Luganese

In Appello l’accoltellamento di Pura

A settembre il processo in secondo grado alla donna che è stata condannata per tentato omicidio intenzionale per aver ferito con un coltello l’ex marito

Il fatto di sangue risale al 17 marzo 2022
(Ti-Press)
17 agosto 2023
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Sbarca in Appello l’accoltellamento di Pura. È stato agendato infatti a metà settembre il processo in secondo grado alla donna che è stata condannata per tentato omicidio intenzionale per aver ferito con un coltello l’ex marito la sera del 17 marzo 2022. La Corte di appello e revisione penale (Carp) dovrà confermare la sentenza pronunciata dal giudice di prima istanza, il presidente della Corte delle Assise criminali Amos Pagnamenta che l’aveva condannata a quattro anni di detenzione, oppure accogliere le ragioni della difesa, che invece si era battuta per l’assoluzione dell’imputata.

Una ferita di 11,5 centimetri

Ed è stata proprio la difesa, rappresentata dall’avvocato Fabio Creazzo, a presentare appello dopo la sentenza del 5 dicembre scorso. La vicenda, ricordiamo, riguarda una ex coppia: una 36enne svizzera e l’ex marito 50enne. I due hanno un figlio ma a causa dei continui litigi il rapporto si è incrinato fino al divorzio. Successivamente la turbolenta relazione ha attraversato un periodo meno tempestoso e piuttosto tranquillamente si era svolta anche la giornata del fatto di sangue. Fino alla sera. In base alla ricostruzione della procuratrice pubblica Chiara Buzzi, sarebbe nata una discussione a causa del rapporto fra l’uomo e una sua successiva compagna. Un alterco sfociato nel ferimento del 50enne da parte della donna, che lo ha trafitto per 11,5 centimetri con un coltello da cucina al fianco destro. La ferita ha procurato lesioni al fegato, al diaframma e ad altre parti del corpo, nonché un disagio psichico che gli ha causato un ricovero di tre mesi in una struttura psichiatrica e una sindrome da stress post-traumatico.

Tesi a confronto

Secondo la tesi di Buzzi, la donna voleva punire l’ex compagno e sfogare la sua rabbia, tanto che durante la litigata, prima dell’aggressione, aveva scagliato un bicchiere contro il muro. In seguito a quest’atto, l’uomo si è diretto insieme al figlio verso la porta ma accortosi di aver dimenticato la giacca del bambino è tornato indietro e lì è stato afferrato per il bavero della giacca dalla donna e infine colpito con l’arma bianca. Nella ricostruzione dei fatti, la 36enne ha rilasciato più versioni. Tra queste, il presunto casus belli: un messaggio vocale della donna che aveva frequentato l’ex marito, nel quale sia lei che il figlio venivano presi in giro. Sentito questo, lei avrebbe chiesto all’uomo di lasciare la casa e lui l’avrebbe minacciata dicendole che non le avrebbe più fatto rivedere il figlio, che nella discussione sarebbe già uscito dall’abitazione. Da dietro la porta, l’avrebbe sentito invocare la madre.

Legittima difesa?

Sempre secondo la versione della donna, lei avrebbe provato dunque ad avvicinarsi alla porta ma il 50enne l’avrebbe strattonata rompendole il mignolo e avrebbe preso il coltello per spaventare l’uomo e non si sarebbe accorta nella confusione di averlo colpito, né tantomeno del sangue sull’arma, almeno in un primo momento. Per la difesa si sarebbe trattato dunque di legittima difesa. Creazzo, in primo grado, ha fatto notare che se realmente l’imputata avesse voluto uccidere la vittima avrebbe utilizzato la mano più forte e non la sinistra che oltretutto era ferita, a causa del dito fratturato. Inoltre, vista la professione – legata all’ambito sanitario – della 36enne, se davvero avesse voluto uccidere avrebbe saputo dove colpire. Perché inoltre avrebbe chiamato lei la polizia conservando tutte le prove? Teorie rigettate dalla pubblica accusa: la pp ha sostenuto che se davvero la donna fosse stata aggredita avrebbe potuto difendersi senza ricorrere al coltello, chiudendosi in una stanza della casa dato che non era fisicamente trattenuta.

Quattro anni in primo grado

La Corte aveva ritenuto più credibili le tesi accusatorie e la pena si discosta poco dalla richiesta effettuata da Buzzi: quattro anni e dieci mesi. Alla donna era stato anche ordinato un trattamento ambulatoriale. Creazzo invece si era battuto per l’assoluzione. La Corte della Carp, presieduta da Giovanna Roggero-Will e composta dalle giudici Rosa Item e Chiarella Rei-Ferrari, dovrà dunque confermare rispettivamente smentire la condanna per tentato omicidio intenzionale, subordinatamente lesioni gravi o lesioni semplici. L’imputata è stata anche condannata per guida in stato di inattitudine, infrazione alle norme della circolazione e contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti.

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