Uno dei proprietari del comparto scrive ai granconsiglieri. Presentato un emendamento a difesa delle attività economiche esistenti
Sui due piatti della bilancia, mai come questa volta, ci sono il bene pubblico da una parte e l’interesse privato dall’altra. Decidere da che lato far pendere l’ago, da lunedì, toccherà ai granconsiglieri, alle prese con il Puc (il Piano di utilizzazione cantonale) di Valera. Da anni si sa che la posta in gioco, soprattutto per il Mendrisiotto, è alta. E non solo per i quasi 17 milioni messi nel piatto dal Consiglio di Stato per convertire il comparto nel ‘cuore’ del Distretto – lì tra Rancate, Genestrerio e Ligornetto, oggi Quartieri di Mendrisio –, con i suoi oltre 160mila metri quadrati, all’agricoltura, alla natura e allo svago di prossimità. A poche ore dal voto, però, ad alzare ulteriormente l’asticella è stato uno degli attori privati sulla scena della vicenda da anni, che ha tentato un’ultima mossa per sparigliare le carte.
Normale attività di lobbying, si dirà. In realtà dietro le quinte del dibattito che a inizio settimana – nell’agenda del Gran Consiglio il messaggio sul Pc è alla trattanda 16 – deciderà del destino di quel triangolo di territorio si è palesato ben altro e ben oltre le voci di corridoio sulle pressioni esercitate in questi ultimi anni anche sulla Commissione ambiente, territorio ed energia, autrice (a larga maggioranza) di un rapporto pro Valera. Giovedì, infatti, nella buca delle lettere dei deputati al parlamento (anche se non di tutti) è stata recapitata una missiva, in calce la firma di uno dei due maggiori proprietari della zona, deciso a rivendicare l’attenzione della politica (nonostante i sopralluoghi e le audizioni fatti in sede di esame commissionale). L’intento? Patteggiare una soluzione di compromesso (sempre dentro i confini del comparto) a fronte di un indirizzo pianificatorio, peraltro già ancorato al Piano direttore cantonale, che vincola ad area agricola i suoi due appezzamenti di terreno.
Se ciò non bastasse, sempre giovedì, a ricordare al privato che in quella zona – una superficie di oltre 9mila metri quadri – non è ammesso un ampliamento della sua attività di trattamento dei rifiuti (perlopiù inerti), da Losanna è calata una sentenza del Tribunale federale. Verdetto che ha dato forza alle decisioni delle istanze precedenti. A cominciare dal Municipio di Mendrisio che, nel 2018, aveva negato la licenza edilizia; bocciando di fatto il progetto di trasformare un capannone da un migliaio o poco più di metri quadrati in un centro di separazione e trattamento meccanico di almeno 46mila tonnellate di materiali all’anno. E questo nella variabile minore (si parlava anche di 50mila tonnellate l’anno) e con la prospettiva di una quarantina di camion al giorno.
L’appello dell’imprenditore, in ogni caso, sembra proprio sia riuscito a fare breccia, almeno in due parlamentari. Nella giornata di ieri Tamara Merlo e Maura Mossi Nembrini del gruppo Più Donne hanno consegnato, infatti, un emendamento che si richiama ad aspetti "umani ed economici", perorando, di fatto, la causa del proprietario e della sua azienda decennale che, si ricorda, "dà lavoro a 23 dipendenti". In buona sostanza, motivano le due granconsigliere, "non è ammissibile che il pur lodevole progetto di Valera cancelli delle attività economiche e dei posti di lavoro". Morale? La proposta traduce un’appendice all’articolo 2 del Decreto legislativo. Che recita così: "Sono salvaguardate le attività economiche esistenti nel comparto in questione e il Consiglio di Stato si impegna a trovare loro una collocazione adeguata a mantenere la funzionalità delle stesse".
Restando dentro i confini del comprensorio ritagliato tra Rancate, Genestrerio e Ligornetto, l’operazione si prospetta assai ardua. Metterla in atto significherebbe sconfessare i principi stessi del Puc (tanto più lì accanto al corso del fiume Laveggio). Lo si farebbe a maggior ragione dando seguito alla modalità suggerita dal privato, il quale vedrebbe bene uno spostamento dell’attività in altri due terreni posti sul lato opposto, sì accanto alla strada cantonale ma per il Puc in piena zona Sac (Superfici per l’avvicendamento delle colture).
In effetti, se per il proprietario degli appezzamenti la manovra "non andrebbe in conflitto" con il progetto cantonale, per chi (nel mondo ambientalista e della politica) in tutti questi anni si è battuto – a suon di petizioni, opposizioni a domande di costruzione e prese di posizione – per una conversione verde di Valera, il problema sussiste eccome. D’altro canto, a corroborare le scelte pianificatorie del Cantone – pronto a destinare 9 milioni e mezzo agli espropri – oggi ci sono anche delle sentenze. Due in particolare sono state pronunciate dall’Alta Corte di Losanna: la prima, nel 2016, relativa alle modifiche apportate al Piano direttore, la seconda, nel 2019, sulla natura agricola dei terreni al centro della contesa e all’origine di cause per la richiesta di indennizzi multimilionari (sempre da parte dei due proprietari).
Di recente, come detto, si è aggiunto un terzo verdetto. La querelle, a prima vista, appare minore inserita nel macro scontro innescato in questi anni tra privati e istituzioni pubbliche, eppure aggiunge una tessera per nulla trascurabile al mosaico generale di Valera. Su fronti contrapposti, ancora una volta, uno dei proprietari (il titolare dell’attività di inerti, appunto), da una parte, e Municipio della Città, Dipartimento del territorio e Consiglio di Stato dall’altra. A fare da arbitro, una volta di più, i giudici del Tribunale federale, che non solo hanno respinto il ricorso dell’imprenditore, ma gli hanno pure dato torto su tutta la linea. Censurando altresì le sue tesi quanto a un lamentato ritardo ingiustificato nella procedura edilizia, a una violazione della libertà economica e, soprattutto, all’assenza di un interesse pubblico preponderante (che ha fatto scattare sospensioni e blocco edilizi sull’arco di circa due anni). L’interesse collettivo superiore, scandisce il Tf, c’era eccome. Di fatto, si motiva, si è agito per "impedire che sul fondo vengano realizzati degli interventi edilizi di natura industriale, incompatibili con la destinazione agricola prevista dalla pianificazione in corso".
Agli occhi dell’Alta Corte non ha retto neppure l’argomentazione che al momento della domanda di costruzione finale (la prima era stata presentata nel 2007) depositata il 25 aprile del 2018 non sussisteva un esame pianificatorio. I ricorrenti, si è fatto notare, hanno dimenticato che la procedura del Puc è stata avviata in veste formale il 13 aprile di quell’anno. Ergo "lo studio pianificatorio era quindi in corso quando i ricorrenti hanno presentato la domanda e quando l’hanno in seguito completata e ampliata, riattivando in questo contesto il connesso progetto di edificare un nuovo capannone per il deposito dei rifiuti". Intendimenti, questi ultimi, si ribadisce, in contrasto con la prospettata nuova pianificazione del comparto.