I Verdi interrogano il CdS sul sottosuolo: contaminato? Le Ffs rassicurano: non lo è e non va risanato. Il rapporto ambientale: coinvolgere specialisti
Fare piena luce sull’eventuale inquinamento o contaminazione del suolo dove le Officine Ffs di Bellinzona operano da 135 anni, area destinata ad accogliere il nuovo Quartiere Officine con tanto di polo tecnologico, scuole, abitazioni, commerci, cultura, autorimessa e parco pubblico. Ma soprattutto: se la bonifica completa non sarà per motivi tecnici possibile (poiché le porzioni toccate troppo profonde) o finanziariamente sostenibile (perché troppo cara), e quindi se le Ffs non si assumeranno in toto i costi della stessa, come intende procedere il Cantone e quali ripercussioni contrattuali e sulla pianificazione del sedime sono prevedibili? Queste le domande di fondo che il granconsigliere dei Verdi Marco Noi rivolge al Consiglio di Stato con un’interrogazione inoltrata ieri prendendo spunto da un caso zurighese che presenta analogie ed evidenziando l’assenza di un’informazione lineare e dettagliata relativa al comparto bellinzonese.
Il mappale 2476 misura 120’000 metri quadrati ed è iscritto nel Catasto cantonale dei siti inquinati come fondo per il quale, citiamo, “è necessario procedere a un’indagine” in base all’Ordinanza federale sui siti contaminati (Ositi). Il portale dell’Osservatorio ambientale della Svizzera italiana (Oasi) specifica in effetti che “nessuna indagine” è finora stata eseguita. Quanto al catasto, esso “si basa soprattutto su informazioni delle ditte interessate, informazioni interne delle autorità e testimonianze storiche”. Inoltre “contiene solo i dati essenziali e per l’iscrizione non sono necessarie indagini tecniche”. In definitiva “costituisce la base e la visione generale per l’ulteriore gestione”. Non è altro, dunque, che “un elenco di tutti i siti inquinati noti, indipendentemente dai loro effetti sull’ambiente”.
Rilievi alle Officine di Bellinzona sono comunque stati eseguiti, con esiti in parte tranquillizzanti. Lo dice il Rapporto d’impatto ambientale (datato dicembre 2022) commissionato dal Municipio di Bellinzona allo studio Csd Ingegneri di Lugano nell’ambito della variante di Piano particolareggiato Quartiere Officine votata dal Consiglio comunale lo scorso 4 aprile e poi impugnata con più ricorsi. “In risposta a una sollecitazione della sezione Ffs preposta allo studio dei siti inquinati – si legge a pagina 25 del rapporto – tra il 2000 e il 2007 lo Stato maggiore delle Officine principali ha sottoposto il sedime (parte a valle dei binari) a un’indagine basata sull’Ositi”. Indagine “tecnica preliminare” che “non ha escluso la presenza localizzata di inquinanti (idrocarburi e metalli) confinata nei primi strati di terreno, nelle zone di lavorazioni”. Tuttavia “i volumi e le concentrazioni non erano tali da sconfinare nell’acquifero, che non è dunque minacciato da tale inquinamento”.
Quanto al terreno, “ha mostrato solo degli imbrattamenti puntuali, ma è risultato analiticamente non inquinato”. Le varie indagini, sottolinea ancora il rapporto ambientale, “hanno permesso di escludere inquinamenti importanti nel perimetro”. In quel momento le Officine non erano iscritte al Catasto cantonale dei siti inquinati e lo sono divenute dal febbraio 2023 per evitare un vuoto giuridico temporaneo: “Esse – viene specificato nel rapporto ambientale – sono anche inserite nel catasto dei siti inquinati dell’Ufficio federale dei trasporti”. E ancora: “In fase preparatoria del Masterplan, che riassume i dati a più riprese acquisiti durante le diverse indagini intercorse sul sedime, non risulta che ve ne siano state altre in epoca più recente”.
Interpellato dalla redazione, a sua volta l’ufficio comunicazione delle Ffs conferma che le Ferrovie “hanno eseguito le indagini definite dall’Ositi. Le quali hanno permesso all’Uft di dichiarare già nel 2015 che alle Officine non sono presenti siti contaminati che devono essere risanati”. Aggiunge a ogni modo che “nel corso dello smantellamento” dello stabilimento “verranno applicate le normali prassi di analisi del materiale di scavo. Tuttavia, considerando evasa l’indagine ai sensi Ositi, al momento non sono previste ulteriori indagini”. E ribadisce che “non sono necessari risanamenti perché il sito non è contaminato. Lo smaltimento del materiale di scavo avverrà conformemente alle norme vigenti”.
