laR+ Piano di Magadino

Un Parco paradiso, ma c'è il purgatorio del traffico

Dal ‘dominus’ dell’attività agricola ai molti progetti in corso, la Fondazione diretta da Giovanni Antognini cura lo sviluppo della grande area verde

In sintesi:
  • Diverse nuove iniziative, fra cui le piattaforme di ascolto del paesaggio sonoro
  • Fra le preoccupazioni anche lo stato dei ponti, creati per un'agricoltura diversa da quella attuale
Un grande mosaico di interessi diversi
(Ti-Press)
6 maggio 2023
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Ineffabili sensazioni che attraversano tempo e luoghi. A Cuba zoccoli equini calpestavano la valle di Viñales punteggiata dai “mogotes”. Le verdeggianti e quasi oniriche montagne basse a forma di panettone sembravano quel giorno come incollate sul cielo di un blu esagerato. “Se c’è un paradiso – mi ero sorpreso a pensare – dev’essere qualcosa di simile a questo”.

Oggi il rumore è lo scalpiccio delle ruote del rampichino sulla terra battuta di una pista ciclabile. Anche qui il cielo è terso, l’ambientazione è meno lussureggiante ma altrettanto straordinaria. Qualche battito d’ali, il suono della brezza sulle fronde, un ampio canale popolato di vita minuta. Sono a casa, sul Piano di Magadino, dentro il perimetro del Parco del Piano, nella zona a ovest del ponte di Gudo. E faccio lo stesso identico pensiero: “Se un paradiso esiste, dev’essere qualcosa del genere”.

Qualcuno che ci osservasse dall’alto vedrebbe due puntini mobili sulla grande pianura dominata dal verde. Quello che apre la strada, opportunamente ingrandito, assumerebbe le fattezze di Giovanni Antognini, direttore della Fondazione del Parco del Piano. Già alla testa della Federazione ortofrutticola ticinese, poi della Sezione cantonale dell’agricoltura, Antognini aveva fatto parte del Gruppo di progetto (capitanato dal primo promotore Paolo Poggiati) incaricato di elaborare il Piano di utilizzazione cantonale di quello stesso Parco del Piano che sarebbe poi stato chiamato a dirigere. Così ha cullato il sogno fin dagli albori, contribuendo fattivamente alla sua realizzazione. Oggi, come direttore della Fondazione, appare in effetti come l’uomo giusto al posto giusto. E l’impressione di compiutezza rispetto al ruolo è rafforzata dal tenore dei rapporti con alcuni degli attori che, come lui, calcano questo grande palcoscenico naturale.

Gran parte dei ponticelli è in uno stato inadeguato

Ne incontriamo uno che indossa la divisa del Consorzio correzione fiume Ticino, l’ente delegato fra l’altro alla manutenzione di tutti i canali e anche delle corsie ciclabili presenti sulla superficie di 2’350 ettari. Con lui l’argomento è lo stato precario, del tutto inadeguato, della stragrande maggioranza dei ponticelli che costellano il Piano. «Il problema – nota l’uomo – è che tutte queste arterie, compresi i ponti, erano state concepite per necessità diverse rispetto a quelle attuali».

Un apposito Gruppo di lavoro sul traffico ha iniziato a trattare la questione dopo che il Comune di Cadenazzo aveva deciso di limitare il tonnellaggio su un ponte che serve molti produttori della Foft. «Se la base di calcolo sono 120 ponti da risanare, investendo una media di 300mila franchi in ognuno, ne deriva una spesa di oltre 30 milioni di franchi. La domanda è una sola e riguarda chi pagherebbe». Giovanni Antognini se la pone, ma una risposta ancora non c’è.

Poi si finisce a parlare di soldi anche osservando una delle circa 80 stalle dismesse situate all’interno del Parco, in zona agricola e quindi non edificabile. «Per tutti questi stabili è difficile pensare a soluzioni diverse rispetto alla demolizione – riflette –. Ma in questo caso fino al 30% dei costi verrebbe coperto da noi».

L’osservatorio per l’avifauna e la nuova ‘aula nel bosco’

Un altro interlocutore di giornata è il responsabile delle operazioni di costruzione del nuovo osservatorio dell’avifauna, sul Demanio agricolo cantonale. Osservando la squadra di uomini al lavoro con le motoseghe, Antognini viene aggiornato sull’allestimento dello steccato che delimita la zona protetta, contraddistinta da una bolla di sorprendente ampiezza; ma anche sull’“aula nel bosco” che sarà, per le scuole, una preziosa palestra in cui esercitare il progetto didattico elaborato in collaborazione con la Supsi.

Didattiche sono anche le finalità di diverse altre iniziative intraprese dalla Fondazione Parco del Piano. Particolarmente affascinante è quella delle cinque piattaforme di ascolto del paesaggio sonoro che saranno realizzate grazie al lavoro di concetto effettuato da Lorenzo Sonognini. Gli ingombri di ognuna sono per ora suggeriti da basse modine dipinte agli apici di arancione; una volta realizzate, le piattaforme permetteranno di confrontare i suoni della natura preregistrati con quelli reali.

Poi, sempre nel campo dell’educazione alla natura, è in via di definizione un eventuale percorso didattico all’interno della riserva Ciossa Antognini, un’area considerata di importanza internazionale. Senza dimenticare il grande progetto, attualmente in corso, che prevede la rinaturazione della Vigna lunga Trebbione. «I costi dei lavori ammontano a 350mila franchi, di cui però il 75% preso a carico dalla Confederazione».

Nella medesima area è presente una bolla che è insieme biotopo e zona di riproduzione. A riprova della fitta rete di collaborazioni in atto, Antognini accenna ai contratti per le operazioni di sfalcio conclusi fra i contadini e l’Ufficio natura e paesaggio.

Dalle armi alle erbe, com’è cambiato nel ‘post canapa’

Un dato generale che impressiona è quello secondo cui all’interno del perimetro del Parco sono stati inventariati 63 oggetti di interesse nazionale e internazionale. Ma “dominus” del Parco rimane l’attività agricola, la cui variegata parcellizzazione nasconde un concetto interessante: per evitare sovraproduzioni e ottimizzare le strutture di ogni singolo produttore, è in vigore una coordinazione delle colture. Il 75% delle quali, ci dice poi, va già Oltre Gottardo. Pedalando, ci eravamo fermati fra serre ipermoderne e ampi appezzamenti della Mäder di Sementina, fra i maggiori produttori svizzeri di erbe aromatiche. Fa specie pensare che 20 anni fa queste e altre superfici erano sorvegliate da guardie armate: erano i tempi del “boom” della canapa, che aveva trasformato il Piano in un forziere poi divelto a spallate dalla Magistratura.

Oggi i problemi sono altri. Quello principale sembra essere il traffico parassitario. Il tema è oggetto di uno studio specifico che dovrebbe, per Antognini, tener conto anche della “piaga” dei parcheggi selvaggi. Ancora nell’ambito della mobilità, sono sempre più frequenti i conflitti fra agricoltori, ciclisti e utenti a cavallo. «La Fondazione osserva, sensibilizza e nel limite del possibile cerca di mediare», conclude.