laR+ IL COMMENTO

La sconfitta morale di Israele

L’accecante sete di vendetta, smisurata, l’ira funesta di Netanyahu ribalta nell’opinione pubblica le coordinate: le vittime si tramutano in carnefici

In sintesi:
  • La sconfitta morale di Israele si misura nelle piazze in cui dal Medio Oriente all’Europa fino ai campus statunitensi si sono riversate folle mai viste negli ultimi anni
  • Secondo diverse fonti israeliane e americane, il governo dello Stato ebraico di fatto non ha nessun piano per l’immediato futuro
(Keystone)

Saranno forse un po’ abusate le parole che lo storico Tacito fa dire a Calgaco nel suo appello alla resistenza contro gli invasori romani. Eppure mai come ora il celebre monito sembra riflettere la realtà. Quel “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” (“Dove fanno il deserto lo chiamano pace”) pronunciato dal capo dei Caledoni che si ribella all’imperialismo di Roma, racchiude nella sua crudezza la drammatica realtà che si consuma sotto i nostri occhi a Gaza. In pochi giorni il governo israeliano ha bruciato il capitale di solidarietà che il 7 ottobre gli ha consegnato la mattanza dei militanti di Hamas. L’accecante sete di smisurata vendetta, l’ira funesta di Netanyahu ribalta nell’opinione pubblica le coordinate: le vittime si tramutano in carnefici.

La sconfitta morale di Israele si misura nelle piazze (ben meno solerti a denunciare vittime ebree o ucraine) in cui dal Medio Oriente all’Europa fino ai campus statunitensi si sono riversate folle mai viste negli ultimi anni. Si misura anche nell’inquietante mancanza di empatia per le vittime del pogrom di Hamas (giustamente denunciata in un angosciante appello dalla sinistra israeliana, alla cui testa troviamo lo scrittore David Grossman), e si legge infine nell’allarmante ritorno dell’antisemitismo. Come può pensare il premier israeliano di poter schermirsi all’infinito con la memoria della Shoah per giustificare i suoi crimini di guerra (Amnesty International, Human Rights Watch)? Seconda sconfitta per lo Stato ebraico, quella politica.

Cadendo nella trappola tesa da Hamas, Israele è riuscito nell’impensabile impresa di unire (almeno provvisoriamente) Iran, buona parte del mondo arabo e Turchia, offrendo addirittura al persecutore dei curdi, il presidente Erdogan, un palco per mostrarsi al mondo paladino dei diritti dei popoli oppressi. Il colmo. L’ostinato e decennale rifiuto israeliano di riaprire trattative per la creazione di due Stati, l’incessante colonizzazione in Cisgiordania in aperta violazione del diritto internazionale, hanno fortemente indebolito i moderati dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) e creato l’humus sul quale è cresciuto l’estremismo islamista: Gaza fabbrica di terroristi, con i suoi giovani che come fiere in gabbia hanno visto crescere negli anni rabbia, frustrazione e odio.

Certo Israele non poteva rimanere senza reagire, il suo diritto all’autodifesa è sacrosanto. Ma scatenare l’inferno uccidendo migliaia di civili per fare tabula rasa ricorda più il furore biblico (“Il Signore ascoltò l’invocazione degli Israeliti e diede loro la vittoria su quei Cananei. Gli Israeliti li uccisero e distrussero completamente le loro città”. Numeri 21:3) che non una strategia politico-militare. Secondo diverse fonti israeliane e americane, il governo dello Stato ebraico di fatto non ha nessun piano per l’immediato futuro. Tre gli scenari immaginabili, uno peggio dell’altro: occupazione di Gaza (è quanto vorrebbe il sionismo religioso), invasione e distruzione di Hamas e ritiro (creerebbe un vuoto politico pericoloso), portare l’Anp a Gaza (difficile immaginare che Abu Mazen possa accettare di passare per collaborazionista). Insomma un’impasse totale con catastrofiche conseguenze a medio termine per l’intera regione. Certo la vittoria militare è più che probabile, ma per Israele neanche il deserto a questo punto sarebbe garanzia di pace.