Nelle vie del Borgo tornano in scena le Processioni Storiche. Abbiamo dato un’occhiata dietro le quinte
«Passione per Mendrisio è un termine particolare, ambivalente», dice con un sorriso Gabriele Ponti, presidente della Fondazione Processioni Storiche di Mendrisio. «Con esso intendiamo ovviamente la rappresentazione dell’episodio biblico, ma al contempo questa parola condensa il fervore della popolazione del Borgo nei confronti di questo evento, la "passione" appunto, di ogni cittadino per le sue processioni».
Un gazebo espositivo è stato allestito presso la chiesa di San Giovanni a Mendrisio per presentare i costumi e la storia di questa tradizione plurisecolare. «Siamo davvero molto soddisfatti del successo che ha riscontrato quest’anno», racconta Eliano Petraglio, il responsabile dei costumi e del materiale delle Processioni Storiche di Mendrisio. «A parte le moltissime scolaresche, abbiamo ricevuto un numero importante di visite di privati, soprattutto di turisti d’Oltralpe nei fine settimana: che hanno anche potuto approfittare dei tour guidati organizzati dalla Fondazione». Sotto al gazebo si ha un tripudio di corazze, elmi, toghe, lance e bracciali di cuoio: tutti gli oggetti che da anni adornano i figuranti delle processioni del Giovedì.
«Le prime testimonianze delle processioni a Mendrisio risalgono al 1600 – spiega Petraglio –, ma nel 1798 hanno subito una svolta importante. Grazie al contributo di cittadini del Borgo e di famiglie che avevano fatto fortuna in Sudamerica, si riuscirono a raccogliere grosso modo 10mila franchi per commissionare agli artigiani costumisti della Scala di Milano gli indumenti dei personaggi». Ovviamente questa sera, giovedì, tra poco più di un’ora i figuranti delle processioni non indosseranno quegli stessi abiti, ma i loro costumi ne sono copie fedeli. «C’è però un’eccezione – dice Petraglio ammiccando –, gli elmi dei portatori di scale sono originali!».
Gestire una simile quantità di materiale, peraltro dotato anche di un certo valore storico – ora più che mai dopo il riconoscimento Unesco – richiede molto tempo, ben più dei due giorni di processioni. «Alla fine di ogni edizione si ha qualcosa da riparare, finimenti che si sono rotti, qualche bozzo sulle armature o questioni di altro genere», ci illustra il responsabile. «Mi occupo personalmente di riparare ogni oggetto, anche se in alcuni casi dobbiamo rivolgerci direttamente alla Scala di Milano. Inoltre, durante l’anno il materiale necessita di manutenzione, il cuoio va unto affinché non si secchi e le armature e gli elmi devono essere lucidati». Ecco dunque il "bene immateriale" svelare la propria materialità, senza la quale – si pensi anche ai suggestivi Trasparenti disseminati per le vie del Borgo – le rappresentazioni del Giovedì e del Venerdì non risulterebbero tanto struggenti ed evocative.
«Tutto deve essere perfettamente organizzato, in particolare la vestizione dei personaggi – racconta ancora Petraglio –; ognuno ha già provato i costumi e ricevuto un biglietto recante una serie di informazioni: nome e cognome, ruolo e indumenti corrispondenti. Altrimenti è caos puro, uno entra, vede un vestito che gli piace e se lo mette». Stasera i figuranti si sono presentati già parecchio tempo prima dell’inizio delle processioni: «Alcuni costumi, infatti, sono particolarmente elaborati, bisogna attaccare barbe, oppure applicare parecchio trucco».
A proposito di costumi elaborati: «Negli anni 30 le tre Marie indossavano il velo, non certo per motivi religiosi, ma perché la società patriarcale di allora non permetteva che alle processioni partecipassero le donne. Le tre Marie erano in realtà tre uomini dal volto coperto per nascondere la barba!», ripercorre il presidente della Fondazione Gabriele Ponti.
Un altro ruolo che ha acquisito sempre maggiore importanza nel tempo è quello del palafreniere, ovvero colui che a piedi accompagna il cavallo montato da un altro figurante. «Una volta, tutti i cavalli che partecipavano alle processioni erano animali da lavoro, arrivavano alla rappresentazione già stravolti e quindi più docili. Quando facevo il palafreniere, con una mano tenevo la torcia e con l’altra il cavallo. Oggi è impensabile, gli animali non sono più abituati e c’è il rischio che si spaventino. Abbiamo dunque introdotto trentadue palafrenieri che si occupano dei cavalli non montati dai loro padroni».
Questi dettagli relativi alle modalità di rappresentazione delle processioni e dei loro personaggi dimostrano quanto questa tradizione popolare sia profondamente radicata all’interno della città di Mendrisio e dei suoi abitanti, al punto da mutare – ovviamente in misura ridotta, dato che si tratta comunque di un bene culturale immateriale da conservare e tramandare – insieme alla società del Borgo, riflettendone i cambiamenti.