La decisione del Decs di prevedere misure per la cultura indipendente è importante. Ma devono seguire budget adeguati all'indotto generato nel settore
La politica culturale deve avere la stessa dignità della politica economica, giudiziaria, ambientale o energetica. Il fatto che il Dipartimento educazione, cultura e sport abbia deciso di pubblicare delle Linee programmatiche cantonali per, appunto, la politica culturale, è da salutare con soddisfazione. A maggior ragione se si considera che quanto presentato ieri alla stampa dalla direttrice del Decs Marina Carobbio va a coprire una cultura indipendente troppo spesso lasciata sola.
La pandemia ha dimostrato la fragilità di un settore che ha potuto godere di scarse indennità di perdita di guadagno, solo dopo molta fatica, e che – il tema è stato sollevato più volte da vari attori coinvolti – ha subìto molto le conseguenze delle chiusure. Inoltre, la cultura indipendente e quella promossa da piccole associazioni sono create e diffuse da persone appassionate, che hanno alle loro spalle anni di studio, approfondimento, lavoro, esperienza. Persone che vogliono da un lato creare bellezza, dall’altro trasmettere a chi ascolta, vede o legge la loro opera emozioni, racconto, storia. Riconoscerne il ruolo è un atto doveroso.
Adesso alle parole devono seguire i fatti. Gli obiettivi e le misure proposte devono, come opportunamente ricorda anche l’associazione ‘t. Professioni dello spettacolo Svizzera’, trovare una traduzione nel budget che il Cantone dedica al sostegno della cultura indipendente. Senza che si vada a toccare, però, il contributo previsto a enti come l’Orchestra della Svizzera italiana, il Museo d’arte della Svizzera italiana, il Locarno Film Festival o ad altri enti i quali oltreché generare cultura e dare prestigio al nostro territorio sono un importante datore di lavoro: solo l’Osi ha una cinquantina di dipendenti residenti in Ticino, tra musicisti e personale amministrativo. Il sostegno al mondo della cultura deve essere garantito, non per bontà d’animo ma perché risponde a una precisa logica economica. Uno studio del Bak Basel del 2021 infatti parla chiaro: per ogni franco pubblico investito nel settore culturale in Canton Ticino se ne generano 2,58 tra indotto e valore aggiunto. Sarebbe ai limiti del suicidale non investire – e se possibile farlo anche maggiormente – in un ambito che porta non solo prestigio e arricchimento, ma pure pecunia sonante al Ticino. I detrattori, e chi parla di offerte dedicate a certe élite, sarebbe ora ne prendessero nota.
È triste prassi consolidata che nei momenti di crisi si tagli sulla cultura. Il già ministro italiano dell’economia Giulio Tremonti ebbe a dire che “con la cultura non si mangia”, dimostrando una non conoscenza della materia che colpì per la sua vastità. Queste affermazioni, come altre che si leggono a volte la domenica nel nostro Cantone, non sono solo false, ma sono atte a generare reazioni di pancia inutili e scorrette anche dal punto di vista dell’indotto. Dotarsi per la prima volta di una serie di Linee programmatiche per la politica culturale da parte dello Stato rende giustizia a chi si impegna, spesso per tutta la vita, non solo per offrire svago al pubblico. Ma per diffondere e far conoscere musica, recite, l’arte in ogni sua sfaccettatura. I tempi che ci tocca vivere dimostrano in tutta la loro cupezza quanto c’è bisogno di cultura. Per permettere di usufruirne e goderne, chi la genera deve semplicemente essere messo nelle condizioni di poterlo fare.