Il deputato al Nazionale Marco Romano chiede al Consiglio federale di valutare l’introduzione del documento nell’ambito degli appalti pubblici
Passa anche dalla prevenzione il contrasto alle infiltrazioni mafiose in Svizzera e da questo punto di vista uno strumento importante potrebbe essere il certificato antimafia. Ne è convinto il consigliere nazionale ticinese Marco Romano (Alleanza del centro) che con un recente postulato chiede al Consiglio federale "di valutare la possibilità e le eventuali necessità di modifiche del quadro legislativo affinché la Confederazione e le aziende parastatali possano chiedere nell’ambito di appalti pubblici la presentazione del certificato antimafia italiano sia alle aziende partecipanti sia a quelle beneficiarie di subappalti che hanno la sede principale (casa madre) in Italia". Per non creare "inutili oneri burocratici", secondo il parlamentare del Ppd "è ipotizzabile considerare solo appalti pubblici con un volume finanziario rilevante". La valutazione, aggiunge Romano, "dovrebbe considerare la possibile ripresa della pratica anche da parte dei Cantoni".
In Italia, ricorda il deputato al Nazionale, società, imprese e consorzi "devono produrre e consegnare la certificazione antimafia per partecipare ad appalti pubblici e altre forniture di servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni". Il certificato antimafia "è un documento che viene rilasciato a seguito di accertamento della ‘mancanza di cause di decadenza, sospensione o divieto e di tentativi di infiltrazione mafiosa (secondo la legge 575 italiana), verso soggetti che vogliono instaurare rapporti con la pubblica amministrazione’". Con la certificazione si attesta che il richiedente "non ha a suo carico misure di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, divieto/obbligo di soggiorno, condanna o sentenza definitiva o non definitiva per contraffazione, traffico illecito di rifiuti, scambio elettorale politico-mafioso, associazione a delinquere (anche di tipo straniero), sequestro di persona a scopo di estorsione". La certificazione, scrive ancora Romano, "è rilasciata dalle Prefetture competenti italiane per territorio in seguito alla consultazione di una specifica banca dati di scala nazionale dove sono riportate eventuali cause di decadenza/sospensione/divieto previste dall’articolo 67 del Decreto legislativo 159/2011, anche l’esistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa". Si tratta di un documento "divenuto corrente nella relazione tra aziende e Stato in Italia", osserva il politico. Per il quale "il valore aggiunto generato è rilevante, senza particolari oneri burocratici".
Pertanto, evidenzia il parlamentare, "considerata la necessità di alzare il livello di protezione nei confronti delle infiltrazioni di stampo mafioso in Svizzera, è opportuno valutare l’opportunità di chiedere questo documento nel quadro degli appalti pubblici della Confederazione e delle aziende detenute dalla Confederazione («Penso in primis alle Ffs», precisa il consigliere nazionale ticinese da noi interpellato) a tutte le aziende postulanti con sede principale (casa madre) in Italia". Essendo un documento ufficiale e corrente in Italia, il certificato antimafia, ribadisce Romano, "genera un valore aggiunto immediato e significativo a tutela del sistema economico e degli appalti pubblici della Confederazione e dei Cantoni".
Non si fermano però qui le proposte dell’esponente popolare democratico per rendere maggiormente incisiva la lotta alla criminalità organizzata. Con un altro atto parlamentare, in questo caso una mozione, depositata lo stesso giorno (il 15 giugno) in cui ha inoltrato il postulato riguardante il certificato, Romano sollecita il Consiglio federale a prendere "le misure affinché la Confederazione, in collaborazione con i Cantoni, statuisca sistematicamente e preventivamente un divieto di entrata per tutte le persone condannate in Italia – in via definitiva – per mafia giusta l’articolo 416bis del Codice penale italiano nonché per gravi reati correlati". Avverte il politico: "Il livello di infiltrazione in Svizzera di attori, attivi e passivi, collegati alla criminalità organizzata di stampo mafioso in Italia è una realtà preoccupante". Il mozionante non ha dubbi: "La misura proposta – già in parte praticata, ma non in maniera sistematica e coordinata con i Cantoni – permette di aumentare il livello di protezione (sicurezza interna e ordine pubblico) e di evitare che nel nostro Paese si spostino e svolgano attività persone che sono state condannate in Italia per mafia secondo l’articolo 416bis del Codice penale italiano nonché per gravi reati correlati". Il divieto di entrata "è giustificato e opportuno alla luce dei fondamenti medesimi dell’agire mafioso e per garantire la sicurezza e l’ordine pubblico interno". In Ticino, spiega Romano alla ‘Regione’, «mi risulta che l’approccio all’applicazione del divieto d’entrata vada nella giusta direzione. È necessario, ritengo, che questo tipo di approccio venga esteso al resto dei cantoni».
Per quanto riguarda sempre l’azione di contrasto alle infiltrazioni mafiose, Romano sta lavorando a ulteriori atti parlamentari. «Entro fine anno – preannuncia il consigliere nazionale del Ppd – intendo presentarne due. Uno per l’adozione anche nella lotta alla criminalità organizzata delle misure preventive vigenti contro il terrorismo, misure accolte qualche anno fa in votazione popolare. L’altro atto parlamentare chiederà l’introduzione nella legislazione svizzera di norme precise ed efficaci per la protezione dei testimoni».