L'ex comandante Fiorenzo Rossinelli su quella che definisce una rivoluzione: ‘La trasformazione ha comportato scompiglio, errori e leggerezze’
L’ha definita una rivoluzione, di quelle chete, capaci di stravolgere un intero sistema senza particolari contraccolpi, ma diversamente, scavando neppure troppo a fondo, in grado di minare equilibri e missione. Lui è Fiorenzo Rossinelli, già comandante del Corpo delle guardie di confine (poi Regione IV). Il suo è un silenzio rotto proprio nell’anno, il 2024, in cui cade il 130° di fondazione, la commemorazione di una nascita che potrebbe invece trasformarsi in un funerale.
Il motivo? In quello che è oggi l’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (Udsc, già Amministrazione federale delle dogane, Afd) – concepito su forte spinta del direttore generale Christian Bock, dimessosi lo scorso maggio, dunque poco più di un anno dopo l’inizio della trasformazione – sono affiorate evidenti criticità, corroborate da un certo malessere generale. Rossinelli, che conosce a fondo il settore avendo rivestito il ruolo di ufficiale dal 1976 al 2008, ne fa una lettura puntuale e oggettiva.
Ma partiamo dall’inizio: «Nel gennaio del 2022, e quasi in sordina, l’Afd è stata trasformata in Udsc, seppur – paradossalmente – sulla base di una legge concettualmente non ancora approvata! La Regione e il Circondario IV sono dunque diventati la ‘Dogana Sud’, organizzazione uguale ad altre cinque sul territorio elvetico. In seguito a questi importanti cambiamenti, il Corpo delle guardie di confine (Cgcf), considerato l’organo di sicurezza civile più importante della Confederazione, è stato semplicemente dismesso!».
Riorganizzazione che ha comportato per il personale tangibili cambiamenti: «Una buona parte è ora uniformato e armato, tutte le collaboratrici e tutti i collaboratori agiscono sotto il mantello di una generica ‘Dogana’, annunciata nelle quattro lingue nazionali sul dorso della giacca e sui veicoli di servizio; ai dirigenti spettano gradi di tipo militare. In questa importante trasformazione (o sarebbe meglio chiamarla rivoluzione?) è in atto anche un processo di digitalizzazione, e il reclutamento delle nuove leve prevede un profilo di assunzione unico riassumibile nella funzione di ‘specialista dogana e sicurezza dei confini’».
Un grande scompiglio, per utilizzare la definizione di Rossinelli, soprattutto per il fatto che «la trasformazione, elaborata in un periodo di relativa tranquillità, e in gran parte già attuata, ha portato tutti coloro che facevano parte di un Corpo a ritrovarsi all’improvviso senza la propria struttura di riferimento; in poco tempo è andato perduto lo ‘spirito’ di collegialità, senza contare le perplessità di chi, per propria scelta operativo all’interno degli uffici doganali, da un giorno all’altro si è ritrovato dapprima in uniforme e armato e poi in parte disarmato ma costretto a portare un giubbotto antiproiettile!».
Tutto ok? Non pare così «considerato che il 22 novembre – ci spiega l’ex comandante – il Dipartimento federale delle finanze ha confermato, attraverso un comunicato sul proprio sito, che la creazione del nuovo profilo professionale unico aveva dato adito a molte critiche all’interno dell’Afd prima e poi dell’Udsc, delle associazioni del personale, dei rappresentanti dell’economia e del Parlamento, tanto che a luglio dal Dff era stato dato mandato per una valutazione a una ditta specializzata. Un comunicato nel quale emergono chiaramente errori e leggerezze: si va dalla comunicazione alla pianificazione, passando per l’imposizione di uniforme e al porto dell’arma ecc. Nonostante queste evidenti criticità si suggerisce che, a causa della trasformazione digitale e per un impiego flessibile delle risorse, in linea di massima il nuovo profilo è da mantenere, in quanto orientato alle sfide future, e a supportare l’adempimento di compiti sempre più variegati. Si concludeva con una serie di raccomandazioni, a mio avviso assai controverse, sull’iter da seguire. Il nuovo direttore Pascal Lüthi, già comandante di una polizia cantonale (di Neuchâtel dal 2012 al 2023, ndr), entrato in funzione il 1° gennaio, ha tempo sino alla fine di agosto per presentare l’ulteriore sviluppo del profilo professionale».
