La decisione di allinearsi alle sanzioni Ue interpreta con coraggio la neutralità e mette in fuorigioco estrema destra ed estrema sinistra
"Fare il gioco dell’aggressore non è compatibile con la nostra neutralità". Sono parole che dimostrano coraggio e lucidità, quelle scelte dal presidente della Confederazione Ignazio Cassis per annunciare l’allineamento alle sanzioni europee contro la Russia. Parole con le quali Berna, per una volta, si scrolla di dosso decenni di se e di ma di fronte agli interessi degli autocrati di mezzo mondo. Parole che hanno la forza dei fatti, a partire dal congelamento degli averi di Vladimir Putin e dei suoi scherani, con una mossa che non vedevamo almeno dai tempi delle guerre jugoslave. Si rinuncia alla confusione pelosa tra la neutralità – che in realtà prescrive solo di non armare le parti in conflitto – e l’opportunismo lubrificato da certe formulette di basso marketing diplomatico, vedi "politica dei buoni uffici".
La scelta del Consiglio federale – dopo qualche giorno d’esitazione – avrà effetti che vanno ben oltre la portata delle sanzioni. Intanto, l’allineamento con l’Unione europea straccia una volta per tutte quell’oleografia che raffigura la Confederazione come un isolotto felice, lontano dai venti della storia e libero, nella sua pace e prosperità, da quell’ordine internazionale che la vede piantata in mezzo all’Europa e sotto la protezione de facto dell’ombrello militare atlantico. Un risveglio che potrebbe tornare utile anche nelle relazioni con Bruxelles, troppo spesso viziate da una cronica mancanza di realismo.
Poi c’è la messa in fuorigioco di tutti quei farisei che impugnano la neutralità come detersivo per lavare più bianco, spesso gli stessi che con il regime del Cremlino hanno flirtato fino all’altro giorno. Basta sfogliare l’ultimo numero della ‘Weltwoche’ per scoprire che secondo Roger Köppel, caporedattore e consigliere nazionale Udc, Putin rappresenta "tradizione, famiglia, patriottismo, guerra, religione, mascolinità e interessi nazionali", un benvenuto baluardo contro "la decadenza dell’Occidente". Certo, l’Udc non molla il suo ruolo di avamposto elvetico nella rete del sovranismo filorusso, tanto che ancora ieri il suo presidente Marco Chiesa cercava di difendere l’indifendibile: "Avrei sicuramente desistito dal prendere delle sanzioni perché oggi ci siamo posizionati e oggettivamente agli occhi della controparte non siamo più credibili", ha spiegato. Come se la credibilità svizzera potesse coincidere col togliersi il cappello davanti al tiranno di turno, con buona pace di tutti i reboanti discorsi sull’orgoglio patrio che ci tocca sentire a certe costinate primagostane (lo stesso ritornello, nella consueta esecuzione più caciarona, si trovava domenica sulla prima del Mattino leghista).
Ecco, la scelta di ieri avrà sicuramente effetti positivi non solo per il suo contributo al destino dell’Ucraina, ma anche perché dice finalmente che il re è nudo, che certe letture della neutralità sono di fatto uno schierarsi col nemico e che "sia invece il vostro parlare sì sì, no no". Una favella che manca anche a una parte della sinistra: quella che pensa, schiava com’è d’un ammuffito antiamericanismo, di poter equiparare le responsabilità della Nato con quelle di Mosca. E ancor più quella di chi – come il Partito comunista ticinese – continua a difendere l’intervento "contro il regime di Kiev per smilitarizzarlo, denazificarlo e fermarne i massacri sui civili" (sic). L’estrema sinistra come l’estrema destra, insomma, in un minuetto che le allontana sempre di più dalla realtà e dalla storia.