Giornalista e scrittrice, sta per pubblicare ‘Voi che avete visto il mare’, ritratto dei membri di una generazione e dei loro sogni: un’anticipazione
Pubblichiamo alcuni estratti da Sara Rossi Guidicelli ‘Voi che avete visto il mare – La mia famiglia, il Sessantotto e altri ideali’ (iet, 2022, pp. 12-17, 30).
La mia famiglia era così: si facevano cene in una stanza dove tutti fumavano, gridavano e parlavano di politica. In vacanza si partiva in almeno venti persone, da qualche parte al mare in una casa con tante stanze e un bagno solo. I grandi parlavano molto di politica ma solo tra loro. Alla fine tutti divorziavano. Tra i primi, i miei genitori.
Mio papà si era risposato ed era andato a vivere in una casa in cooperativa con altre cinque famiglie, la Crespera. Era una grande fattoria abbandonata, da ripulire completamente. Ne avevano ricavato sei appartamenti, mantenendo il fienile, il pollaio, l’orto e un terreno enorme intorno con le pecore. C’era un salone, chiamato cucinone, dove si facevano le feste. Non andavano troppo d’accordo quelle sei famiglie.
Comunque, ci viveva il mio migliore amico, che qui chiameremo Lo Scienziato, perché poi è diventato uno scienziato.
Da vedere eravamo più o meno come ci si aspetta nelle fotografie degli anni settanta, anche se erano già gli ottanta: pantaloni di velluto, maglioni a righe, nessuna attenzione ai colori. I miei genitori non volevano comprarmi la barbie nonostante le mie richieste e quando proprio mia mamma non ne poteva più, mi aveva regalato la barbie mulatta, con i capelli afro. Io naturalmente la volevo ariana.
C’è una foto, che mi piace molto, di mio papà: ha il gilè, tiene il pugno alzato e ride. Ero già grande, all’epoca, e la foto mi piace proprio perché mi ricorda che mio papà non è cambiato molto. Io ho appena fatto in tempo a scorgere qualche bagliore di quel Sessantotto durato un decennio e poco più, poi la scintilla si è persa in quasi tutti. In mio papà, è sempre lì.
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Giochi
Noi bambini della Crespera, negli anni ottanta, giocavamo:
In casa sentivamo parlare di politica, ma nessuno ci educava di proposito. Almeno, questa è la mia impressione. A me adesso sembra di spiegare moltissime cose a mia figlia, mentre non ricordo che all’epoca qualcuno cercasse di indottrinarci. Per esempio, non sapevo niente: una volta stavamo brindando per qualche notizia sentita al telegiornale e avevo alzato il bicchiere urlando Al golpe!, ma avevo sbagliato, perché noi stavamo dalla parte del governo regolare. Tutti hanno riso, ma ancora oggi non so di che paese si trattasse.
Lo Scienziato dice che con noi hanno usato la pedagogia dell’esperienza, cioè ci lasciavano fare, soprattutto in giardino. Ricordo per esempio una volta in cui un amico di famiglia aveva messo lo Scienziato in groppa al nostro montone; il pecorone, come lo chiamavamo noi, era partito di corsa, puntando dritto contro la ramina alla fine del prato. Lo Scienziato, che avrà avuto cinque anni, si era aggrappato al pelo del pecorone ma con l’urto era balzato al di là della rete e si era messo a piangere. Nessuno aveva fatto una piega: erano cose normali.
Un altro esperimento riguardava la mia educazione musicale. Mia mamma mi aveva mandata da una professoressa con metodi cosiddetti alternativi. Alla prima lezione mi aveva detto: Suona la primavera, non preoccuparti delle note. Lascia andare le mani e i tuoi sentimenti. Sudavo, e il risultato era ovviamente orrendo. Bravissima. Stupendo. Vedo i fiori, volevi esprimere gioia, si sente. Ora prova a farmi un bell’autunno. Avevo supplicato mia mamma di smetterla subito con il pianoforte.
Dal nostro punto di vista, i peggiori erano quelli che volevano insegnarci qualcosa. Una volta avevamo scoperto in un angolo del giardino la fidanzata di uno dei vicini che prendeva il sole senza reggiseno. Noi bambini cercavamo di avvicinarci di soppiatto per vedere meglio e anche per tirarle dell’erba addosso. Allora lei si era sollevata sul gomito, aveva sorriso con indulgenza e si era messa a spiegare che capiva il nostro imbarazzo, ma che questo era del tutto ingiustificato, perché il corpo è una cosa meravigliosa di cui non bisogna vergognarsi. Eravamo scappati a gambe levate.
Credo che gli adulti che ci circondavano erano stati figli di genitori rigidi, avevano vissuto un’infanzia senza parlare a tavola, piena di regole e tabù. E chissà a scuola quante ne avevano prese. Noi, o perlomeno alcuni di noi, ci scontravamo con l’opposto e qualcuno poi ne ha anche sofferto.
[…]
Ai nostri occhi gli adulti avevano un segreto. I nostri genitori avevano mantenuto una certa luce negli occhi che si accendeva quando parlavano di libertà, giustizia, dei grandi movimenti che mobilitavano le masse oppure di un eroe solitario che si batteva per il bene degli altri.
All’epoca, quando eravamo piccoli noi, non ci era chiaro. Ma sentivamo già che eravamo esclusi da qualcosa di grandioso che li legava. Noi avevamo i nostri giochi e loro gli ideali, una colla che li teneva uniti e in piedi.
Crescendo abbiamo provato invidia: avevano un mondo più ordinato del nostro, e al tempo stesso più vivo e aperto. Loro sapevano: da una parte c’erano le cose giuste e dall’altra le cose fasciste. I ricordi di questo strascico di Sessantotto risalgono a quando ero molto piccola, poi le cose sono cambiate in fretta; forse già mia sorella, che è nata sette anni dopo di me, ha vissuto in modo diverso la fine di quell’epoca. Però è capitato ancora, per molti anni, nel giardino della Crespera, che a qualche festa sentissimo urlare alcuni amici di famiglia contro l’imperialismo, il fascismo e la società dei consumi. Era bello.
Per noi che invece, il nostro nemico, non sappiamo neanche chi è.
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Il libro verrà presentato sabato 12 novembre alle 11 alla Libreria Casagrande di Bellinzona, con Sara Groisman (iet); giovedì primo dicembre alle 20 nell’Auditorium di Casa Cavalier a Biasca, con Daniele Dell’Agnola, scrittore (serata a cura della libreria Ecolibro); giovedì 15 dicembre alle 18 nella Sala refettorio del Lac, con Daniela Almansi, traduttrice e redattrice.