laR+ L’intervista

Marco Solari si congeda: ‘È stato un compito, non un premio’

Si apre il 2 agosto il suo ultimo Festival da presidente: se questi 23 anni fossero un film, ‘sarebbe il documentario di una vita spesa per un ideale’

Presidente dal Duemila. Dal 20 settembre gli succederà Maja Hoffmann
(Keystone)
2 agosto 2023
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A parlare, in Rotonda, è l’uomo della festa del 700esimo della Confederazione ma soprattutto quello della festa del cinema chiamata Locarno Film Festival, che con lui si è identificata negli ultimi 23 anni. Marco Solari, il “luganese innamorato di Locarno” (parole sue di ieri sera), sul palco il primo di agosto è parso il (pre)finale perfetto di un film cui mancano solo i titoli di coda, che scorreranno il prossimo 12 agosto, una volta spenti gli schermi e consegnati tutti i Pardi.

Marco Solari, mettiamola così: ora che la sua presidenza è terminata, lei potrà tornare a vedere i film del Festival…

Sto per entrare nella fase contemplativa, che mi incute un leggero timore. Non so se il famigerato buco nero sarà grigio chiaro, grigio scuro o veramente nero nero. Comunque, il dopo 20 settembre mi spaventa un poco, soprattutto perché so che mi mancheranno le collaboratrici e i collaboratori di un Festival che in questi anni è stato un incredibile scambio di intenzioni, un bagno di gioventù estremamente interessante che in me ha sempre chiamato un challenge continuo e stimolante. A dire il vero, non so nemmeno quale sarà il mio rapporto futuro col Festival. So che la signora Hoffmann ha chiesto di essere accompagnata sino alla prossima assemblea, in primavera del 2024.

Se andrò a vedere i film della 77esima edizione? In tutta franchezza non lo so. Penso di dover riuscire a fare un passo indietro, non essere presente potrebbe essere una questione di stile, discrezione, eleganza nei confronti della nuova presidenza. Non escludo dunque che per un anno al Festival non mi si vedrà proprio, nemmeno in ultima fila. Però non so se resisterò, a non venire a Locarno, il Festival che per oltre vent’anni era tutto per me, anche contenuto di vita e per il quale ci si spendeva. Scherzando con mia moglie, le ho detto che forse l’estate prossima finiremo al Polo Nord per evitare ogni tentazione

Come lei abbia vissuto quest’ultima vigilia pare chiaro. Ricorda la prima?

Nel Duemila nemmeno avevo il tempo per pensare, e la dimensione era diversa. C’era più incoscienza, più improvvisazione, regnava la speranza che le cose si sarebbero potute ‘arrangiare’. Ora il Festival è una macchina dall’incredibile precisione, che non permette errori. È un orologio, e con l’età, io sono diventato ancor più esigente di quanto sia sempre stato. Questa vigilia l’ho trascorsa, da un lato, più tranquillo, perché so che la squadra è decisamente rodata, straordinariamente impegnata; dall’altro, sono molto cosciente che non possiamo sbagliare nulla. Sì, in effetti forse c‘è più tensione ora, che è l’ultima.


Keystone
Con il Presidentissimo, Raimondo Rezzonico

Qualcuno ha definito la sua gestione “il rigore applicato al mondo dell’effimero”: è stato questo il suo ruolo in questi anni?

Mi sono sempre riconosciuto nell’aver portato il rigore da Zurigo, in questo senso sì. Un rigore che, peraltro, non mi ha mai permesso di godere del Festival. Ma era così anche quando dovetti pagarmi gli studi. Lo feci quale guida turistica accompagnando le persone nei luoghi più remoti del mondo. Ma non ho mai goduto di niente se non del fatto che i turisti che accompagnavo fossero felici durante il viaggio. Anche all’Ente ticinese per il Turismo, così come appunto al Festival, non è andata diversamente. Sono sempre stato convinto che dovessero essere gli altri a stare bene, e la cosa dipendeva da me.

