laR+ IL COMMENTO

Gli occhi del mondo non guardano Haiti

C’è il fondato sospetto che, al di là dei proclami di solidarietà, nessuno abbia interesse a impegolarsi in questa crisi

In sintesi:
  • Oggi Haiti è nelle mani di bande di feroci taglieggiatori
  • Solo l’intervento di una forza internazionale può contribuire a mettere fine alle violenze
Mezzo secolo dopo non è cambiato nulla
(Keystone)
13 marzo 2024
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Haiti, l’altra metà dell’isola caraibica di Hispaniola, quella in cui si parla francese, continua a proporci i suoi fantasmi come se non fosse mai stata deposta la trentennale dittatura dei Duvalier. Quella di Papa Doc e del figlio Baby Doc. Dell’Haiti dei Duvalier, lo scrittore britannico Graham Greene affermò, nel 1966, di “non aver mai avvertito, in un Paese, un tale clima di paura”. Era l’epoca dei Tonton Macoutes, gli sgherri travestiti da miliziani della Sicurezza Nazionale, grazie ai quali gli haitiani erano costretti a subire ogni sorta di sopruso.

Mezzo secolo dopo non è cambiato nulla. Anzi, le cose sono addirittura peggiorate perché, mentre i Tonton Macoutes rispondevano ai Duvalier, che nonostante la loro “cattiveria diabolica” – per citare ancora Graham Greene – erano pur sempre delle figure istituzionali, oggi Haiti è nelle mani di bande di feroci taglieggiatori. Non c’è un presidente poiché l’ultimo a ricoprire quel ruolo, Jovenel Moïse, è stato assassinato nel luglio del 2021. L’ha sostituito il primo ministro Ariel Henry, e la vera e propria rivolta delle gang criminali coincide con il suo annuncio, lo scorso 28 febbraio, di indire delle elezioni presidenziali entro il 2025. Henry, che mentre la criminalità metteva a ferro e fuoco la capitale Port-au-Prince, si trovava all’estero, non può rientrare poiché l’aeroporto della città è circondato dalle bande di malavitosi. Che ora hanno un leader, l’ex poliziotto Jimmy Chérizier soprannominato Barbecue, ricercato dalle Nazioni Unite per una serie di massacri di civili. Barbecue ha chiesto le dimissioni del primo ministro Henry, il quale aveva tentato di organizzare un contingente internazionale per contrastare la presa di potere delle gang.

Intendiamoci, Haiti non è l’unico Paese dell’area tra il Nord e il Centro America ostaggio di bande criminali. Guatemala, El Salvador ed Ecuador non stanno meglio, da quel punto di vista. La differenza risiede nel fatto che quelle nazioni hanno dei governi che, talvolta anche con metodi sbrigativi, tentano di reagire. Ad Haiti invece, per stessa ammissione dell’ormai ex premier Henry, la polizia è impotente, sovrastata per numero di agenti e per potenza di fuoco da gangster come Barbecue e dai suoi sodali.

Terrorizzati, vittime di violenze di ogni genere e di taglieggiamenti, molti abitanti di Port-au-Prince tentano di raggiungere Santo Domingo, la parte ispanica di Hispaniola. Da dove, ogni giorno, come ha riferito in un reportage Le Monde, vengono rimandati indietro mille haitiani in fuga. Espulsi in modo impietoso, visto che sono stipati sui cassoni di camion, all’interno di gabbie. “Guardateli, sono come animali”, l’eloquente commento di un poliziotto dominicano citato dall’inviato del quotidiano francese. Pure Ariel Henry è stato respinto e definito “persona non grata” dalle autorità di Santo Domingo.

Come è già avvenuto in passato, solo l’intervento di una forza internazionale può contribuire a mettere fine alle violenze ad Haiti. Al riguardo ha lanciato un appello il segretario generale dell’Onu, Guterres. Ma oggi gli occhi del mondo sono rivolti all’Ucraina e al Medio Oriente, e c’è il fondato sospetto che, al di là dei proclami di solidarietà con gli haitiani, nessuno abbia interesse a impegolarsi in quella crisi.