Pressoché impossibile dire sì alla riesportazione di armi e restare neutrale. Il Consiglio federale lo ribadisce, in Parlamento c’è chi se ne dimentica
Due crude verità sulla guerra in Ucraina. La prima l’ha detta giorni fa l’ex consigliere agli Stati Dick Marty: i vincitori, come in ogni conflitto, sono i «mercanti d’armi». La seconda: i perdenti sono ancora una volta i civili (gli ucraini, così come i russi che si dissociano da Putin e la sua cricca guerrafondaia). La piccola Svizzera farebbe bene a tenerle come bussola, queste verità, di fronte a una guerra molto più grande di lei che la lascia spaesata. In altre parole: non dovrebbe in alcun modo partecipare alla corsa ad armare l’esercito di Kiev; dovrebbe invece fare tutto il possibile per aiutare, materialmente e sul piano diplomatico, la popolazione ucraina martoriata. Solo così potrà evitare un’ulteriore distorsione del diritto internazionale, per effetto di una guerra che – per quanto tragica e prossima a noi sia – non è l’unica a doverci preoccupare.
L’editorialista del ‘Tages-Anzeiger’ ha scritto che Udc e Verdi – contrari, per ragioni opposte, alla riesportazione di armi e munizioni – danneggiano la credibilità della nostra neutralità: "Che la Svizzera proibisca ai suoi vicini di trasferire sistemi d’armamento vecchi di decenni, lo capiscono al suo interno soltanto ideologi di destra e di sinistra".
Troppo facile. In gioco non c’è tanto l’ideologia, quanto il diritto internazionale (quello della neutralità ne è parte integrante). Il Parlamento magari riuscirà a cambiare la legge, come chiede a gran voce l’industria bellica (che già si fregava le mani per l’ingente aumento delle spese per l’esercito) e i suoi lobbisti a Palazzo. Ma difficilmente lo potrà fare senza contravvenire in qualche modo agli obblighi (la parità di trattamento tra belligeranti) assunti dalla Svizzera nelle vesti di potenza neutrale. A meno di rinunciare a questo statuto. Cosa che nessuno vuole.
Il diritto internazionale è già tra i grandi perdenti di questa guerra. La Russia, invadendo l’Ucraina, lo ha violato in maniera crassa. Proprio per questo occorre che gli Stati continuino a tenerne alto il vessillo. Evitando di strapazzarlo ancor di più.
Il discorso vale a maggior ragione per la neutrale Svizzera, Paese depositario delle Convenzioni di Ginevra, e ora persino membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il diritto della neutralità stabilisce che "nel corso di una guerra non devono essere cambiate le regole del gioco per quanto riguarda la fornitura di armi e altre ‘misure restrittive’"; e "troppe furberie escogitate sul momento potrebbero danneggiare la credibilità della Svizzera come Stato neutrale". Lo ha ricordato su queste colonne il professore di diritto internazionale Marco Sassòli. (Detto per inciso: da certi rischi non è esente nemmeno il diritto nazionale. Lo si vede a Berna, con ‘turbo-leggi’ sul fotovoltaico e sull’eolico che sull’altare della ‘sicurezza dell’approvvigionamento’ minacciano di scalfire basilari principi costituzionali).
Va detto che in quest’anno di guerra – al netto dei tentennamenti iniziali sulle sanzioni e di successive sbavature – il Consiglio federale se l’è cavata piuttosto bene su questo e su altri aspetti (lo statuto S concesso a oltre 75mila ucraini, per citarne uno). Ma la Svizzera può e deve fare di più. Ad esempio approntando una base legale che agevoli la confisca di fondi e beni degli oligarchi russi, in modo che possano poi essere destinati alla ricostruzione dell’Ucraina. Mettendo sul tavolo una tassa straordinaria sui maxi-profitti realizzati dai ‘big’ del commercio del petrolio e di altre materie prime, come stanno facendo alcuni Paesi europei. Oppure, semplicemente mostrandosi un po’ più generosa negli aiuti alle principali vittime di questa guerra: i civili ucraini.