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Ubs, Credit Suisse e quei tagli che non sorprendono

Prima che arrivino i licenziamenti è in atto un esodo dei gestori patrimoniali: un fenomeno non solo a livello svizzero (anche ticinese), ma globale

In sintesi:
  • Oltre agli impiegati sarebbero pure in uscita numerosi clienti dall'istituto in fase di smantellamento
  • Rimane l'interrogativo che la banca nata dalla fusione non sia troppo grande per la Svizzera
  • Lo stesso Ermotti aveva già preannunciato ‘cambiamenti e decisioni difficili’
Si prevedono 30mila impieghi in meno in tutto il mondo
(Keystone)
22 luglio 2023
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I tagli del 30 per cento degli impieghi che, stando alla SonntagsZeitung del 16 luglio, figurano nei piani dell’Ubs allargata dopo la fusione con Credit Suisse, pare non abbiano colto di sorpresa il personale. Di certo non i funzionari addetti alla gestione patrimoniale. Molti dei dipendenti di Credit Suisse, all’indomani di domenica 19 marzo – il giorno in cui la banca venne salvata da Ubs con i soldi della Confederazione –, si sono messi alla ricerca di un nuovo posto di lavoro, oppure sono stati immediatamente contattati da altri operatori della piazza finanziaria. Soprattutto da altre banche ma anche, in parecchi casi, da società fiduciarie. Questo perché, oltre al loro “savoir faire” e a un’esperienza consolidata, portano in dote consistenti patrimoni di fedeli clienti, i quali hanno perso la fiducia in Credit Suisse e non ne vogliono sapere neanche di Ubs. E non solo perché appena 15 anni prima era stata vittima di un tracollo analogo, ma probabilmente preoccupati dall’esito dell’operazione di trasferimento dalla piattaforma informatica dell’istituto in fase di smantellamento alla nuova mega-banca. Un’operazione che, a detta della SonntagsZeitung, si preannuncia “mostruosa”. Qualcosa che mai, in Svizzera, è stato portato a termine. Non a caso perché la fusione vada in porto definitivamente, necessiterebbe di un arco temporale di almeno tre anni. Sempre con l’interrogativo che la banca, nata dalla fusione di due colossi, non sia troppo grande per la Confederazione.

Tornando all’esodo dei gestori patrimoniali di Credit Suisse, sembra che qualcosa di analogo sia in atto anche a Ubs. Sappiamo, avendo raccolto conferme sulla piazza luganese, che in Ticino ciò si starebbe verificando con una certa consistenza, mettendo tra l’altro in difficoltà il personale che rimane, sottoposto ad accresciuti carichi di lavoro. Il fenomeno, tuttavia, stando al Financial Times e al Blick, sarebbe non solo svizzero ma di portata globale. D’altronde, di fronte alla prospettiva di perdere il posto, magari in un’età in cui è difficile riciclarsi, come non comprendere una reazione del genere da parte di dipendenti qualificati in grado di offrire il loro know how bancario ad altri datori di lavoro? E come non comprendere, pure, il disagio e l’irritazione di tutti quei clienti che hanno deciso di seguirli, dopo essere rimasti vittime di sciagurate operazioni di investment banking, e dopo aver perso una parte del loro capitale in seguito all’azzeramento dei 16 miliardi di franchi di obbligazioni subordinate?

Ci si può chiedere, inoltre, se il taglio di trentamila impieghi cui dovrebbe procedere il vertice dell’Ubs allargata, non avrebbe potuto essere in parte evitato, almeno in Svizzera, conservando un Credit Suisse elvetico che si occupasse, unicamente, di gestione patrimoniale, lasciando perdere le avventure oltreoceano con spericolati hedge fund che hanno arricchito solo gli uomini senza scrupoli della finanza speculativa. Sergio Ermotti e i suoi collaboratori hanno invece scartato l’opzione di una rinascita elvetica della banca sparita il 12 giugno dai listini borsistici, e ora si ritrovano costretti a dover inviare migliaia di lettere di licenziamento. D’altro canto lo stesso Ermotti aveva preannunciato “cambiamenti e decisioni difficili” ed è in questa direzione che, a quanto pare, si sta andando.