Parlano le vittime che hanno potuto prendere conoscenza del contenuto del rapporto. ‘Atteggiamento cambiato quando si è scoperto il contenuto’
Una totale assenza di governance e una direzione carente, che hanno permesso negli anni a un alto dirigente di diventare il ‘padre padrone’ di Unitas. Con il beneplacito di tutti. È la ricostruzione contenuta all’interno dell’audit che certifica, come hanno spiegato le vittime coinvolte alla Regione, i casi di molestie sessuali e mobbing in seno all’Associazione per ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana. Un documento di 70 pagine del quale le persone coinvolte hanno potuto prendere conoscenza venerdì. «Ci siamo rifiutate di firmare l’accordo di confidenzialità, a differenza del consigliere di Stato Manuele Bertoli, che però ha violato questo accordo venerdì durante una sua personale conferenza stampa», spiega una delle persone coinvolte. «Non vogliamo che quanto accaduto resti nascosto».
Una volontà di fare chiarezza – e farla in tempi rapidi – che secondo le vittime non ci sarebbe stata da parte di tutti gli attori coinvolti. «Dall’incontro è emerso che gli avvocati hanno rimesso l’audit al governo già in settembre, insistendo a più riprese affinché lo stesso governo si occupasse di informare anche le vittime. Come già aveva fatto con i vertici di Unitas». Una comunicazione, però, «che abbiamo ricevuto solo in novembre, dopo esserci esposti tramite la stampa. Non sappiamo se senza quest’azione l’incontro tra vittime e avvocati incaricati di redigere l’audit sarebbe avvenuto».
Il dito viene puntato soprattutto contro il Dipartimento sanità e socialità: «Il rapporto sembra essere ‘monco’ – commentano le persone interessate che hanno potuto conoscere i suoi contenuti – proprio a causa dell’atteggiamento del suo mandatario (il Dss, ndr) che non ha risposto alle richieste degli avvocati da lui stesso incaricati». Tra le mancanze dei Dipartimento ci sarebbe il ‘temporeggiare’ davanti alle richieste – arrivate da parte degli avvocati – di invitare a testimoniare persone informate sui fatti, per lo più dipendenti di Unitas. «In questo modo il rapporto rivela che ci sono stati abusi e carenze di ogni tipo per 25 anni, ma trova tracce chiare solo per gli ultimi cinque anni» affermano le vittime.
Ma le critiche al Dss sono anche altre: «Per avere le informazioni a cui avevano diritto le vittime sono state costrette dal Dipartimento a rendere note le proprie testimonianze e la propria identità, obbligandole così a subire ulteriori dolorose ritorsioni». Un tendenza al ricatto che, ricordano le persone interessate, «è certificata dall’audit, come lo è anche la paura di ripercussioni per le vittime che per oltre vent’anni si sono quindi guardate bene dal dire qualcosa».
A lasciare deluse le persone coinvolte è anche l’atteggiamento del governo e le sue prese di posizione, contenute nei due comunicati pubblicati negli scorsi mesi. «Nel primo si parlava di criticità di ordine organizzativo e amministrativo. Nel secondo, arrivato dopo le testimonianze sui media e una discussione accesa in parlamento, si impone il ricambio dell’intero comitato e la valutazione della posizione del direttore». Eppure, proseguono le vittime, «l’audit sul quale si basavano i due comunicati era lo stesso».
Per le persone coinvolte la situazione quindi è chiara: «La scusa della tutela delle vittime è stata utilizzata per non rendere pubbliche le manchevolezze della dirigenza Unitas. Dall’incontro di venerdì sembra emergere che il vero problema del Dipartimento sia quello di nascondere gli errori della dirigenza e del loro legale». Avvocato che, ci tengono a precisare gli interessati, «è stato un sostenitore del direttore del Dss alle ultime elezioni».
Il ‘caso Unitas’ sta in ogni caso per tornare sui banchi del Gran Consiglio. La sessione che prende avvio oggi prevede infatti la risposta a due interpellanze, presentate da Marco Noi (Verdi) e Matteo Pronzini (Mps), che chiedono lumi sulla vicenda. "Di fronte a tutta questa sofferenza nessuna parola di scusa, nessuna riflessione critica sull’operato dell’associazione di cui lui è stato prima vice presidente e poi direttore" è invece la critica che il collettivo Io l’8 ogni giorno rivolge al consigliere di Stato Manuele Bertoli e alle affermazioni rilasciate durante la conferenza stampa convocata venerdì per chiarire la sua versione sulla vicenda Unitas. "Addirittura in nome della necessità di permettere all’associazione di continuare il suo lavoro di aiuto alle persone cieche e ipovedenti Bertoli ha sostenuto la necessità di ‘elaborare’ l’accaduto e andare avanti senza rimettere in discussione l’attuale comitato. Come dire che la sofferenza delle vittime e il benessere sui posti di lavoro vale comunque meno della necessità di continuare a operare". Il collettivo nel suo scritto cita anche i casi di molesti del passato, come quello di un ex funzionario pubblico. "Vicende che gettano anche qualche dubbio sull’utilità di continuare a procedere con audit i cui risultati vengono tenuti segreti e che comunque non portano mai a cambiamenti significativi all’interno delle situazioni analizzate e che nella stragrande maggioranza dei casi si risolvono con l’assoluzione dei quadri dirigenti".