La consigliera federale sarà lunedì a Chiasso. Smorza i toni del dibattito sull’asilo. E dice: ‘Non mi lascio impressionare. Anzi’
Signora consigliera federale, la campagna elettorale è alle spalle ma l’Udc non molla la presa: insiste sul “caos dell’asilo”. Come vive quest’inasprimento del discorso politico?
Mi stimola ad attenermi rigorosamente ai fatti, a fornire – cifre alla mano, se necessario – informazioni documentate e verificate, a spiegare e a mostrare quali effetti tangibili hanno le decisioni prese dal Consiglio federale in materia di migrazione e asilo. Questo tipo di narrazione a volte mi inquieta, perché tende a instillare una sensazione di paura nella popolazione. Una sensazione che è fuori luogo.
Auspica un dibattito più pacato, un abbassamento dei toni?
Sì. Mi piacerebbe che l’attenzione dei politici si focalizzasse su quel che succede veramente: ad esempio alle frontiere, oppure nei centri federali d’asilo [Cfa, ndr] e attorno a queste strutture. Ritengo che sia responsabilità dei politici prestare la dovuta attenzione alla trasparenza e alla qualità delle informazioni che vengono diffuse e che alimentano il dibattito. Un dibattito che dovrebbe essere corretto, negli argomenti che vengono avanzati.
Trova che non lo sia, corretto?
Lo trovo divisivo. Il più delle volte si gioca su impressioni, sensazioni, anziché avanzare quegli elementi fattuali indispensabili per una corretta comprensione. Un esempio: le richieste d’asilo sono in crescita ovunque in Europa, la quota relativa di quelle depositate in Svizzera non aumenta. Dunque è sbagliato affermare che la Svizzera subisce in maniera particolare la pressione migratoria. Capisco che la percezione possa essere un’altra. Ma non dobbiamo nemmeno perdere di vista il fatto che solo il 3 per cento delle persone che arrivano alle nostre frontiere deposita una domanda d’asilo: la grande maggioranza lascia di nuovo immediatamente la Svizzera.
Però in termini assoluti il numero di richieste d’asilo in Svizzera continua a crescere. Cosa dobbiamo aspettarci nelle prossime settimane?
Lo scenario rimane quello di mezzo: circa 28mila domande per il 2023. Non siamo in una situazione di crisi, ma siamo tuttora messi alla prova. La situazione richiede una grande attenzione. Così come un dialogo e una collaborazione di qualità con i cantoni, i comuni e l’esercito: è un aspetto al quale tengo molto. Lavorare in partenariato fa parte del mio Dna politico.
Qual è la probabilità che la Confederazione – a causa della mancanza di posti letto nei Cfa – debba tornare a trasferire anticipatamente richiedenti asilo ai cantoni, com’era avvenuto lo scorso anno?
Sono ragionevolmente fiduciosa. Il lavoro non è facile. Ma siamo quotidianamente in contatto con i cantoni, le città, l’esercito. E riusciremo a trovare delle soluzioni. L’esercito metterà a disposizione strutture addizionali a partire dalla prossima settimana. Lo stesso fanno alcuni cantoni. Sappiamo però che gli imprevisti (un focolaio di morbillo in un centro federale, ad esempio) sono sempre dietro l’angolo, e possono modificare la situazione da un momento all’altro.
Il progetto dei villaggi di container per l’accoglienza temporanea dei richiedenti asilo è sfumato in Parlamento. E a settembre il Consiglio degli Stati vi ha chiesto una “pianificazione strategica delle capacità”. Non ha nulla da rimproverarsi in proposito?
Il Parlamento non ha voluto i container proposti dal Consiglio federale. I cantoni sono stati i primi a essere sorpresi, delusi. Ne abbiamo preso atto. Da allora lavoriamo di concerto con loro, con le città e i comuni a una pianificazione che ci permetta di disporre di un volume di alloggi adeguato e quindi di non doverci trovare costretti, ogni anno, a cercare spasmodicamente posti letto per ospitare i richiedenti asilo. Un lavoro complicato, che sottrae risorse al trattamento dei dossier.
