Lo storico Simone Bellezza sul presidente dell’Ucraina: ‘Temevo fosse un fantoccio, invece ha sfidato gli oligarchi’.
Quando nel 2019 lo elessero alla presidenza ucraina, in molti pensammo che fosse una sorta di Beppe Grillo dell’Est, un populista messo lì chissà come e chissà perché. Oggi invece Volodymyr Zelensky è diventato il volto d’un Paese che resiste all’invasore russo, con risultati peraltro inaspettati: un ruolo che non manca di sollecitare entusiasmo, ma anche facili mitizzazioni. Per capire un po’ meglio chi sia davvero l’ex comico ci siamo rivolti allo storico Simone Attilio Bellezza, ricercatore presso l’università Federico II di Napoli, membro di Memorial Italia e autore del recentissimo ‘Il destino dell’Ucraina. Il futuro dell’Europa’ (Scholè).
Se lo aspettava, uno Zelensky calato nel ruolo di ‘Commander in Chief’?
A essere sincero al momento della sua elezione temevo – come molti osservatori occidentali – che fosse solo una sorta di presidente fantoccio, rappresentante degli interessi di potentissimi oligarchi: soprattutto Ihor Kolomojsky, proprietario delle tv per le quali Zelensky lavorava come attore e produttore, personalità con le mani in una miriade di settori, dalle banche agli aeroporti; e Rinat Achmetov, magnate dell’acciaio e del carbone oltre che delle telecomunicazioni, un personaggio le cui aziende da sole costituiscono il 25% del Pil ucraino. Personaggi che per ragioni di business erano scontente del precedente presidente Petro Poroshenko e hanno deciso di sostenere Zelensky.
Oggi lei ha cambiato opinione?
Man mano che l’esperienza di governo di Zelensky procedeva, l’ho visto introdurre riforme coraggiose come quella agraria e realizzare notevoli investimenti nelle infrastrutture viarie del Paese, che prima erano in condizioni disastrose (e ora purtroppo sono state nuovamente distrutte dai bombardamenti). Lì si è visto anche il suo coraggio nello scontrarsi con quegli stessi oligarchi che lo avevano sostenuto, liberandosi degli uomini che nel suo governo ne rappresentavano più supinamente gli interessi, lottando per una riforma che limitasse i monopoli e imponesse ai più ricchi un aumento delle tasse, riforma rimasta in sospeso a causa dell’invasione. Insomma, già prima della guerra Zelensky ha stupito tutti, riaffermando il primato della politica sugli interessi dei grandi poteri economici.
Che partito è ‘Sluha Narodu’ (Servitore del popolo), che prende il nome dalla serie tv in cui lo stesso Zelensky interpreta un professore di Storia un po’ imbranato finito a fare il presidente ucraino?
È un partito giovane, con molte anime diverse che spesso si sono scontrate le une con le altre. C’è in effetti qualcosa che lo rende vagamente assimilabile al Movimento 5 Stelle italiano. Contiene molti vecchi amici di Zelensky, persone con le quali ha costruito la sua fortuna di imprenditore nel settore televisivo. Nella scelta della sua cerchia il presidente ha mostrato più volte di oscillare tra persone di maggiore esperienza politica, ma più compromesse con interessi vari, e volti nuovi, senza sapere sempre bene di chi fidarsi. Questa è stata una delle sue debolezze più evidenti: Servitore del popolo fatica ad esprimere una sua classe dirigente. Altrimenti non si capirebbe perché Zelensky non sia riuscito a ottenere risultati ancora maggiori dopo l’elezione che gli ha assegnato il 73% dei consensi, con la maggioranza in tutte le regioni a eccezione della Galizia, nonché la maggioranza assoluta del Parlamento.
Cosa rimane dello Zelensky comico nel suo ‘alter ego’ politico?
In realtà il ‘personaggio’ di Zelensky è cambiato già con la serie tv ‘Servitore del popolo’, nella quale ha abbandonato la comicità demenziale e un po’ volgare dei programmi precedenti di Kvartal 95, per vestire – lui attore e imprenditore di grande successo – i panni di un onesto ma goffo docente di storia che da presidente combatte corruzione e soprusi. Già lì si vedeva quella sorta di programma traversale e populista che ha poi seguito in politica, e non è da escludere che nello scrivere e interpretare la serie avesse già in mente un passo del genere.
Chi ha votato per lui?
Molti di quegli ucraini che volevano voltare pagina, coloro che – anche se oggi sembrerà paradossale – si erano stufati di sentir parlare solo della guerra che si prolungava nel Donbass e del confronto con la Russia, persone che chiedevano un’agenda nella quale il rilancio economico e la lotta alla corruzione ridiventassero le priorità. Solo questa trasversalità e la stanchezza verso certi identitarismi spiega perché un ebreo russofono, che fino al 2017 parlava poco l’ucraino, abbia trionfato così clamorosamente.
Ora invece la guerra è tornata giocoforza protagonista. Come se la sta cavando Zelensky?
