Dopo Molina, Côté e Rogger, con Silvano Corti l’indimenticato attaccante numero 22 entra nella Hall of Fame bianconera. ‘Mi ha sorpreso, l’ammetto’
«La Hall of Fame? In italiano la chiamerebbero la sala dei famosi, ma famoso di che?», scherza Silvano Corti, oggi settantacinquenne difensore del Lugano dei tempi della prima promozione in A, all’inizio degli anni Settanta. E che oggi, prima dell’ingaggio d’inizio di Lugano-Zugo, entra a far parte delle leggende celebrate dal club unitamente a un altro indimenticato giocatore dei tempi che furono, quell’Andy Ton che non ha certo bisogno di troppe presentazioni. Alla presenza di due degli altri giocatori già finiti nell’Hall of Fame bianconera, ovvero Bernard Côté e Bruno Rogger (assente, invece, Alfio Molina, reduce da un intervento chirurgico all’anca), Corti e Ton d’ora in poi avranno dedicato uno dei settori della Cornèr Arena. «Non pensavo certo che ciò potesse capitare, visti tutti i giocatori che sono passati dopo di me – aggiunge Corti, che giocò per tredici stagioni nel Lugano, tra il 1964 e il 1979, totalizzando 19 reti e 31 assist in 232 partite –. Per me è motivo di grande orgoglio, e ringrazio la società per questo riconoscimento. Ricordi? Ce ne sono tanti, tanti belli e qualcuno anche meno bello. Come quel paio di stagioni in cui invece di vincere le partite per salire fummo costretti a vincerle per non retrocedere in Prima Lega. E chissà, se fosse capitato, cosa sarebbe del Lugano oggi... Di certo, quello era un altro hockey: lavoravamo fino alle 18 e alle 19 andavamo sul ghiaccio, fin verso alle 21. Eravamo dilettanti (sorride, ndr), in tutti i sensi».
Anche se ne è passato di tempo da quando Andy Ton lasciò il Lugano, dopo 11 stagioni alla Resega, il suo storico primato in bianconero è tutt’ora imbattuto: 461 punti in 462 partite, davanti – per un solo punto – a un’altro personaggio che in Ticino, ma non solo, non ha certo bisogno di presentazioni, ovvero Petteri Nummelin. «Un punto a partita? Non solo volevo sempre vincere, ma volevo anche ottenere almeno un punto ogni sera – racconta l’attaccante numero 22, che in carriera ha vestito anche a 136 riprese la maglia della Nazionale, anche a sei Mondiali e alle Olimpiadi di Albertville del 1992 –. Per me è sempre stato un traguardo, quello. E (ride, ndr) a quanto pare ci sono riuscito. Dico così perché io di conti non ne avevo mai fatti. È stato il Lugano a chiamarmi (nel 2013, ndr), dicendomi che sarei dovuto venire alla Resega perché Petteri stava per battere il mio primato. Invece sono venuto allo stadio per tre o quattro partite di fila, ma quel record non è mai caduto, anche perché se non sbaglio lui durante quei playoff aveva dovuto fare i conti con qualche acciacco. Prima o poi, però, so benissimo che quel record cadrà....».
I ricordi di Andy Ton, però, sono legati anche ad altro. Su tutti, naturalmente, i quattro titoli vinti nel 1986, 1987, 1988 e 1990: «Quella – ricorda – era una grande squadra. Avremmo potuto vincerne cinque di fila, e quella sconfitta con il Berna, ne parlavo giusto l’altra sera, mi sta ancora un po’ qui. Quella è un po’ una macchia. Magari, chissà, eravamo troppo sazi... L’anno dopo, però, ritrovammo la fame (ride, ndr)».
Ora, anche Ton, come Corti, Côté, Molina e Rogger avrà un settore della pista a lui intestato. «Però ammetto di essere rimasto sorpreso per questo riconoscimento, visto che non ho più avuto contatti con la società in questi ultimi vent’anni. Anche perché io questo mondo l’ho lasciato da tempo. Giocare un conto, ma poi... Sapete, io non sono il classico tifoso. Guardo i risultati, seguo le partite in tivù, le seguo tutte, ma allo stadio ci verrò una volta all’anno. Resta il fatto che, come dice Vicky (Mantegazza, ndr), per me Lugano è come una famiglia».