laR+ IL COMMENTO

Il vecchio mondo di Lula

Il vertice di Brasilia è stato un fallimento a causa del controverso benvenuto al leader venezuelano Maduro. Ma non è l'unico problema

In sintesi:
  • La politica estera di Lula è schiava di schemi obsoleti
  • Il suo sindacalismo rischia di farsi camaleontismo
(Keystone)
1 giugno 2023
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Sulla carta doveva essere l’occasione per rilanciare una politica comune sudamericana: di fatto, però, il vertice di Brasilia voluto da Lula da Silva, a cui hanno partecipato undici capi di Stato e di governo, è stato una clamorosa débâcle diplomatica, con uno scontro chiaro tra distinte visioni della democrazia.

La pietra dello scandalo è stata la calorosa accoglienza data dal presidente brasiliano al leader venezuelano Nicolás Maduro. Lula ha voluto che Maduro arrivasse il giorno prima, lo ha ricevuto in pompa magna al palazzo del Planalto e ha pronunciato un discorso che ha fatto rabbrividire chi da anni lotta contro le violazioni dei diritti umani in Venezuela: “È un onore per me accogliere il nostro caro compagno Maduro, il cui governo è vittima di una narrazione costruita per mettere in dubbio la salute della democrazia venezuelana”. Gli abusi documentati da numerose commissioni indipendenti, i disastrosi numeri dell’economia che hanno obbligato sette milioni di venezuelani a emigrare, gli arresti arbitrari degli oppositori, i sospetti di ripetuti brogli nelle ultime elezioni: tutto questo per Lula è una narrazione costruita ad arte per danneggiare la “rivoluzione bolivariana” degli amici venezuelani.

Una posizione che il leader brasiliano non ha mai nascosto, ma che non è piaciuta ad alcuni dei presidenti presenti al vertice da lui voluto. “Non possiamo accettare questa negazione della realtà – ha detto il cileno Gabriel Boric –, io stesso ho potuto vedere il dolore negli occhi e nelle testimonianze di centinaia di migliaia di venezuelani che sono arrivati in Cile”. Sulla stessa linea il presidente conservatore dell’Uruguay Luis Lacalle Pou: “Un conto è ristabilire le relazioni diplomatiche con un Paese vicino, un altro è far finta di non vedere quello che sta succedendo in Venezuela, non possiamo cercare di tappare la luna con un dito”. Il clima del vertice è stato teso, alla fine dell’incontro non c’è stata nessuna dichiarazione congiunta, a tutti è parso chiaro quanto la questione venezuelana sia ancora oggi divisiva a livello regionale. Molti analisti hanno puntato il dito contro Celso Amorim, ex ministro degli Esteri e oggi consigliere speciale di Lula. Lo considerano troppo ideologico e troppo legato a un vecchio modello di mondo multipolare che non si sposa con le grandi crisi attuali: la guerra in Ucraina, l’ambiente, le migrazioni, i diritti umani.

Lo scivolone venezuelano arriva dopo l’ondivaga posizione sulla guerra in Ucraina. Lula si è candidato a guidare una mediazione di pace, ma poi è caduto in una serie di contraddizioni lampanti. Pur condannando l’invasione russa ha accusato gli Stati Uniti e i Paesi europei di essere a loro volta responsabili dell’escalation militare e ha suggerito all’Ucraina di rinunciare alla Crimea.

Lula, oggi, ha due grandi problemi: pensa che il mondo attuale sia lo stesso di vent’anni fa, quando è arrivato per la prima volta al potere, e ha la pretesa di voler andare d’accordo con tutti, cosa assai difficile in tempi di guerra. La sua formazione da sindacalista lo ha trasformato in un abile animale politico, ma sembra diventato eccessivamente camaleontico: dice quello che il suo interlocutore vuole sentire, ma cambiando spesso interlocutori tutto va in tilt. Un atteggiamento che gli sta facendo perdere quella credibilità che un grande leader internazionale dovrebbe avere in un mondo sempre più polarizzato.