Prosegue l'eterna lite tra giudici e figliocci politici di Berlusconi. Un cortocircuito che dimostra l'incapacità di vedere dove finisce il proprio ruolo
Non basterebbe una camionata di pesche per far riconciliare la magistratura e la destra italiana. Due realtà che dovrebbero essere nate per andare a braccetto che invece si guardano in cagnesco e si urlano addosso come sguaiate troniste nelle tonnare tv del pomeriggio.
La diatriba non ha nemmeno bisogno di temerari retroscenisti politici nascosti nei gabinetti di giudici e ministri per essere portata a galla. È ormai a galla da decenni, odorosa e lorda come altre evacuazioni da gabinetto.
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“La legge è uguale per tutti”, dicono
Sembrava che il tramonto politico e poi la morte di Berlusconi potessero riportare un po’, se non di pace, almeno di rispetto tra la destra e i magistrati. Ma l’incapacità di Salvini nel navigare le stesse acque di Carola Rackete prima e le leggi varate dal governo Meloni sui trattenimenti dei migranti sbertucciate dai giudici di Catania poi (che parlano di conflitto evidente con la normativa europea; ergo, quella legge, così com’è, non andava nemmeno pensata) ci hanno ricordato quanto l’incompatibilità sia allo stesso tempo più profonda e – come detto – sotto gli occhi di tutti.
La colpa è della destra italiana, che quando sale al governo si dimentica della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), ma anche di una larga fetta della magistratura, che è colta dalle stesse amnesie, con narcisisti convinti di non avere indosso la toga, ma costumi da supereroe.
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La giudice Ilda Boccassini, nemica giurata di Berlusconi
Di giudici – talvolta bravissimi – colti da manie di protagonismo si è perso il conto: Antonio Di Pietro (dominatore delle aule di tribunale che sembrava un bambino che aveva smarrito la mamma in quelle del parlamento), Ilda Boccassini (scaduta nel gossip scrivendo memorie pruriginose sui rapporti extraconiugali con il giudice Falcone), Luigi De Magistris (che ha governato Napoli con piglio da viceré), Antonio Ingroia (i cui voti ricevuti sono sempre stati inversamente proporzionali al suo ego) sono solo i più famosi. Dietro e tutt’intorno ai nomi illustri c’è una casta che – a certi livelli – ha spesso fatto fatica a riconoscere dove finisce il proprio ambito.
Se cerchi la notorietà più della verità e le tue ragioni più delle prove, poi cadere è un attimo. E finora in troppi hanno provato a fare politica senza i voti, salvo poi dimostrarsi incapaci di farla una volta votati.
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Una fan di Berlusconi, nel 2011, dice la sua fuori dal processo Ruby
All’altro angolo del ring una destra a cui il manuale del buon conservatore suggerirebbe un’anima legalitaria e rispettosa dei ruoli. Invece si inveisce contro i presidenti della Repubblica, si bastona il poverocristo e si brinda con chi ha già tanto, promettendogli tutto: e giù condoni fiscali ed edilizi, scappatoie, leggi ad personam, tempi dilatati nei processi. Una giustizia a elastico, da allargare e stringere a seconda di chi ci finisce dentro e di cui Berlusconi è stato non un clamoroso caso a sé, ma un modello, vedremo quanto replicabile.
E chi temeva che il governo più a destra della storia repubblicana somigliasse troppo a “quando c’era Lvi”, Sua Eccellenza, si sta rendendo conto che è un po’ come se ci fosse ancora Lui, Sua Emittenza.
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Sergio Mattarella e Giorgia Meloni