Tutto bene quindi? Il Rapporto ambientale invita alla prudenza: “Poiché le indagini condotte avevano carattere puntuale con lo scopo di dare una valutazione preliminare, e viste le evidenze organolettiche (presenza locale di macchie nere) ancora oggi riscontrabili, si consiglia vivamente di accompagnare gli eventuali lavori di scavo da uno specialista ambientale che possa definire la necessità di indagini integrative e assicurare l’opportuno smaltimento: non dovrà essere lasciato alcun inquinamento residuo e tutte le operazioni di smaltimento dovranno essere opportunamente documentate”. Il rapporto chiude con un’indicazione netta: “Si presuppone che la trasformazione del sedime comporti la bonifica di tutte le aree interessate”, perciò “non dovrà rimanere iscritto nel Catasto cantonale di siti inquinati. L’alienazione necessita di un’autorizzazione dell’autorità competente”.
Ma cosa dice l’Ufficio federale dei trasporti? Anzitutto le Officine figurano nel suo catasto in modo più dettagliato di quanto mostrino i portali dell’Oasi e della Confederazione dedicato ai siti contaminati in Svizzera. L’Uft seziona il sito padiglione per padiglione, area di lavorazione per area di lavorazione: in due casi su 18 – ossia i due punti di distribuzione carburante diesel – afferma che il terreno è “inquinato”, che il settore “minacciato è quello delle acque sotterranee” ma che è ancora “necessario procedere a un’indagine preliminare per stabilire se dev’essere monitorato o risanato”. Negli altri 16 casi risulta che l’indagine preliminare è stata eseguita (ndr: le Ffs confermano ma l’Oasi no) e che il sito risulta “inquinato” ma “in base ai risultati non dev’essere né sorvegliato né risanato”. Parliamo delle aree per il travaso nafta, campo di manovra settori con scambi, area asportazione amianto, smontaggio carri, locali lavaggio, ex pozzo perdente, distributore benzina, ex locale tempratura, ex locale lavaggio e verniciatura locomotori, stoccaggio e travaso olio, carrello trasbordatore.
Nell’autunno 2019 il tema amianto alle Officine era tornato d’attualità con nuove testimonianze su come l’isolante termico, nel lontano passato applicato a vagoni e locomotive, veniva eliminato negli anni 80 e 90 con procedimenti inadatti a tal punto da causare il decesso di più operai. La domanda s’impone: l’amianto è finito nell’ambiente e nel sottosuolo? «L’anno scorso – ci spiegava nel 2019 la direttrice Ffs regione sud, Roberta Cattaneo – quando è iniziato l’iter per la realizzazione della nuova officina a Castione, specialisti da noi incaricati hanno eseguito carotaggi nell’attuale stabilimento. Le verifiche non hanno evidenziato presenza di amianto nel sottosuolo. Sono previsti ulteriori sondaggi che andranno ancora più in profondità per verificare se l’attività industriale più che secolare abbia inquinato o, peggio, contaminato il terreno». In caso affermativo «si renderanno necessarie azioni di risanamento o, nelle situazioni più pesanti, bonifica».
Considerata la situazione e un quadro generale affatto chiaro, a mente dei Verdi s’impone una supervisione cantonale su quanto dovranno ulteriormente analizzare e fare a loro spese le Ffs in base alla Dichiarazione d’intenti firmata l’11 dicembre 2017 da Ffs, Cantone e Città (gli ultimi due diventeranno proprietari di metà sedime sborsando 100 e rispettivamente 20 milioni). Infatti il deputato Marco Noi ricorda che in base all’articolo 7 dell’Ositi spetta all’autorità esigere l’esecuzione di un’indagine preliminare; inoltre (articolo 8) in base ai risultati è sempre l’autorità a stabilire se il terreno dovrà essere risanato, monitorato o nessuno dei due. In caso di risanamento necessario, l’articolo 14 sancisce l’obbligo di un’indagine dettagliata per meglio ponderare la necessità e l’urgenza della bonifica. L’indagine dettagliata, avverte dal canto suo la Confederazione, “deve fornire informazioni precise sul tipo e la portata dell’inquinamento e sui suoi possibili effetti sull’ambiente. Questi dati sono necessari affinché l’autorità possa stabilire, d’intesa con chi è tenuto al risanamento, l’urgenza e gli obiettivi generali della bonifica”.
