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La casa del Postino è salva (forse)

È quella del film con Troisi, oggetto di battaglia legale tra gli speculatori e il proprietario, ex hippie, pittore e scrittore non interessato al denaro

‘La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve’ (Mario)

È una casa rosa addossata alla collina. È qui che Mario Ruoppolo pedala per portare la posta a Pablo Neruda ne ‘Il Postino’, con Massimo Troisi nel ruolo del postino e Philippe Noiret in quello del poeta cileno. Il celebre film di Michael Radford è stato girato in questa pittoresca casa agricola rustica di Pollara, l’angolo più remoto di Salina, nell’arcipelago delle Eolie. Racconta la storia dell’esilio italiano di Pablo Neruda, senatore comunista cileno che lasciò il suo Paese per sfuggire al mandato di cattura emesso dal dittatore Videla.

Mario non sa bene cosa fare della sua vita... Non vuole fare il pescatore come suo padre e come tutti i paesani analfabeti di questo meridione dei primi anni Cinquanta, che si vedono tirare su le barche in ripari scavati nelle vertiginose scogliere ai piedi della casa – che esistono ancora. Poiché sa leggere e scrivere un po’ e possiede una bicicletta, ottiene un lavoro come postino, nonostante sia pagato una miseria, per consegnare la posta all’unico abitante dell’isola che ne riceve, il famoso poeta.

Metafore per conquistare le donne

Incuriosito dal fascino che Neruda esercita sulle donne, a giudicare dalle mittenti delle lettere, si avvicina al poeta per imparare a formulare metafore. “Sto cercando un aggettivo per le reti da pesca: come diresti che sono?”, gli chiede un giorno quest’ultimo, a corto di ispirazione. “Tristi”, risponde senza esitazione l’apprendista poeta, incurante del fascino che la vita semplice dell’isola esercita su questo cileno borghese, per quanto comunista. Il quale lo incoraggia a lottare per l’approvvigionamento dell’acqua, che a Salina scarseggia perché viene portata con le navi cisterne – è così ancora oggi per l’acqua potabile – e gli trasmette le sue idee comuniste, nonché l’arte di guardare la natura con gli occhi di un poeta.

La natura umana soprattutto, perché è per sedurre la procace Beatrice che Mario inizia a scrivere poesie. I suoi versi le vanno dritti al cuore, nonostante le grida della zia che veglia sulla virtù della ragazza, e Mario continua a scriverli anche dopo il ritorno di Neruda in Cile. Aprendo gli occhi sulla bellezza della sua terra natale, gli invia una registrazione dei suoni del mare, del vento, delle stelle e delle campane della chiesa il giorno dell’Addolorata. Quando Pablo Neruda, dopo essersi apparentemente dimenticato di lui per molto tempo, torna a Salina, viene a sapere che Mario è stato ucciso in una manifestazione filocomunista dove stava per leggere una poesia. Ma vi ritrova commosso la moglie Beatrice e il figlio Pablito.

Il finale del film è un’eco triste della realtà: Massimo Troisi morì d’infarto poco dopo le riprese, all’età di 41 anni.


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La casa del Postino (1)

Casa di uno zio sacerdote, amante della fotografia

Oggi la casa del Postino è un po’ fatiscente, ma esercita ancora un forte fascino. È arroccata su ripide scogliere dove nidificano i falchi della regina, una specie rara che, a differenza dei suoi simili, rimane in famiglia tutta la vita.

Risalendo dall’enorme baia dove sono state girate le scene di pesca e le passeggiate sulla spiaggia – e dopo essersi fatti pungere da una delle numerose meduse che infestavano le sue acque scure a metà ottobre – si oltrepassa un cancello aperto e si raggiunge una tipica costruzione eoliana a colonnate, sormontata da una pergola su cui si arrampicano piante selvatiche. Cercando di respingere l’assalto delle zanzare, ci si spinge fino alla porta, dove sono incollate pagine di vecchi giornali che raccontano di una disputa tra il proprietario dell’edificio e imprenditori accusati di speculazione edile.

