La Francia entra da oggi nell’era della politica liquida, del pericoloso disorientamento e del disincanto: 3 giovani su 4 non si sono recati ai seggi
Tanti sconfitti e una vincitrice. A poter pasteggiare a Champagne, troviamo solo Marine Le Pen. Le legislative francesi, che segnano una disfatta per il presidente Macron, le hanno tributato un successo imprevisto che ha disorientato analisti, politici e politologi. Nella 11esima circoscrizione del Pas-de-Calais la leader dell’estrema destra ha sbancato con un clamoroso 61% e il suo Rassemblement National raccoglie un numero di seggi del tutto insperato e all’ora in cui scriviamo verosimilmente superiore a quello della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. In cinque anni l’ex Fronte Nazionale passa da 8 a 85-90 seggi. Mélenchon con ‘Nupes’, la sua coalizione di sinistra (oltre alla France Insoumise, socialisti, ecologisti, comunisti), manca chiaramente l’obiettivo prefisso, la conquista della poltrona di primo ministro. La sinistra radicale raccoglie circa 150 seggi, molto lontano dai 289 necessari per conquistare la maggioranza parlamentare. In termini percentuali meno di un francese su tre ha votato per la sinistra.
Un poster elettorale di Macron nel suo quartier generale (Keystone)
La sconfitta del partito del presidente (‘Renaissance’) e della sua coalizione centrista (‘Ensemble’) crea uno scenario di grande instabilità in un panorama politico sfilacciato. ‘Ensemble’ è prima sul podio con 234 seggi, ma perde oltre 100 seggi e soprattutto non raggiunge la soglia della maggioranza all’Assemblea nazionale. Come dire che la governabilità vacilla, che entriamo in una legislatura complessa, dove la politica dovrà declinarsi sempre in termini di accordi e compromessi.
La disfatta della maggioranza uscente è il termometro di un diffuso malcontento, tradottosi con l’eliminazione di alcuni tenori del partito macronista (tra cui diversi ministri e il presidente dell’Assemblea nazionale), ascrivibile alle incertezze che la congiuntura ha creato tra la classe media e nei settori più deboli della società. Elisabeth Borne, la neoeletta premier, è eletta per il rotto della cuffia. Una pandemia senza precedenti e una guerra che scuote il continente hanno certamente contribuito a favorire le correnti sovraniste: non è un caso che Mélenchon e Le Pen condividano oltre a un malcelato putinismo, una visione euroscettica, protezionistica, nonché alcune proposte dal forte sapore demagogico sulle riforme del lavoro e sul regime pensionistico (abbassamento sostanziale dell’età della pensione in un paese dove da anni è già in vigore la settimana lavorativa di 35 ore).
Mélenchon ha ridato fiato alla sinistra (Keystone)
Quando la scelta del secondo turno era limitata al partito presidenziale e alla sinistra radicale, l’elettore dell’estrema destra ha optato maggioritariamente per quest’ultima. La globalizzazione, in cui la Francia come altre vecchie potenze occidentali deve far fronte alle sfide dei Paesi emergenti, ha penalizzato le aree rurali e periurbane, creando l’humus sul quale è fiorita la ribellione dei Gilets Jaunes. L’economia e le sue trasformazioni procedono a ritmo spedito mentre la politica in Francia, come altrove, deve rincorrere: Emmanuel Macron ha cercato di ovviare a questo scarto bypassando il parlamento con un decisionismo di stampo autoritario che non è stato gradito dall’elettorato. Le legislative lo obbligheranno a sfoderare l’arma delle alleanze e dei compromessi, che ha finora più o meno ignorato non senza una certa supponente spavalderia. La Francia entra da oggi nell’era della politica liquida, del pericoloso disorientamento e del disincanto: tre giovani su quattro non si sono recati ai seggi. Tra gli sconfitti delle legislative vi è senz’altro anche la democrazia.