolare alla 13esima Avs, quanto opache le prospettive del suo finanziamento. Il Consiglio federale ha fatto bene a scartare opzioni per ora improponibili, anche solo per mancanza di tempo (microtassa sulle transazioni finanziarie, imposta sulle successioni, aumento dell’imposta federale diretta ecc.). Con il progetto presentato mercoledì, prova ad accontentare un po’ tutti. O meglio: a non scontentare troppo nessuno. Potrebbe riuscirvi, stando almeno alle reazioni – per lo più negative, ma non così categoriche – pervenute sin qui. L’esercizio però non è privo di (inevitabili) rischi.
Bisogna far saltar fuori 4,2-5 miliardi di franchi all’anno entro il 2026. Sul tavolo sono state messe due varianti: un aumento dei contributi salariali (+0,8%); oppure un ‘mix’ tra prelievi salariali più sostanziosi (+0,5%) e incremento dell’Iva (+0,4%). Nel primo caso, alla cassa verrebbero chiamati esclusivamente lavoratori e aziende; nel secondo tutti, pensionate e pensionati compresi.
La scelta è oculata. Anzitutto perché il Consiglio federale, senza tergiversare, ha opportunamente previsto che il finanziamento della rendita di vecchiaia supplementare sia garantito già al momento della sua introduzione (nel 2026, appunto). E non più in là nel tempo, gravando per anni sulle riserve del Fondo Avs, come ventilavano i sindacati.
Sensato l’approccio lo è anche da un punto di vista strategico. Giocando su due opzioni, senza segnalare preferenze per l’una o per l’altra, ma prevedendo anche un eventuale incremento dell’Iva, il Consiglio federale smorza sul nascere la critica (già riecheggiata mercoledì, nonostante tutto) di puntare sulla via ‘unilaterale’ indicata dai fautori della 13esima Avs (l’aumento dei prelievi salariali). D’altro canto, il Governo dice qualcosa di gradito a sinistra e sindacati (che però deplorano, non senza buone ragioni, la volontà di ridurre il contributo della Confederazione all’Avs): da un aumento dei contributi salariali non si può prescindere.
La patata che finirà nelle mani dei parlamentari dovrebbe così risultare un po’ meno bollente. Un compromesso alle Camere, entro gli elastici paletti fissati dall’Esecutivo (e sotto forma di una soluzione ‘mista’), dovrebbe essere a portata di mano. Sarebbe una sorta di tregua, nell’attesa dello scontro già programmato sulla prossima riforma dell’Avs: quella di ben più ampio respiro (e con misure strutturali, ovvero assai più incisive) attesa entro la fine del 2026 e destinata a stabilizzare le finanze dell’Avs oltre il 2030.
Speculazioni, comunque. Mercoledì Elisabeth Baume-Schneider ha richiamato il Parlamento alla «responsabilità». Ma non è affatto scontato che l’appello della ministra della Socialità venga raccolto. Se dovesse andare così, se cioè i partiti non scenderanno a miti consigli, il mondo (leggasi: l’Avs e le casse della Confederazione) non crollerebbe. Capiti quel che capiti (naufragio del progetto in Parlamento o in votazione popolare), i 2,5 milioni di pensionate e pensionati del Paese riceveranno nel 2026 la loro prima 13esima. Se necessario, infatti, il Consiglio federale agirà (come può fare) per via d’ordinanza. Ben sapendo che, in assenza di una soluzione politica, i bisogni finanziari generati dalla rendita supplementare potranno essere coperti per qualche anno – e apparentemente senza grossi patemi d’animo – attingendo dal Fondo Avs.
Il fatto è che il Governo non è il solo a saperlo. Sindacati e sinistra non sarebbero scontenti di uno scenario del genere. E tutto sommato nemmeno qualcun altro (Udc, Plr) dovrebbe esserlo.