Il Giovedì Santo, come da tradizione, vi sarà la sfilata delle Processioni. Preparativi, aneddoti e retroscena con il regista Rodolfo Bernasconi
Tutto è pronto. Ogni abito è al suo posto, in attesa di essere indossato per catapultare attori e spettatori nell’evocativa rappresentazione delle Processioni del Giovedì Santo – distinte da quelle a carattere religioso del venerdì – che si terranno stasera alle 20.30. Ci siamo fatti raccontare i preparativi, aneddoti e retroscena di questo secolare spettacolo che giunge quest’anno alla seconda edizione sotto l’egida dell’Unesco.
Incontriamo Rodolfo Bernasconi, regista dello spettacolo da oltre 30 anni, all’interno di un gazebo che (volutamente) ricorda i Castrum romani, e a dirla tutta, nella posizione in cui si trova – nel cortile retrostante il Museo d’arte e la Chiesa di San Giovanni – somiglia molto anche alla tenda di Harry Potter nel film ‘Il calice di fuoco’. Piccola a vedersi, ma particolarmente spaziosa al suo interno. Insieme a lui c’è Giovanni Riva, memoria storica, che ci accompagna in un viaggio a ritroso negli anni e tra i numerosi costumi dei personaggi. «È bello vedere che si conservi ancora tutto questo entusiasmo e che si possa mantenere questa tradizione storica». Ed è su questa traccia del regista che inizia la nostra intervista.
«È proprio all’interno di questo gazebo che avvengono le prove – ci illustra Bernasconi –. A gruppi i figuranti cercano i costumi che indosseranno, cercando la taglia che calza. Ed è proprio da qui che ci si prepara al giovedì. Fatta eccezione dei personaggi principali di Cristo e le tre Marie, che si preparano in raccoglimento nella sagrestia di San Giovanni».
Una delle peculiarità di questa raffigurazione della Passione di Cristo, è che non ci sono dialoghi. «Una volta – ci indica Riva – erano i personaggi dei legionari, o ‘scud e lanza’, che si occupavano di fare rumore. Si urtavano di proposito con i rispettivi scudi, per creare un sottofondo». Oggi questa parte è stata eliminata e tocca ai ladroni (destinati a essere crocifissi accanto a Gesù) con le loro catene fare baccano. Come anche ai suonatori di tamburi che scandiscono il passo dei soldati. «Gli unici figuranti che hanno voce sono gli ebrei. Sono coloro che chiesero la morte di Cristo e così viene rappresentato».
Un altro tratto distintivo di questa tradizione mendrisiense è che è uno spettacolo sì silente ma anche in movimento. Infatti, l’intera Processione si svolge su un percorso di quattro chilometri. «Quando ci sono punti in cui non c’è gente ad assistere al passaggio si può tirare il fiato», ci confessa sorridendo.
A percorrere le vie del paese sono 270 figuranti, di cui 37 a cavallo. Il personaggio principale è evidentemente Gesù Cristo, che porta sulle spalle la classica crux immissa. Secondo la consuetudine del luogo, l’identità della persona che interpreta questo ruolo, con il volto coperto da una folta barba e la fronte cinta dalla corona di spine, deve rimanere segreta fino al giorno della rappresentazione. E per questa parte, a differenza delle altre, è necessario essere di Mendrisio e avere tra i 30 e i 40 anni. I candidati vengono estratti a sorte perché le iscrizioni sono spesso numerose, come quest’anno in cui per la prima volta ci si poteva proporre online. «Abbiamo sempre cercato di accontentare tutti – dice il regista –. Chi si iscrive per fare il Cristo ma non ottiene il ruolo rimane comunque tra i possibili candidati per l’anno successivo».
«Un tempo, quando era ancora una società contadina i cavalli lavoravano tutto il giorno e ora della sera erano stanchi, quindi molto più calmi. Ora invece vengono dai maneggi perciò sono cavalli più vispi. C’è chi si è ritrovato con il sedere per terra...». Per questo motivo, «i figuranti a cavallo sono persone già istruite all’equitazione, per forza». C’è stato un periodo, «dopo l’industrializzazione, in cui non c’erano più cavalli a disposizione e si è dovuti andare a prenderli fino in Svizzera interna». E a caval donato non si guarda in bocca.
Fra i personaggi vi sono figure storicamente accertate, sia dai vangeli che da fonti romane, altri invece hanno carattere puramente simbolico. Secondo i testi evangelici alla salita al Calvario parteciparono le tre Marie, ovvero la Madonna (nella Processione mendrisiense solitamente al centro), Maria di Magdala o Maddalena (a sinistra) e Maria di Clopa o di Cleofa (a destra). «Sino alla fine dell’Ottocento – ci racconta Riva – il ruolo delle pie donne era affidato a tre uomini completamente vestiti di nero, con il volto coperto. Poi, ma solo in epoca più recente, queste tre figure venivano interpretate da delle ragazzine, che chiaramente non potevano sembrare delle madri. Ci è voluto del tempo prima che le donne potessero partecipare come figuranti».
«Spesso venivano inseriti dei personaggi con l’intento di far capire alla gente che non era istruita la storia della Passione di Cristo». Ne sono un esempio i Porta emblemi, rappresentati da quattro ragazzini, che portano chiodi e martello per far comprendere in che modo avvenivano le crocifissioni. O ancora «il personaggio Ungino (ul frasca in dialett), un soldato che trascina il Cristo con una corda impugnando un ramo di pesco fiorito che simboleggia la flagellazione». Con gli anni «queste figure sono state mantenute e contribuiscono a rendere unica la versione di Mendrisio».
«Nel 1897 è caduto il primo centenario, e per quest’occasione, un gruppo di cittadini chiese e ottenne dalle autorità il permesso per indire una raccolta fondi per abbellire le Processioni e festeggiare il traguardo raggiunto – ci racconta Riva –. La colletta ebbe grande successo: giunsero offerte anche dall’Argentina e altri paesi». Mentre una parte del ricavato servì per il restauro dei Trasparenti, l’altra parte venne usata per l’acquisto di costumi per la Funziun di Giüdee. «A disegnare gli abiti furono dei costumisti del Teatro alla Scala di Milano, modelli che negli anni sono stati mantenuti in forma di copia». Non resta che assistere per ammirarli.