Se c’è un rimpianto, è che il Festival mi ha chiesto presenza costante e massima tensione, affinché tutti fossero contenti e soddisfatti, dal politico allo sponsor e i suoi ospiti, per permettere che la macchina non s’inceppasse. Mi è mancato il non aver potuto approfittare di quei personaggi incredibili passati da Locarno. Ho guardato con invidia, ovviamente metaforica, ai presidenti di Cannes, Venezia, San Sebastián, che presenziano alle cene laddove io correvo e corro dietro agli sponsor e i loro ospiti. Negli altri festival fare il presidente è un premio, per me un compito.

Quali nomi si è perso?

Potrei dire Charlotte Rampling o Susan Sarandon, ma basta scorrere l’elenco degli ospiti dal Duemila a oggi. Sono però diversi gli incontri che mi hanno comunque arricchito: Harry Belafonte, e mi è spiaciuto enormemente non poter stare più a lungo con lui; Dario Fo e Franca Rame, con i quali sono stato a pranzo, e un pranzo con Dario Fo compensa tante frustrazioni… e poi, in una di quelle sere in cui tutto era minutato, mi chiesero di passare al Cittadella dove c’era Michel Piccoli, invitato dall’ambasciata francese: arrivo, dico le cose di rito, lui mi guarda e m’impone di sedermi al tavolo con lui. Ne rimasi affascinato, non una sola frase banale, sempre un guizzo nuovo. Non ebbi più la forza di ripartire. I miei collaboratori, quella sera, s’inventarono mille scuse con chi mi attendeva. Ma il senso del dovere è sempre stato al centro. Ancor più quest’anno, lo devo alla popolazione, alla politica che mi dà fiducia, agli sponsor, ai quasi mille giornalisti presenti.

Malgrado il rigore, alla fine anche lei è diventato un po’ star…

No, Marco Solari non è una star, Marco Solari serve il Festival. Ne sono il responsabile. Non devo essere ammirato o amato, al massimo rispettato.

Mi dispiace deluderla, temo che lei sia molto amato...

Le citerò la ‘Gerusalemme Liberata’: “La fama ch’invaghisce a un dolce suono/ voi superbi mortali e par sì bella/ è un’eco, un sogno, anzi del sogno/un’ombra che ad ogni vento/ si dilegua e sgombra”. Il gloria e il crucifige? Io li ho vissuti in altre occasioni, sono fratelli gemelli. Una volta appreso questo, si resta umili per la convinzione che tutto è relativo.

Dico che è amato anche perché dal giorno dell’annuncio del suo successore, alcuni piangono perdite di locarnesità.

Il mio compito, quando la decisione di lasciare ha cominciato a delinearsi, era uno solo: consegnare un Festival vigoroso, in salute, a chi potesse farlo crescere. Per sviluppare questa intenzione c’è un prezzo da pagare, che può sembrare alto perché tutti i presidenti della storia sono stati ticinesi. Ci tengo a dire che prima di proporre Maja Hoffmann, Mario Timbal, presidente della commissione cerca, ha voluto incontrare i nostri stakeholder (dall’inglese, soggetti o gruppi coinvolti in una qualsiasi iniziativa economica, nrd), e anche quelli ticinesi si sono detti convinti che a guidare un festival così grande sarebbe potuto essere anche un non ticinese, e anche un, o una, mecenate, che venisse da più lontano. Dalla politica, al massimo, si è sentito dire che semmai si fosse scelto il mecenate, meglio sarebbe stato che non fosse legato a uno sponsor, perché avrebbe messo forse in imbarazzo gli altri partner.