Qual è la storia? “La casa apparteneva a mio zio, Giovanni Marchetti, che era sacerdote a Malfa [il paese vicino] e ha donato tutti i suoi beni al Comune, ma ha tenuto questa casa perché era appassionato di fotografia e amava il posto”, spiega Pippo Cafarella, contattato telefonicamente mentre si accinge a partire per la Svizzera, dove si trova la sua compagna. “Tutti i beni andarono in abbandono, ma quando avevo nove anni mi sono innamorato di questo posto, dove venivamo in barca da Malfa. All’epoca, la casa era un mezzo rudere”, continua il pittore, poeta e scrittore settantenne, che è stato anche segretario del Pci a Salina.

Pressioni e minacce

Negli anni 70, facendo l’autostop, conosce degli hippie, vive nelle comuni – tra cui quella di Ovada, una delle più grandi d’Europa – e torna con loro “in questo luogo magico”, che restaurano. “Il posto è particolarmente bello, ma è rapidamente caduto nel mirino di coloro che volevano farci i soldi. E ancora non capiscono perché io non voglio produrre denaro!”.

Racconta che dopo le riprese del film, la casa è diventata molto famosa e appetibile, e i primi a farsi avanti sono stati gli attuali amministratori di Malfa, che volevano comprarla, affittarla o unire le forze per trasformarla nel miglior ristorante del Mediterraneo. Ma lui rifiutò ogni offerta di vendita, anche quella di un ricco emiro.

“Quindici anni fa, con la mia compagna svizzera, decidemmo di lasciare il nostro lavoro e di venire a vivere sulle isole, continua. Vivevamo nella casa di Pollara, ma qualcuno stava realizzando lavori illegali nei rifugi scavati nelle grotte sotto casa. Sporsi denuncia. Un giorno, quando ero solo, vennero a cercare di convincermi di ritirarla, ma io rifiutai. Sembrava tutto finito, ma mesi dopo tornarono tre uomini e mi picchiarono. Sporsi di nuovo denuncia, ma non ai carabinieri di Salina, ritenendo che fossero collusi, bensì fuori, a Messina. Iniziò un processo interminabile. Mi resi conto di quanto fosse terribile l’atmosfera che si respira qui, anche se avevo già lottato per la tutela dell’ambiente”.


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Troisi e Signoret

Ordine di demolizione

Aggiunge che lo scorso inverno, mentre si trovava a Ginevra, ha ricevuto un ordine di demolizione della casa nel quale si adduceva che più della metà di essa fosse abusiva. Subito dopo le riprese del film, aveva presentato una richiesta di vincolo di tutela legale che poneva la casa sotto la protezione dell’Unesco, “ma non è mai stato emesso, precisa. C’è da chiedersi come mai questo grande ritardo e come mai le denunce di abusivismo provengono dalle persone che hanno usucapito il rudere accanto. L’eventuale costruzione accanto alla casa del Postino toglierebbe la poesia del film”. Cafarella continua: “Ho avuto dieci giorni per cercare le prove, ma durante uno dei primi episodi, venti anni fa, sono entrati in casa mentre ero via e hanno distrutto i documenti e i libri. Non avevo più nulla. Per fortuna un amico mi ha mandato delle foto della casa scattate dall’alto della collina e ho potuto dimostrare che non era stata costruita senza permesso”.

Anche grazie a queste prove, i giudici hanno deciso per il momento che la casa non deve essere demolita. Ora devono ottenere la ratifica del presidente della Regione che, secondo il proprietario, non può dire il contrario. “Il mio avvocato dice che grosso modo la situazione è risolta. Ma la mia vita è diventata un inferno. Fanno pressione sulle persone e le intimidiscono in tutti i modi. Tutti hanno paura e non ne parlano, ma io non mi arrendo”, conclude Pippo Cafarella, più combattivo che mai.


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La casa del Postino (2)