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Marco Noi, deputato dei Verdi
Intanto Marco Noi ne è certo: “Poiché il sedime è occupato da oltre un secolo da un’attività industriale pesante, è probabilissimo che sia altrettanto pesantemente impregnato di sostanze inquinanti. Per inciso, si evidenzia che a Zurigo per la zona industriale Sulzer, in precedenza Escher Wyss, dunque una zona con attività industriali analoghe a quelle delle Officine di Bellinzona, la prevista bonifica del terreno ha dovuto essere abbandonata per ragioni di costi e il terreno ha dovuto essere impermeabilizzato con del cemento, per evitare ulteriori infiltrazioni verso la falda. Perciò il Cantone verifichi che gli agenti inquinanti non mettano in pericolo ora e in futuro la cittadinanza e in secondo luogo che sia pienamente salvaguardato l’investimento già di per sé fuori mercato a Bellinzona per l’acquisto dei 45’000 metri quadrati”. Da qui una serie di domande volte a capire come il governo intenda far rispettare alle Ffs, quale perturbatore per comportamento, le norme ambientali sui siti inquinati, a cominciare dalle modalità di accertamento. Nel dettaglio: da chi e quando sono state fatte le indagini preliminari e di dettaglio e quali risultati hanno dato? In caso negativo, il CdS ha definito modalità e scadenze entro le quali le Ffs devono far fare tali indagini e le eventuali bonifiche? Intende rendere pubblici i risultati? Intende assicurarsi che l’atto di compravendita venga concluso solamente dopo aver fatto eseguire le dovute analisi e siglato l’impegno inderogabile da parte delle Ffs a sostenere tutti i costi della bonifica? Infine, se la bonifica completa del sedime non dovesse per svariate ragioni essere possibile, come intende procedere il CdS? E quali ripercussioni contrattuali e sulla pianificazione del sedime potrebbero esserci?
La domanda s’impone: un’eventuale bonifica – qualora risultasse necessaria su vasta scala – sarebbe tecnicamente possibile e finanziariamente sostenibile? Due esempi indicano quanto operazioni del genere siano assai complicate e onerose e possano facilmente celare brutte sorprese. La parte di ex Monteforno di Bodio e Giornico nel frattempo trasformata in Centro di controllo dei Tir lungo l’autostrada del Gottardo ha richiesto per la bonifica 32 milioni di franchi (inizialmente se n’erano stimati la metà) in parte assunti dall’Ufficio federale delle strade (Ustra) e in parte dalla società proprietaria in precedenza che però non era all’origine dell’inquinamento. C’è poi l’area Escher Wyss di 145’000 metri quadrati dove sino a fine ’800 ha operato una fabbrica di imbarcazioni e turbine con tanto di fonderia. Area nel frattempo rivitalizzata su iniziativa di Sulzer Immobilien Ag diventando così la più grande zona di sviluppo urbano di Zurigo-ovest dotata di polo tecnologico e terziario.
Ebbene, alla redazione risulta che proprio dove nel 1993 è stato inaugurato il Techopark di 20’000 metri quadrati, il risanamento del sottosuolo si sia dovuto spingere fino a una profondità inaspettata di 6 metri. La spesa iniziale di 400 franchi al metro cubo è quindi raddoppiata raggiungendo quota 900, per un terreno occupato in precedenza da baracche e usato come deposito della sabbia di fonderia. Totale speso per la bonifica, 60 milioni a carico dei proprietari. Non meglio è andata alla prospiciente Turbineplatz, che con i suoi 10’000 metri quadrati è la piazza più grande della città sulla Limmat. Voluta come spazio aperto nel Piano particolareggiato del comparto Escher Wyss, è sorta nel 2003 dove prima c’era un’officina; il cui tetto, una volta dismessa, si era degradato a tal punto che la pioggia per decenni ha spinto ancora più in profondità gli inquinanti. Infine il sottosuolo è risultato talmente impregnato d’olio usato per raffreddare e lubrificare i macchinari industriali, che ci sono voluti due anni per toglierlo immettendo nella voragine enormi quantità d’acqua così da riportarlo in superficie, recuperarlo e smaltirlo. Costo della brutta sorpresa, anche qui, diverse decine di milioni. Molto più del previsto.