laR+ IL COMMENTO

Ermotti, Gaber e la palingenesi della piazza finanziaria

Uscito da Ubs con l’aura del banchiere brillante e capace, ci ritorna con l’ostico compito del ‘tagliatore di teste’

In sintesi:
  • Quando nel 2011 prese le redini della banca, l’impresa gli riuscì
  • Questa volta, tuttavia, il compito potrebbe risultare più arduo
  • Ermotti sarà responsabile della soppressione di migliaia di posti di lavoro
Peccato che si chiami Sergio e non Riccardo
(Ti-Press)
30 marzo 2023
|

Peccato che Ermotti faccia di nome Sergio e non Riccardo. Altrimenti, pescando nella sterminata produzione di Giorgio Gaber, potremmo intonare, a mo’ di benvenuto, “per fortuna che c’è Riccardo… che da solo gioca a biliardo”. Anche se dubitiamo che il Ceo di Ubs, negli anni milanesi di Unicredit quando era il vice dell’amministratore delegato Alessandro Profumo, abbia mai avuto il tempo di frequentare le osterie care a Gaber per esibirsi con la stecca. Fatto sta che, oggi come oggi, questo ticinese che ha iniziato le sue esperienze bancarie alla Cornèr Bank di Lugano può tentare di interpretare il ruolo di protagonista nella palingenesi della piazza finanziaria svizzera. Piazza che ha perso buona parte della sua credibilità e della sua reputazione con il drammatico tracollo di Credit Suisse.

Quando nel 2011 prese per la prima volta le redini di Ubs, che mantenne fino al 2020, l’impresa gli riuscì, visto che rilanciò la banca, anch’essa salvata sul filo di lana con i soldi pubblici, dimostrandosi un top manager accorto e di riconosciuto talento. Capacità che, nel 2015, gli vennero riconosciute con un mega-stipendio di 14 milioni di franchi e con il titolo di manager dell’anno, attribuitogli dal domenicale Schweiz am Sonntag.

Questa volta, tuttavia, il compito potrebbe risultare più arduo, visto che i quattro terribili giorni che hanno preceduto il salvataggio di Credit Suisse hanno sollevato un velo impietoso su una Svizzera incapace di reagire. Ammutolito il Consiglio federale, uscito allo scoperto solo domenica 19 marzo, ma piuttosto zitto quel maledetto mercoledì 15, quando i mercati crollarono dopo che il presidente di Saudi National Bank, principale azionista di Credit Suisse, annunciò che non avrebbe più iniettato capitali nella grande banca in difficoltà. E dopo che la premier francese, Élisabeth Borne, esortò le autorità svizzere a “risolvere questo problema”. Balbettante la Finma che, riannodando il nastro degli accadimenti delle ultime settimane, oltre a svolgere superficialmente il ruolo di vigilanza, ci mise del suo a far precipitare la situazione. Meno di un mese prima del tracollo fece sapere infatti che il presidente del Cda di Credit Suisse, Axel Lehmann, poteva aver mentito ai mercati sull’entità dei capitali in fuga dalla banca. Salvo, poi, non aprire alcuna inchiesta sul top manager.

Dalle carenze di decisionismo del Consiglio federale e dai tentennamenti della Finma esce fuori l’immagine di un Paese nel quale non si capisce se ci sia qualcuno ai comandi. Un Paese che, oltretutto, è guardato con sospetto da Bruxelles dopo l’affossamento dell’accordo quadro con l’Unione europea e che, nonostante sia un fabbricante d’armi, è accusato di ambiguità perché dopo essersi schierato con l’Ucraina si è rifiutato, in nome della neutralità, di consegnare parte del proprio materiale bellico agli alleati di Kiev.

Intendiamoci, tutto questo po’ po’ di problemi non può gravare sulle spalle di Sergio Ermotti. Certo è che, uscito da Ubs con l’aura del banchiere brillante e capace, ci ritorna con l’ostico compito del “tagliatore di teste”, considerato che sarà responsabile della soppressione di migliaia di posti di lavoro e della gestione di una banca ritenuta ormai troppo grande per essere salvata. Ma si vede che questa volta ha dato retta a Enzo Jannacci, e quindi “ciapp’istess, ciapp’istess”.