Quello del parlamento ticinese alle prese con il Preventivo '24 è il prodotto vistoso di quella che gli studiosi definiscono la democrazia del pubblico
Un’esibizione piuttosto sconcertante quella offerta, qualche tempo fa, dal Parlamento ticinese alle prese con il Preventivo 2024 e il dolente cruccio dei risparmi. Non mi addentro nel merito specifico delle misure approvate o respinte: non oso senza l’adeguata competenza. Capisco però che parlare solo di ciò che si conosce non è la regola nel nostro Legislativo: “Conoscere per deliberare” diceva il grande economista Luigi Einaudi ma le sue erano (se ne rendeva ben conto) “prediche inutili”.
Ho seguito con sollecita attenzione le discussioni in Gran Consiglio e, al cospetto di alcuni interventi piuttosto avventati (uso un eufemismo), ho dovuto riconoscere, con Oscar Wilde, che a volte è meglio tacere e sembrare stupidi piuttosto che aprir bocca e togliere ogni dubbio in proposito. Ho visto comportamenti per “partito preso” che buttano fuori proposte senza senno e ho visto pure, latente e sottotraccia, la persistente convinzione che conviene sgravare i ricchi se si vuole aiutare i poveri e ovviamente quelli che stanno in mezzo debbono sopportare il carico maggiore. E pazienza se, fino a oggi, la ricetta non ha funzionato.
Come cittadino sono irrimediabilmente impensierito perché ho visto il pressapochismo di politici che propongono soluzioni abborracciate e rabberciate senza nessuna idea sulle conseguenze che tutto ciò comporta, soprattutto nella sanità, nel sociale, nella formazione. Per dirla ancora con Luigi Einaudi, sono troppi i nostri rappresentanti che non si preoccupano di conoscere i dossier perché sanno già quello che devono fare! Forse bisognerebbe spiegare a certuni che quando si parla di preventivi sarebbe bene tralasciare il vergognoso “jeu de bascule” dei partiti: si può essere a destra o a sinistra di tutto ma non del buon senso! Pietro Martinelli, personalità di grande spessore e competenza riconosciuta, ha avvisato che attorno ai maneggi sul Preventivo, si aggira il vizio sociale dell’ipocrisia (laRegione, 12 febbraio): effettivamente fingere competenze, qualità e buoni sentimenti che non si hanno è una pratica piuttosto consueta. Desolante. Osservo, sommessamente, che se questo spettacolo è il meglio offerto dalla piazza politica cantonticinese, si giustificano la sfiducia e il discredito che colpiscono la democrazia rappresentativa in questi anni.
Il direttore di questo giornale ha indicato che si sono dette molte castronerie a proposito del Preventivo: le ha documentate e non ha esitato a parlare di una classe politica “carente di spessore e lungimiranza” (laRegione, 7 febbraio). Noi cittadini comuni, che alla fine paghiamo il conto di politiche scarsamente oculate, figlie di un passato recente, abbiamo il buon diritto e il dovere di indignarci di fronte a uno spettacolo che, a tratti, espone un’accozzaglia di idee confuse, una sconcertante mancanza di visioni, e pure una buona dose di arrogante supponenza. Il risultato è un frenetico immobilismo che infatti ripropone come ricetta “innovativa” per risanare le casse pubbliche il ritorno ai tagli del passato: via un po’ di funzionari, via un po’ di salario, via il carovita e magari un po’ meno welfare, e avanti di questo passo.
È il prodotto vistoso, questo spettacolo poco edificante, di quella che gli studiosi definiscono la democrazia del pubblico: a essere premiata, fra i politici, non è la qualità dei migliori (che pur ci sono, seppur soffocati da tanta zavorra) ma l’abilità di apparire e di farsi vedere.
Concludo. Il filosofo Karl R. Popper suggeriva una patente di idoneità per chi fa televisione. Propongo uguale attestato per decisori e governanti della politica: sospetto però che i rimandati sarebbero numerosi. Lo storico Eric Hobsbawm, verificata l’ignoranza diffusa di governanti schiacciati sul presente, auspicava un corso accelerato per insegnare ai politici che oltre al presente c’è un futuro da considerare con coscienza e conoscenza: non ci sono stati iscritti.
E allora comincio a pensare che aveva ragione quel tal ministro che, volendo tener lontano dalla politica le voci critiche troppo fastidiose, pregò lo scrittore Émile Zola (che non le mandava a dire) di lasciar perdere perché “(La politica) non è veramente degna di voi (intellettuali), mentre noialtri, i mediocri, siamo fatti apposta”. Involontariamente, colpiva nel segno quel tal ministro: il senso di mediocrità, di inadeguatezza di troppi politici (ripeto: non di tutti, ma di tanti) è quello che noi cittadini avvertiamo, loro molto meno. E, per quel che mi riguarda, non è una sensazione piacevole. Ma a quanto pare il malessere è condiviso, se è vero, come dicono i sondaggi, che la stragrande maggioranza dei cittadini non si fida troppo del lavoro dei propri rappresentanti. Si affannano da una crisi all’altra e, attenti al consenso, amministrano il presente privi di una visione veramente plausibile del futuro: lo dice uno studioso che si è occupato della faccenda ed è difficile dargli torto.