Diversi cantoni non vogliono mettere a disposizione della Confederazione rifugi di protezione civile o altre strutture per l’accoglienza temporanea dei richiedenti asilo. Si ha l’impressione che i rapporti tra Confederazione e cantoni siano ancora tesi, nonostante l’accordo annunciato ad agosto.
No, le relazioni sono buone. Siamo in un dialogo costruttivo.
A fine agosto il consigliere di Stato Norman Gobbi affermava che, in materia di alloggi per i richiedenti asilo, il Ticino sta già facendo ampiamente la sua parte; altri cantoni – quelli della Svizzera centrale in particolare – no. Condivide la sua valutazione?
La capisco. La riforma del sistema d’asilo [approvata in votazione popolare nel 2013, ndr] poggia sulla solidarietà tra le diverse ‘regioni d’asilo’ [il Ticino ne forma una assieme alla Svizzera centrale, ndr]. In Ticino ha sede un grande Cfa: per questo ogni anno – quale contropartita – la Confederazione gli attribuisce 132 richiedenti asilo in meno nel quadro della cosiddetta ‘procedura ampliata’. Nella Svizzera centrale, invece, le discussioni al riguardo sono ancora in corso. Ricordo anche che i piani iniziali prevedevano di creare in Svizzera due centri speciali per richiedenti recalcitranti. Al momento ne abbiamo uno solo [a Les Verrières, nel canton Neuchâtel, ndr]; stiamo sempre cercando il secondo. Ripeto: tutti i cantoni devono sentirsi coinvolti, in modo solidale.
Lunedì sarà a Chiasso. Sono mesi che in Ticino si invoca questa visita. Perché ci ha messo così tanto a decidere di venire?
Ero in Ticino già in gennaio, assieme a una commissione parlamentare, per visitare il centro federale di Chiasso. Ho contatti regolari con il consigliere di Stato Norman Gobbi. E da tempo era previsto che venissi in Ticino quest’autunno.
Le autorità di Chiasso, Balerna e Novazzano non vogliono sentir parlare di un nuovo Cfa – quello di Pasture – da 600 posti letto: si aspettano che vengano rispettati gli accordi iniziali (350 posti). È in grado di rassicurarle in qualche modo?
Conosciamo bene la situazione. Attualmente il tasso di occupazione delle strutture in Ticino è elevato, come lo è in tutta la Svizzera. Sì, l’accordo iniziale era di 350 posti letto. Poi però, a causa della pandemia, abbiamo avuto bisogno di più spazio per ospitare lo stesso numero di richiedenti. E la guerra in Ucraina ha ulteriormente sollecitato il sistema. Abbiamo così utilizzato gli spazi di riserva concordati con il Cantone e il comune per alloggiare circa 300 persone supplementari. La soluzione attuale è temporanea. La Segreteria di Stato della migrazione (Sem) ha chiesto di poterla prorogare fino alla fine di giugno 2024.
La presunta violenza sessuale su un treno tra Lugano e Chiasso ai danni di una minorenne da parte di due richiedenti asilo algerini ha fatto scalpore recentemente in Ticino. C’è chi la considera la riprova che l’ordine pubblico e la sicurezza a Chiasso e dintorni sono compromessi. Si tratta ‘solo’ di casi limite, oppure la situazione sta sfuggendo di mano?
