‘Joni Mitchell at Newport’ (Rhino) – ★★★★✩ – Più che un concerto, un atto d'amore collettivo verso la madre del songwriting
“Io e i miei amici siamo qui oggi per ricreare per voi una Joni Jam, siamo qui per invitarvi nel salotto. Quindi chiudete gli occhi e trasportatevi nella California del sud, se potete. Siete voi e noi”. Poi, in quello che pare un tributo, si scopre che parteciperà anche il tributato. “Facciamo la storia insieme”, dice Brandi Carlile. “Date il benvenuto sul palco di Newport, per la prima volta dal 1969, a Joni Mitchell”.
Le Joni Jam sono state le jam session nella casa californiana di Joni Mitchell, madre di tutte le cantautrici e, perché no, anche di molti cantautori. L’abbraccio musicale e umano della convalescenza regalatole da una manciata di amici, amiche, devoti e devote, ha riportato alla musica l’artista, colpita da aneurisma nel 2015. Dagli happening musicali dai quali sono transitati Bonnie Raitt, Elton John, Herbie Hancock e tanti altri, è nato il concerto del 24 giugno 2022 al Newport Folk Festival, guidato dalla prima all’ultima nota da Brandi Carlile, nove Grammy, faro della causa LGBT dalla voce limpida e capace di visitare in pieno i registri di Mitchell, tanto in quest’album – nel quale la prende per mano, pronta a lasciarla andare quando ella desidera – che, ancor prima, nella riproposizione per intero di ‘Blue’, album del 1971, suonato il 7 novembre del 2021 alla Carnagie Hall, tempio newyorkese della musica classica e popolare, nella notte del 78esimo compleanno della oggi 79enne maestra.
A Cbs Mornings, giusto un anno fa, Carlile rivelava la genesi del ritorno sul palco di Joni Mitchell, palesatosi nella sua mente “la prima volta che (Joni, ndr) ha aperto la bocca per cantare ‘Summertime’ e ho visto Herbie Hancock scoppiare a piangere, e il resto della stanza appesa a un respiro. Non so come, ho subito pensato a Newport, al mare, alle barche”. “Non ero sicura che ce l’avrei fatta”, replica Mitchell al suo fianco – con i capelli raccolti nei codini d’ordinanza, un salto nel tempo – “ma credo che non sia stato così male”. All’intervistatore, Mitchell spiega che per tornare a suonare la chitarra, un personalissimo stile fatto di accordi cosiddetti ‘aperti’ (una particolare accordatura dello strumento), ha dovuto prendere lezioni da sé stessa, guardando i video in rete per capire dove mettere le dita. “L’aneurisma ti porta via la capacità di fare qualsiasi cosa, devi imparare tutto da capo. È esattamente come rinascere”. “Kick Ass, Joni Mitchell!”, dice Carlile a Newport, forse esagerando un po’, più o meno “prendili a calci nel sedere!”, riferito al pubblico e a tutti, nel senso del puro incoraggiamento. E Joni Mitchell, così come cantato poco prima in ‘A Case Of You’, è “ancora sui suoi piedi” per una strumentale ‘Just Like This Train’, da ‘Court and Spark’, 1974, l’album di ‘Free Man In Paris’, l’album del jazz che nella discografia della rivoluzionaria singer-songwriter iniziava a farsi strada e non se ne sarebbe andato più. L’album che l’anno prossimo compirà cinquant’anni.
‘A Case Of You’, abbiamo detto. A Newport, Joni Mitchell canta un’ottava sotto la più giovane collega, a tratti armonizzando come nei tanti dischi suoi e degli amici, ed è come duettasse con sé stessa. Sul palco, lungo tutta la canzone, scorre un fiume di lacrime, quelle che si versano per le cose troppo belle da reggere. Scorrono, le lacrime, anche su ‘Both Sides Now’, brano che un pianterello lo chiama di suo anche non dal vivo: nell’arrangiamento da Grammy di Vincent Mendoza dall’omonimo album, per esempio, dove tutta la carriera di Joni è orchestrata, o – da un paio di decenni a questa parte – la notte di Natale nel grazioso ‘Love Actually’, con Emma Thompson, quello stesso cd in mano, nella scena rivelatrice di un tradimento.
Da ‘Big Yellow Taxi’, che apre l’album con armonie ‘à la country’, fino al bel pianoforte di Ben Lusher che regge ‘Shine’, dall’omonimo album del 2007, passando per ‘Amelia’ e per la ‘Summertime’ di cui sopra, raramente ci pare di aver visto – per quel che sul Tubo è dato vedere – e ascoltato – per ciò che dal disco traspare – tanto amore sopra un palco.
Come un cerchio che si chiude, ‘Joni Mitchell at Newport’ termina con ‘The Circle Game’, composta nel 1966 e finita quattro anni più tardi in ‘Ladies of the Canyon’. La storia dice che il brano sia una replica più ottimistica alla nostalgia dell’amico Neil Young, che in ‘Sugar Mountain’ cantava mogio mogio l’uscita dai suoi teenage years. Così è: “Mio Dio – disse Joni in quei giorni – se arrivi a ventun’anni e pensi che una volta compiuti ti aspetta il nulla, allora il futuro sembra un tantino vuoto. Così ho scritto una canzone per lui, e per me stessa, tanto per concedermi una speranza”. E di speranza, quell’ipnotica filastrocca sul senso della vita, continua a darne a tutti quanti.