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Il mondo negato

Pubblichiamo un racconto inedito di Georgi Gospodinov, scrittore e poeta bulgaro atteso domenica 17 settembre a Bellinzona per Babel 2023

Vincitore del Premio Strega europeo nel 2021 e dell’International Booker Prize nel 2023. Tra gli ospiti di Babel, dal 14 al 17 settembre a Bellinzona
(Keystone)
2 settembre 2023
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Mi ricordo bene cosa ho pensato nel varcare per la prima volta la soglia di Notre-Dame de Paris. “Mia nonna avrebbe dovuto essere qui, adesso...” Il secolo si stava avvicinando al suo ultimo anno, sovraccarico di profezie e apocalissi non realizzate. Ricordo che all’incirca trent’anni prima mia nonna aveva iniziato a lamentarsi del fatto che il mondo sarebbe finito nel 2000. Io ho fatto il calcolo che a quel punto avrei avuto 33 anni, età veneranda per la mia mente di nove anni, e non mi sono spaventato troppo. Mia nonna, che Dio l’abbia in gloria, è morta esattamente nel 2000, pochi mesi prima del mio primo viaggio a Parigi. A volte la fine del mondo, del secolo e del millennio è qualcosa di molto personale. Ma questa storia parla di qualcos’altro. All’epoca in cui “Notre-Dame de Paris” per me esisteva ancora solo come libro, io avevo nove anni, ne leggevo con entusiasmo alcune pagine a mia nonna, lei annuiva schioccando la lingua, e questo mi aumentava il piacere della lettura, allora le promisi con convinzione che l’avrei portata un giorno a Parigi e saremmo entrati insieme nella cattedrale. Se esisteva davvero.

Una trentina di anni dopo mi trovavo in quella fresca semioscurità e mi fu assolutamente chiaro che stavo guardando anche per mia nonna. Non ero riuscito a portarcela e ora guardavo tutto anche con altri occhi, i suoi. Ho raggirato il mio senso di colpa con il pensiero che questa cattedrale in realtà a lei non sarebbe affatto piaciuta. Me la immaginavo qui, accanto a me, tutta in nero, con lo scialle in testa, minuscola, magra magra, schiacciata da questo spazio strabiliante. Il suo Dio non viveva qui. Era un normale nonno Dio, anziano come lei, e viveva nella chiesetta del villaggio dove mia nonna si recava tutti i giorni, piccola, calda, imbiancata a calce, con qualche icona annerita dal fumo. Così mi consolavo, ma sapevo che questo non cancellava la mia promessa mancata, né l’ennesimo desiderio non realizzato di mia nonna: viaggiare. È rimasta tutta la vita tra le mura della sua casa nel villaggio. La verità è che non era mai riuscita a lasciarle. Ma chiedeva a quelli che si erano recati nel villaggio vicino o in città (e dove altro potevi andare, in quel momento e in tempi simili) di raccontarle tutto nei minimi dettagli. Una volta le era capitato di fare un viaggio fino al mare, peraltro molto sfortunato. Un autunno, dopo il raccolto che era stato tanto abbondante da superare la norma stabilita, loro erano state premiate con una gita al mare di un giorno. In poche lo avevano visto, fino ad allora. L’intera brigata femminile era stata caricata sul cassone del camion, che di solito le portava al campo. Le avevano scaricate direttamente sulla spiaggia. Posso immaginare queste donne con i vestiti nuovi e sopra i grembiuli allacciati stretti, imbarazzate e confuse dai corpi nudi dei bagnanti. Mia nonna, solo nel vedere questa “grande acqua” che ondeggiava davanti ai suoi occhi, si è sentita subito male. E così è rimasta, con indosso i suoi abiti neri, lo scialle in testa, le spalle al mare, nel cassone del camion del villaggio.

Verso la fine degli anni ’50 del secolo ormai passato, mio ​padre, un ragazzo di 15-16 anni, decise risolutamente di girare il mondo. Divorava romanzi d’avventura, per lo più pubblicati prima del 9 settembre 1944, e un giorno dichiarò a mia nonna che voleva vedere il mondo, terre sconosciute, e lasciare il villaggio. Non sospettava che il mondo che stava sognando di vedere fosse chiuso a chiave da entrambi i lati della porta. Non si poteva né uscire di qui, né entrare là. Il grande mondo si era ridotto a un’isola, a un campo socialista. Questo come prima cosa, e la seconda era che mia nonna non aveva soldi neanche per questo piccolo campo. Lei però, da parte sua, cercò di tranquillizzare mio padre con la seguente consolazione degna di nota. Doveva solo aspettare un po’, poi avrebbe fatto il soldato, e portava l’esempio di mio nonno, di come aveva poi girato mezzo mondo. Intendeva la Serbia e l’Ungheria durante la Seconda guerra mondiale, a cui mio nonno aveva partecipato. Era stato quello il viaggio della sua vita in cui aveva girato mezzo mondo. Comunque l’ingenua consolazione o previsione di mia nonna non si è avverata, e mio ​padre non è riuscito a vedere il mondo da soldato, grazie a Dio. Ha visto il mondo più tardi, negli anni ’70, quando è riuscito a infilarsi in un gruppo che andava in Finlandia. È stato incluso all’ultimo minuto perché una delle persone che doveva fare il viaggio si è ammalata. Gli hanno permesso di fornirsi dell’incredibile somma di 5 (dico cinque) dollari per la sua permanenza lì - questo è quanto davano nel nostro paese in quel momento. Immaginatevi un gruppo bulgaro camminare per Helsinki per un’intera settimana con cinque dollari in tasca e fatevi il conto di quanti musei, gallerie e locali hanno visitato.

Certo anche mio padre, come tutti, aveva portato con sé legalmente una bottiglia di cognac e due o tre pacchetti di sigarette Stewardess. Vergognandosi molto era riuscito a scambiarli con un pezzo di stoffa per un vestito per mia madre e sei tazze finlandesi verdi, che sono in uso ancora oggi. Chiunque abbia viaggiato fuori dalla Bulgaria in quegli anni può raccontare tante storie in cui la vergogna e le risate si mescolano. Da allora nasce la barzelletta, raccontata sempre un po’ a bassa voce, che qui siamo felici perché non sappiamo quanto siamo infelici. Il piacere e l’umiliazione di essere bulgaro all’estero nel periodo del socialismo fa parte della storia privata bulgara segreta e traumatica che sonnecchia non scritta. C’è anche un’altra parte – quella di chi ha sognato il mondo e non lo ha mai potuto vedere. Né allora, né in seguito. Ecco perché adesso, quando viaggio, guardo con gli occhi di diverse generazioni di persone a me vicine. Alcuni di loro non ci sono più e devo mettere insieme tante storie, perché un giorno vorranno che gliele racconti.

(traduzione: Daniela Di Sora)