Sappiamo ancora troppo poco per fornire una valutazione accurata delle sue scelte strategico-militari, ma già ora possiamo dire che la difesa di Kiev e l’abilità di trascinare la Russia in un conflitto prolungato – dopo che il Cremlino pareva sperare in un Blitzkrieg – costituiscono successi notevoli. Naturalmente Zelensky e il suo team di esperti sono stati anche molto bravi nel gestire la comunicazione, coinvolgendo l’Europa non tanto tramite l’arma del senso di colpa, quanto piuttosto chiamandola a partecipare a una lotta per la libertà e la democrazia, una lotta che vede opposta l’Europa all’autocrazia russa. Questa d’altronde è proprio la lettura del conflitto che danno moltissimi ucraini, e potrei citarle testi che già negli anni Quaranta del Novecento enfatizzavano l’essere ‘confine orientale europeo’ in opposizione alla Russia.
Ci sono stati anche errori?
Direi che qualche scivolone lo abbiamo visto, come il tentativo di paragonare l’invasione alla Shoah presso la Knesset, nella speranza di far valere il proprio passato famigliare composto da persone sfuggite all’Olocausto: una mossa che in Israele non è affatto piaciuta. Trovo poco azzeccata anche la scelta di non ospitare a Kiev il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier: nonostante i contatti con la Russia, la Germania si è comunque dimostrata piuttosto sollecita nel sostenere l’Ucraina, ad esempio tramite le sanzioni e fermando il progetto per il gasdotto Nordstream 2.
C’è stato qualcosa nella postura ucraina che potrebbe avere provocato l’invasione?
In realtà di manovre militari si parlava già da circa un anno, e credo che siano stati altri i fattori scatenanti che hanno spinto il Cremlino a questa nuova offensiva. Uno è la precipitosa ritirata americana dall’Afghanistan, che potrebbe avere spinto Mosca a osare. Peraltro la Russia esercitava già da tempo pressione sui confini europei, come l’anno scorso con la ‘minicrisi’ dei rifugiati provocata facendo passare da Russia e Bielorussia i profughi iracheni, fino a lasciarli ammassare al confine polacco: una sorta di stress test per un’eventuale emergenza profughi, emergenza che in realtà oggi la Polonia sta gestendo in modo ben più generoso. Un ruolo può averlo avuto anche il Covid, che ha presentato a Putin un’Europa richiusa nei rispettivi confini nazionali, percepita probabilmente come meno disposta a ‘fare sistema’ contro un attacco esterno. Allo stesso tempo, proprio la crisi economica legata al Covid ha colpito in modo particolarmente duro una Russia già in difficoltà, e sappiamo bene che le guerre mirano anche a rilanciare l’economia e a guadagnare maggiore coesione interna.
La politica estera di Zelensky prima del conflitto c’entra qualcosa?
Zelensky non ha combinato granché in politica estera prima della guerra, al netto di qualche relazione con i Paesi arabi che ha cercato di rivendersi come grandi successi e del coinvolgimento commerciale di imprese turche nel rilancio infrastrutturale. Ha invece mantenuto un profilo molto basso sul tema dell’adesione all’Unione europea e alla Nato, che sapeva benissimo non poter avere sbocchi immediati.
C’è chi accusa Zelensky di essere sceso a patti con un’importante componente ultranazionalista e neonazista. Cosa ne pensa?
In realtà queste componenti sono rimaste molto isolate sia in politica – in parlamento gli ultranazionalisti sono pressoché inesistenti – sia nell’esercito, per quanto faccia parlare di sé il famigerato Battaglione Azov della Guardia nazionale. Battaglione che Zelensky si stava già muovendo per indebolire prima della guerra dirottandone i fondi, sia pure facendo molta attenzione a evitare uno scontro aperto. Ora è ovvio che questa marginalizzazione sarà più difficile, dato che il sacrificio bellico del battaglione gli ha donato un nuovo lustro. Il resto dell’esercito è però molto lontano da queste posizioni e resta fedele a un concetto aperto e più tollerante, al punto da ospitare anche un’associazione militare LGBTQI+, con tanto di stemma ufficiale che rappresenta un unicorno (la propaganda russa l’ha subito strumentalizzata parlando di un inesistente battaglione omosessuale che stuprerebbe i soldati russi).
La guerra potrebbe fomentare recrudescenze ultranazionaliste?
Non si può escludere, però in Ucraina il nazionalismo massimalista è sempre stato minoritario. In generale l’idea di Ucraina che si è andata affermando – in un Paese con due lingue principali e molte lingue minori, oltre a svariate confessioni religiose – è di natura plurale, ancorata più ai concetti di Europa e democrazia che a parametri di tipo identitario, come dimostra ancora una volta l’elezione di un presidente ebreo russofono. Questa prospettiva, ovviamente, dovrà comunque fare i conti col sentimento antirusso: è possibile ipotizzare che dopo l’invasione si rafforzino componenti più apertamente russofobe.
Prima della guerra il partito di Zelensky era stato sorpassato nei sondaggi da quello del suo predecessore Poroshenko, anche se il suo mandato non appariva minacciato. Ora invece il presidente è destinato a diventare un eroe nazionale?
Io non credo che Zelensky sia o sarà considerato un salvatore della patria, a meno che non riesca a scacciare le truppe russe addirittura dai territori orientali del Paese. Gli ucraini hanno sempre dimostrato uno spiccato spirito critico, e nonostante l’inevitabile stringersi attorno alle istituzioni in un momento come questo, penso che tale spirito rimarrà vivo. D’altra parte, perfino Winston Churchill perse le elezioni subito dopo aver vinto la guerra.