Veniamo al dunque: «La trasformazione in Udsc è un segnale certamente forte e positivo, così come lo è la digitalizzazione sviluppata a sostegno dei collaboratori di ogni tipo, degli utenti commerciali e privati, e non da ultimo della lotta alla criminalità. Grazie a essa le operazioni possono risultare snellite e facilitate, e in questo modo aumentano anche l’efficienza e la sicurezza di collaboratrici e collaboratori. Ciò che non manca di suscitare una serie di perplessità è il profilo professionale unico. I motivi sono di natura storici, politici, legali, ma soprattutto, direi, funzionali. Come si possono unire due mondi per loro natura così diversi e complessi come quello del moderno campo delle merci e dei trasporti e quello della sempre più delicata sicurezza dei confini? Risale a poco più di un mese fa la visita a Chiasso della consigliera federale Baume-Schneider, allora a capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia, alle strutture sovraffollate del Centro federale per richiedenti asilo. Le sfide, purtroppo, non sono tanto di là da venire, ma si trovano già davanti agli occhi di tutti, in un mondo sempre più stravolto, dove alla già forte pressione migratoria negli ultimi due anni si sono aggiunti il conflitto in Ucraina e quello più recente in Medio Oriente».
Per Rossinelli vale a questo punto la pena di fare una digressione: «Il concetto di “Dogana”, dal greco Dokàne, ricevitoria, indica il luogo dove avviene l’incasso dei dazi, che rientra tra i compiti economici dell’Udsc (solo per rendere l’idea, nel 2022 i dazi hanno portato oltre 24 miliardi di franchi nelle casse della Confederazione). Finora a occuparsi di questo settore erano i tecnici doganali, poi diventati specialisti doganali (donne e uomini) non armati. Il lavoro si svolgeva (e si svolge) gomito a gomito con una serie di partner, fra cui gli spedizionieri e i colleghi italiani. E non sono mai stati registrati episodi di violenza».
Ti-Press
Fiorenzo Rossinelli
La soluzione “ibrida” del profilo unico non è dunque sostenibile? «Tengo a sottolinearlo nuovamente: in un tempo non lontano ci si occupava da una parte prevalentemente di merci, dall’altra di persone. Sorge perciò spontanea la domanda riguardo alla sensatezza di riunire sotto uno stesso profilo lo specialista doganale (che si ritrova in un mondo delle merci ampliato, con campi d’azione aumentati), e lo specialista della sicurezza dei confini, ex guardia di confine (che dovrebbe occuparsi prevalentemente di gente in transito, di migranti, di lotta al contrabbando e alla criminalità nella fascia di frontiera, in sinergia con le polizie cantonali, con la Segreteria di Stato della migrazione, la Sem, e con le analoghe forze delle nazioni confinanti). Chi si candida per un posto di lavoro è interessato a un ambito preciso, nel nostro caso vi è chi opta per il campo delle merci piuttosto che per quello della sicurezza dei confini per motivi personali. Se i primi sono consapevoli del fatto che saranno confrontati con il frenetico e smisurato mondo delle merci commerciabili di ogni tipo, e con la necessità di verifiche competenti per incamerare i tributi e garantire sicurezza ai consumatori, i secondi sanno che scegliendo di operare nel campo della sicurezza dei confini, si occuperanno di persone, in una funzione che può comportare dei rischi anche mortali! Non si arrischia così la rinuncia a una candidatura da parte di chi non è disposto a confrontarsi quotidianamente con il pericolo ma che offrirebbe un eccellente contributo nel campo prettamente doganale?».
