Il professor Sergio Rossi sull’aumento dei tassi d’interesse: invece di contenere la crescita dei prezzi al consumo, si rischia l’effetto contrario
«La decisione della Banca nazionale di aumentare di mezzo punto percentuale il tasso guida può essere definito una sorpresa ma anche una delusione – esordisce Sergio Rossi, professore di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo –. La prima conseguenza, che non giova all’economia, riguarda l’apprezzamento del franco. È pure vero che in questo modo l’importazione di petrolio e grano costeranno relativamente meno, e ciò potrebbe fare del bene per un certo periodo. Ma a medio termine la mossa della Bns porterà le banche ad alzare i tassi sui prestiti concessi alle famiglie e alle Pmi, riducendo in particolare la propensione delle imprese a investire. Inoltre, questi tassi d’interesse maggiori per le aziende avranno delle ripercussioni sui prezzi di vendita dei loro prodotti. Questa è la delusione: si va verso una spirale che invece di contenere la crescita dei prezzi al consumo, rischia di ottenere l’effetto contrario.
Dove sbaglia la Banca nazionale?
Il problema è che la Bns non ha analizzato bene l’origine di questo rincaro. Cioè, l’hanno identificato ma non hanno tratto la conseguenza logica. Se l’incremento dei prezzi fosse dovuto a un aumento della domanda, a un’euforia dei consumi, a questo punto si potrebbe dire "sì, riduciamo la domanda con un aumento del tasso d’interesse, così si spende meno". In questo caso invece, il rincaro viene dal lato dell’offerta e riguarda un aumento dei costi di produzione. Con l’innalzamento dei tassi ciò che succederà e che si andrà ad aggiungere un maggior costo per le imprese. La domanda, in questo momento, non è in aumento, bensì in calo. La stessa Banca nazionale lo ammette nel suo comunicato. Con una domanda che scende e i tassi di riferimento che salgono si farà del male all’economia.
Nelle sue dichiarazioni, il presidente della Bns Thomas Jordan ha giustificato la decisione accennando ai rischi degli effetti di ‘second round’. A cosa si riferisce?
Jordan fa riferimento al rischio di una spirale prezzi-salari. Se aumentassero gli stipendi, le imprese potrebbero a sua volta aumentare ancora i prezzi di vendita, innescando un circolo vizioso verso l’alto che farebbe del male non solo al mercato del lavoro ma a tutto il tessuto socioeconomico.
Tuttavia la Bns non è l’unica ad aver ritoccato verso l’alto i tassi d’interesse. La Fed pochi giorni fa ha aumentato i suoi dello 0,75%, mentre la Bce ha già annunciato che a breve intraprenderà la stessa strada…
Le banche centrali americane ed europea sono confrontate con un rincaro ben superiore a quello presente in Svizzera. Negli Stati Uniti si sta sfiorando il 9% annuo. In questo caso si può dire che c’è una certa giustificazione per procedere a un aumento dei tassi di riferimento. In Svizzera invece potevamo ancora aspettare. L’aumento da noi si situa intorno al 2,9%, non così lontano dall’obiettivo definito della Banca nazionale (intorno al 2%, ndr).
Ci saranno degli effetti collaterale riconducibili all’aumento dei tassi deciso dalla Bns?
Questo innalzamento voluto dalla Bns spingerà anche i tassi ipotecari al rialzo, il che potrebbe portare a una crisi immobiliare se un numero considerevole di debitori non sarà più in grado di ripagare i propri debiti. Inoltre, a causa dell’insostenibilità del debito, molti oggetti potrebbero essere messi in vendita, con il conseguente calo dei prezzi degli immobili: ciò rappresenta un rischio non solo per le famiglie ma anche per i creditori, per le banche stesse.
L’Unione sindacale svizzera si è detta preoccupata a seguito dell’annuncio della Banca nazionale. La maggior parte degli analisti finanziari invece ha celebrato la decisione. Come si spiega questa contrapposizione?
È chiaro che in questo caso chi vince è la finanza di mercato, vincono le banche. Da un lato avranno un minor interesse negativo sui conti che hanno presso la Bns (da oggi sarà di -0,25%, ndr), dunque registreranno maggiori utili a fine anno. Dall’altro vincono pure sui prestiti concessi alle famiglie e alle Pmi, poiché potranno caricare l’onere sui futuri crediti che erogheranno. Va però detto che le banche sono comunque collegate all’economia reale: a lungo andare subiranno comunque delle perdite. Se per le imprese si verificherà un calo nelle loro attività, faranno più fatica a ripagare i debiti. E poi è probabile che non faranno richiesta di ulteriori prestiti.
Cosa ci si può dunque attendere dall’economia reale nei prossimi mesi?
Presumibilmente si verificherà un maggior rallentamento dell’attività economica: è probabile che il potere d’acquisto delle persone si riduca ulteriormente, se le imprese caricheranno sui prezzi di vendita il maggior onere finanziario che dovranno affrontare. C’è anche il rischio che le imprese si vedano costrette a ridurre il livello di occupazione, nonché quello degli investimenti: a questo punto anche le entrate fiscali dello Stato potrebbero diminuire. Insomma, una traiettoria negativa per l’insieme dell’economia. Si rischia di entrare in un circolo che trascini tutto e tutti verso il basso. Con questa decisione la Bns ha aggiunto un peso morto all’economia. A breve termine chi rimarrà con la testa fuori dall’acqua sarà il settore bancario. Ma anche loro, prima o poi, soffriranno le conseguenze.