Gli enti locali leventinesi, pronti a schierarsi contro governo e parlamento, finora non hanno ricevuto alcun segnale di sostegno
Appello caduto nel vuoto. «Amaramente», ci viene spiegato al termine dell’incontro odierno, l’Associazione dei Comuni della Leventina riunitasi questa sera ha dovuto constatare che non vi è stato alcun seguito ai segnali da essa inviati nelle scorse settimane all’indirizzo degli altri enti locali ticinesi sulla necessità di lanciare un referendum dei Comuni contro la modifica della Legge tributaria cantonale votata dal Gran Consiglio a metà dicembre. Riforma, ricordiamo, già osteggiata da un primo referendum interpartitico della sinistra allargata, battezzato ‘Stop ai tagli!’, la cui raccolta firme è in corso e al quale quello dei Comuni avrebbe potuto dare man forte durante la campagna in vista dell’eventuale votazione popolare che sarà fissata nei prossimi mesi se saranno raccolte le 7’000 firme necessarie.
Per il referendum dei Comuni la legge indica un’adesione minima necessaria di un quinto del totale, ossia 22 su 106. Ma la preoccupazione sorta e condivisa fra tutti quelli leventinesi di fronte ai minori introiti fiscali previsti non ha superato il confine sud di Pollegio. Né dalle altre valli dell’Alto Ticino, né dal Bellinzonese e Locarnese, né tanto meno dal Luganese e Mendrisiotto è giunto ai sindaci leventinesi un solo segnale di adesione. Dagli abboccamenti avuti sotto Natale qualche voce preoccupata è invero arrivata – ci viene spiegato – ma senza poi tramutarsi in qualcosa di concreto: «Qualcuno ha fatti i conti in casa propria e le perdite finanziarie prevedibili sono importanti». Pari a complessivi 45 milioni annui, generano un malcontento diffuso. «Ma evidentemente – commenta un sindaco da noi raggiunto telefonicamente che preferisce non esporsi singolarmente in attesa di una presa di posizione collettiva – ha fatto breccia il pensiero secondo cui non bisogna tirare troppo la corda col Consiglio di Stato. E che il referendum dei Comuni, come ha sostenuto il sindaco della capitale dopo il voto parlamentare, non è il metodo più adeguato per confrontarsi col governo. Perciò in queste condizioni è davvero difficile portare avanti una battaglia nella quale comunque continuiamo a credere fermamente».
È vero che per i Comuni c’è tempo fino al 13 febbraio per depositare alla Cancelleria dello Stato una domanda di referendum, ed è vero che i sindaci sottocenerini interpellati dal nostro giornale alcuni giorni fa, più di una preoccupazione l’hanno espressa, indicando però la necessità, prima di sbilanciarsi, di consultarsi con i rispettivi municipi dopo le vacanze natalizie. Ossia questa settimana. Ma l’attuale silenzio «dice molto su come vanno le cose». In sala non è peraltro mancata la constatazione, ancora una volta critica, secondo cui dall’Associazione dei Comuni ticinesi non è pervenuto alcun tipo di segnale, anche solo di rammarico per il fatto di non essere stata pre-consultata dalla politica cantonale prima del voto in parlamento. Act che ha comunque chiesto e ottenuto che la Divisione delle contribuzioni recapitasse alle Cancellerie un documento esplicativo. Come detto, a ogni modo, c'è tempo fino al 13 febbraio.
Dal canto loro i Comuni leventinesi non demordono e nei prossimi giorni invieranno ai media e al Gran Consiglio una «dura presa di posizione pubblica» che vuol essere «dettagliata e molto critica» sulle conseguenze della riforma fiscale. La quale, se si andrà alle urne, sarà sostenuta in particolare dai redditi alti, favoriti dalla modifica votata dalla maggioranza Plr-Lega-Udc. Modifica che fra le altre cose prevede la riduzione dell’1,66% dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle persone fisiche per compensare il ritorno del coefficiente cantonale d’imposta dal 97 al 100% e la riduzione, a favore dei redditi alti, dell’aliquota massima dal 15% al 12% da qui al 2030. Ciò che si tradurrebbe, come detto, in minori entrate per 45 milioni annui nelle casse comunali. La Città di Bellinzona rischia ad esempio di dover rinunciare a 1,3-1,5 milioni.