laR+ le elezioni in svezia

L’ombra sinistra della destra svedese

Il partito ultranazionalista supera il 20% e diventa il secondo più votato. Un successo del leader Akesson che l’ha ripulito da simboli legati al nazismo

Jimmie Akesson esulta dopo l’esito del voto (Keystone)
13 settembre 2022
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Abbiamo visto Greta Thunberg con in mano i suoi cartelli per la lotta per il clima e l’abbiamo abbinata ai nostri pregiudizi, in cui vediamo nei Paesi nordici avamposti ambientalisti e con uno stato sociale dove tutto funziona. Ma la ragazza e i suoi propositi sono solo la punta di un iceberg chiamato Svezia. Un iceberg che ha virato a destra.

Quel che si nascondeva sotto la superficie infatti era, ed è, molto diverso. Ha un nome, Democratici Svedesi (sebbene così democratici non lo sembrino), e un volto, quello dell’ex web designer Jimmie Akesson, l’uomo che a 43 anni e dopo una lunga vita politica – iniziata appena maggiorenne nel villaggio che l’ha visto crescere, Sölvesborg – ha portato un partito nazionalista di destra oltre il 20 per cento, diventando il secondo più votato del Paese dopo i socialdemocratici.

Numeri inattesi

Anche, anzi soprattutto, con quei voti, la coalizione di destra avrebbe sconfitto per una manciata di schede (46mila) il centrosinistra. Il tutto in attesa di domani per i dati definitivi, quando i voti via posta e quelli all’estero verranno contati. Il quadro attuale garantisce al centrodestra un deputato in più: a maggior ragione il peso dei Democratici Svedesi nel nuovo governo si farà sentire. Nonostante l’exploit, Akesson pare che non abbia nessuna possibilità di diventare il nuovo primo ministro, visto che gli altri partiti della coalizione hanno da tempo indicato un altro leader, Ulf Kristersson, un moderato. Ma un ruolo nel governo, se vorrà, per lui ci sarà. Non è escluso, però, che possa condizionare maggiormente da fuori il futuro del suo Paese, tenendosi le mani più libere. Un ruolo meno istituzionale potrebbe essere quello perfetto per continuare la sua campagna antimigranti aggressiva e ossessiva. Il suo partito, antieuropeista per vocazione, non è però autarchico e propone soluzioni populiste, ma non radicali.


Ulf Kristersson, moderato, verso la poltrona di primo ministro (Keystone)

Un buon riassunto di quel che sono i Democratici Svedesi, l’ha fatto l’ex leader Mattias Karlsson intervistato in ‘Euroscettici’ (di Carlo Muzzi, editore Le Monnier): "Siamo un partito social-conservatore. Con un’etichetta del genere è difficile anche per noi posizionarci da destra a sinistra lungo una scala ideologica tradizionale. In generale, siamo un po’ più a destra del partito liberal-conservatore svedese quando si tratta di politiche per famiglia, difesa, cultura, immigrazione e ordine pubblico. Siamo di centro e a sinistra dei liberal-conservatori per ciò che riguarda le questioni riguardanti i diritti dei lavoratori, come i contributi alle pensioni, i contributi per le famiglie povere, e alcuni altri temi del welfare state, come il supporto alle persone più povere e alle fasce più deboli della società".

Contraddizioni

Un partito che pende a destra, quindi: "Ma non in senso tradizionale. Perché seguiamo l’idea dei pensatori socialconservatori del XVIII secolo, secondo cui se ti prendi cura della tua gente e sei aperto alle riforme sociali e di giustizia, allora ci saranno maggiori possibilità di creare armonia e unità nella società... è difficile ottenere armonia e unità se le differenze tra i più ricchi e i più poveri sono troppo marcate".

Un partito di contraddizioni, che fa la guerra ai più poveri tra i poveri, gli immigrati, ma parla di equità; che raccoglie più razzisti conclamati di qualsiasi altro; e che vuole uscire dall’Unione europea, via referendum, per ripartire da basi diverse, con accordi con tutti i Paesi, ma senza una politica sovranazionale. D’altronde, parole di Karlsson, ‘Norvegia e Svizzera sono fuori dall’Ue e se la cavano più che bene’.


Le operazioni di voto a Malmö (Keystone)

Karlsson e poi Akesson hanno fatto di tutto per ripulire un’immagine tutt’altro che presentabile e di cui in effetti non avevano alcuna responsabilità: il partito è stato fondato nel 1988 quando i due erano adolescenti. All’epoca i componenti più giovani del direttivo erano tutti collegati ad ambienti di estrema destra e neonazisti, ma ai vertici vi erano anche veterani che non erano neonazisti, perché erano stati nazisti per davvero e non avevano mai smesso di professarsi tali. Alle elezioni del 2010 i risultati li premiarono con il 5,7% dei voti e 20 deputati.

Campagna antimigranti

Negli anni si è fatto il possibile per togliere ogni simbolo che ricordasse la destra, via la torcia simile a quella del British national front, movimento fascista britannico (al suo posto un più rassicurante anemone con pistilli gialli e petali blu, i colori della bandiera nazionale), via gli iscritti pizzicati a mostrare simboli nazisti. Ben 14 consiglieri locali hanno dovuto togliere il disturbo in quanto simpatizzanti o addirittura finanziatori del Nordic Resistance Movement: vale a dire, neonazi. Nella tagliola è finita anche la suocera dello stesso Akesson dopo una serie di commenti antisemiti.

Nel 2018 i consensi sono saliti fino al 17% (sfondando per la prima volta il muro del milione di voti) per poi calare alle Europee (15,3%). Sembrava un assestamento fisiologico, invece Akesson – dopo l’uscita di Karlsson – è riuscito a far passare il messaggio del "nazionalismo buono", alla scandinava. L’esperienza di Malmö, la città a Sud del Paese che è socialmente implosa dopo l’arrivo di decine di migliaia di emigrati, ha rafforzato in molti l’idea dell’ordine, dei confini regolamentati oltremisura, infischiandosene di accordi sovranazionali e bisogno di manodopera interna.

I Democratici Svedesi tirano dritti: vogliono il divieto del velo islamico e una riforma delle politiche di accoglienza con una stretta sui richiedenti asilo e rimpatri per i migranti che commettono crimini. E pur difendendo la sanità pubblica propongono di riservare le prestazioni sanitarie gratuite o calmierate ai soli svedesi. Insomma, hanno semplificato il tutto, l’hanno mischiato a toni apocalittici e richiami all’unità della nazione e poi l’hanno servito agli svedesi. Una ricetta che aveva funzionato ad altre latitudini, ha funzionato anche lì, dove – evidentemente – il clima è cambiato.


Balletto post-voto per Akesson (Keystone)