Maja Hoffmann è una signora che ha vissuto tutta la vita per la cultura, è un’entusiasta del cinema, lo ha anche prodotto, è una cittadina del mondo. Quel suo “io non parlo l’italiano”, in conferenza stampa, era una frase di gentilezza. Ci saranno sicuramente ticinesi nel consiglio, con ogni probabilità vicepresidenti, e il Policy Board sarà, se gli statuti saranno accettati dall’Assemblea, presieduto dal sindaco di Locarno. Tutto questo può essere garanzia che il Locarno Film Festival manterrà i legami con il territorio. Poi, e questo mi pare essenziale, si rafforzerà con quasi assoluta certezza la posizione del managing director, Raphaël Brunschwig, anche nella percezione oltre Gottardo.


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Con Maja Hoffmann, il giorno dell’annuncio al GranRex

Del rigore abbiamo detto. Le chiedo cos’altro sente di avere dato al Festival, e se crede che nel suo operato vi sia dell’incompiuto.

Non bisogna mai essere soddisfatti, mai… però il Festival grazie ai vari direttori e le loro squadre ha fatto balzi enormi sia organizzativamente sia dal punto di vista artistico. Cosa resa possibile, e non si può non rendere omaggio, ai quattro direttori operativi, Doris Longoni, Marco Cacciamognaga, Mario Timbal e Raphael Brunschwig, e naturalmente a tutti i direttori artistici, dal primo all’ultimo.

Compresa Lili Hinstin?

Compresa Lili Hinstin, che dal punto di vista artistico non ha affatto sfigurato. Credo semplicemente che non abbia sopportato il mio rigore e la mia severità, che però a Locarno è la conditio sine qua non per fare funzionare la macchina sia in ambito artistico che operativo. Quanto al resto di cui mi chiede, il prossimo Cda saprà certamente ancorare il Festival sempre di più al mondo, poi bisognerà risolvere il nodo Fevi, edificio indispensabile per il Locarno Film Festival ma troppo vecchio e che va sostituito e presto. In città abbiamo il PalaCinema, abbiamo salvato il GranRex con tanto di finanziamenti decisi anche in Gran Consiglio. Dunque sono abbastanza contento, ma sono una persona che per natura non è mai veramente soddisfatta, e dunque sento che avrei potuto dare e ottenere ancora di più.

Diamo un Pardo al momento più bello?

Prima di incontrare lei per questa intervista, due signore locarnesi piuttosto anziane in Piazza Grande mi hanno commosso, perché mi hanno ringraziato e lo hanno fatto in dialetto. Che bello sentirle parlare. Mi hanno detto: “Ci mancherà a Locarno”, frase che è in gran contrasto con quella che ascoltai il primo giorno di Festival, di prima mattina, al Caffè Verbano, quando ancora c’era Claudio Belloli. Quattro anziani signori locarnesi mi guardarono un po’ di traverso; uno disse agli altri, pure in dialetto: “Ma questo qui cosa vuole da noi?”.

C’è un altro momento bello, che dura da sempre, ed è il sospiro di sollievo che tiro quando si chiude il Festival, e so che abbiamo dato gioia alle persone, le abbiamo fatte ridere, sognare, piangere, e crescere, il tutto senza incidenti. Ogni Festival è un campo minato, e di tanto in tanto una può scoppiare. Come, i lettori certamente ricorderanno, per ‘L.A. Zombie’, Polanski, il brigatista Senzani, episodi che un presidente deve saper affrontare.

Per chiudere: diamo un titolo alla sua presidenza, o una categoria...

Difficile dare un titolo. Potrebbe essere un documentario di una vita spesa per un’ideale, quello del rafforzamento della Svizzera italiana, iniziata con la direzione dell’Ente ticinese per il Turismo, il 700esimo con l’inaugurazione a Bellinzona e ora questa ultima edizione Locarno76. Io mi auguro che tutto vada bene, ma quello lo sapremo fra dieci giorni. Il futuro più remoto? Di tanto in tanto sogno di avere la sfera di cristallo e leggere cosa scriveranno i giornali del Locarno Film Festival centenario, nel neanche poi tanto lontano 2046.


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Primo agosto in Rotonda

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