In realtà, quindi, ora si sta operando una doppia specializzazione? «È quello che si voleva? In un rapporto dello scorso novembre della strategia di gestione integrata delle frontiere Integrated Border Management 2027 coordinata dalla Sem, si esaminano le sfide, le collaborazioni tra le autorità competenti in frontiera, e le misure da adottare. A mio avviso l’ambito ‘Sicurezza dei confini’ dovrebbe confluire in un reparto ‘speciale’ denominato ‘Guardia di frontiera’ e non più ‘di confine’, sempre sotto l’egida ‘Dogana’, un messaggio chiaro e rassicurante per la popolazione, che specifica la zona di frontiera come spazio d’azione principale. Ciò non rappresenterebbe un ritorno al passato, ma significherebbe rimanere al passo con le forze delle nazioni confinanti, faciliterebbe la formazione e sarebbe motivante».
Del resto, la nostra stessa situazione geopolitica richiede un’attenzione e una motivazione maggiori: «La Svizzera è un crocevia al centro dell’Europa, e il Ticino – continua Rossinelli – è ‘incuneato’ fra Lombardia e Piemonte, e confina con tre province. La capitale Bellinzona dista 60 chilometri da Chiasso, mentre Milano, metropoli di oltre tre milioni di abitanti, si trova a 50 chilometri, e la sola Lombardia conta più abitanti dell’intera Confederazione. Ogni giorno migliaia di frontalieri, viaggiatori, turisti, anche ‘della spesa’, e persone ‘pericolose’, transitano dai numerosi valichi stradali, da quelli ferroviari, aeroportuali; senza contare il ‘confine verde’, con la sua miriade di sentieri».
Sicurezza dei confini che riporta agli anni 70 e 80: «Dopo l’uccisione di alcune guardie di confine nel nord del Paese e in Ticino a opera di terroristi e criminali, fu introdotto il servizio a due agenti, rinunciando a presidiare i valichi minori e passando a una sorveglianza ‘dinamica’, e questo ben prima degli accordi di Schengen. Il contrabbando nel terreno lasciava gradualmente il posto a una criminalità ‘trans frontiere’, e si intensificavano gli ingressi clandestini favoriti dai cosiddetti passatori e dalle rapine ai distributori di benzina. All’inizio del 2000 la sicurezza dei confini divenne compito principale del Corpo delle guardie di confine che, da organo fiscale, venne trasformato in organo di sicurezza, dotato di un comando centralizzato a Berna sotto l’egida del Dipartimento federale delle finanze in stretta collaborazione con il Dipartimento federale di giustizia e polizia. Si stipularono convenzioni con le Polizie cantonali, mentre ci furono negoziazioni importanti con le nazioni confinanti (e non solo) per l’applicazione dei cosiddetti Accordi di riammissione delle persone trovate in situazione irregolare».
Un oggi, invece, fatto di preoccupazioni concrete: «A fronte dell’evidente necessità di un dietrofront almeno parziale, quantomeno di un ripensamento, il timore è che il processo si trovi ormai in una fase troppo avanzata e i margini di manovra siano ridotti al minimo. L’impressione di chi ha lavorato per molti anni e con dedizione in questo ambito è che si sia voluto rompere con il passato e con tutto quello che rappresenta, anche in prospettiva storica. Con amarezza e un pizzico di ironia viene da chiedersi se ci sarà una cerimonia come nel 1994, quando si festeggiò a livello nazionale il centenario del Corpo. Trent’anni dopo temiamo che ci ritroveremo forse a commemorare la sua definitiva e triste uscita di scena, e questo dopo oltre un secolo di fedele servizio alla Confederazione, alle sue cittadine e ai suoi cittadini. Mi sia concessa un’ultima nota campanilistica: il Corpo ticinese è ancora più vecchio, vide i suoi inizi il 1° febbraio 1850, fu infatti il primo unitariamente federale a livello elvetico, seguito a ruota da quello di Ginevra. Tra poche settimane compirebbe i suoi primi 174 anni, che invece rischiano di essere gli ultimi».