Ogni fatto del genere è di troppo, e va perseguito e condannato. Capisco che la popolazione delle volte possa perdere la pazienza, essere sconcertata. Soprattutto se vede ancora in giro qualcuno che si è comportato male o ha commesso un reato. Gli interventi della polizia attorno al Cfa di Chiasso sono aumentati. Ma la situazione non è affatto fuori controllo. La stragrande maggioranza dei richiedenti asilo si comporta correttamente. E la Sem, i responsabili del centro e la polizia – cantonale e comunale – collaborano intensamente, in modo proficuo. Sostengo peraltro il suggerimento del Consiglio di Stato ticinese di creare una base legale che consenta di imporre sanzioni disciplinari, in aggiunta al perseguimento penale, ai richiedenti asilo che commettono reati anche oltre le immediate vicinanze di un Cfa.
Le si rinfaccia di gestire male il dossier asilo. La ‘Nzz’ ha scritto di recente che “sembra sopraffatta”. E l’Udc la considera “un rischio per la sicurezza della popolazione”. Ha qualcosa da rimproverarsi (una mancanza di comunicazione, per esempio) riguardo alla situazione al confine meridionale?
Sono consapevole della responsabilità che ho e dell’importanza della comunicazione. E prendo sul serio le critiche. Però non mi lascio impressionare dai termini che qualcuno utilizza. Anzi, come ho detto all’inizio: questo mi stimola a essere ancora più efficiente nel mio lavoro.
Non si potrebbe ‘aprire’ maggiormente il Cfa di Chiasso alle iniziative delle associazioni locali, anche per smorzare sul nascere incomprensioni, problemi e critiche?
Trovo l’idea molto interessante. Anche perché in Svizzera sono molte le persone che si mostrano solidali, o che vorrebbero fare qualcosa. L’equilibrio però è delicato. Spetta ai responsabili dei centri federali d’asilo capire cosa si possa fare, concretamente, per migliorare la comprensione di questa realtà e la convivenza con la popolazione locale. Le discussioni che ho avuto con un gruppo di abitanti di Boudry [nel canton Neuchâtel, dove ha sede un Cfa, ndr] hanno dimostrato che da parte della popolazione c’è un grande interesse a conoscere il vissuto degli ospiti del Cfa. Ed è importante che chi desidera impegnarsi in questo senso, in un modo o in un altro, a titolo volontario, possa farlo.
La Germania e una decina di altri Paesi dell’Ue hanno reintrodotto i controlli alle frontiere. Perché la Svizzera, al centro dell’Europa, non dovrebbe fare lo stesso?
A fine settembre agenti supplementari sono stati trasferiti temporaneamente alla frontiera sud. Da allora i controlli sono stati intensificati. Della questione si è parlato a lungo in occasione del recente incontro dei ministri dell’interno dell’Ue a Lussemburgo. Ogni volta che i controlli alle frontiere vengono introdotti, lo spazio Schengen – uno dei pilastri del progetto europeo – viene per così dire spezzettato. Per questa ragione la riforma del patto migratorio europeo è indispensabile. Il sistema attuale non è più sufficientemente resiliente per rispondere alle crisi. Ma, al di là di questo, e della narrazione che in molti Paesi viene fatta: si tratta poi di vedere cosa effettivamente viene realizzato, e perché, in materia di controlli alla frontiera. In Germania, ad esempio, sono stati reintrodotti a seguito di un incidente della circolazione in cui sono morti sette migranti trasportati in un minibus: l’idea, qui e altrove, è dunque quella di combattere la migrazione irregolare e questo flagello che sono le reti di passatori.
La modifica della prassi relativa alle donne afghane ha suscitato non poche critiche, soprattutto da parte di Udc e Plr. Il Parlamento vi dedicherà una sessione straordinaria a dicembre. Anche qui, nulla da rimproverarsi?
Assolutamente no. La situazione delle donne in Afghanistan è fortemente peggiorata dopo l’avvento al potere dei talebani. Dell’evoluzione della prassi della Sem [emersa soltanto nelle scorse settimane, ndr] aveva parlato già in maggio il Consiglio federale, in una risposta al Parlamento. Nulla è stato fatto in gran segreto. La Svizzera, come molti altri Paesi europei, segue le raccomandazioni dell’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo.