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Yor Milano e la ‘crociata per il dial@’

Una nuova iniziativa dell’istrione per antonomasia e della Tepsi mira a difendere la lingua ticinese. Poi vi spieghiamo anche la chiocciolina

Enfant terrible
(Ti-Press)
8 febbraio 2022
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«Allora Yor, hai passato indenne la pandemia?». «Ma sì, dai, per fortuna è cinese… pensa se era di marca!». Bastano due battute con Yor Milano per capire che questi anni di teatri chiusi e spavento generale non gli hanno fatto perdere il sorriso. Ed è con un sorriso – immaginandoselo magari a cavallo d’un ronzino, stile Brancaleone –, ma anche con stupore che scopriamo l’ultima trovata del comico, attore, regista, cabarettista, insomma animale da palcoscenico, che i suoi ottant’anni e fischia non se li sente proprio: «Una vera e propria crociata, destinata a riunire persone pronte a tutto per il nostro dialetto!».

Oddio, “pronte a tutto”? Dobbiamo preoccuparci?

Decisamente sì! Perché la nostra idea è quella di mobilitare tutti quelli che per il dialetto ci mettono il cuore… o almeno un ventricolo!

Spiegaci un attimo cos’è quest’iniziativa che hai in mente, ‘Nüm ga tegnum al dial@’.

Allora: in una prima fase, i media avviseranno chi ci tiene che potrà recarsi al Municipio del suo comune e firmare una scheda di partecipazione, una sorta di dichiarazione d’amore per il nostro dialetto. Pensa, si è sparsa la voce e c’è già gente che sta andando a firmare, anche se non sono ancora riuscito ad avvertire tutti i Comuni. Comunque devo dire che la disponibilità delle istituzioni è tanta, anche il Consiglio di Stato ha salutato l’iniziativa.

E la seconda fase?

A ciascuno verrà chiesto di arruolare altri dieci ‘pazzi per il dialetto’. Una volta raccolto un numero congruo di firme – diciamo un migliaio per ciascuno dei comuni più grandi – organizzeremo delle grandi kermesse per invitare i firmatari: pomeriggi domenicali di musica, sketch, film doppiati in dialetto. Pensiamo di farne in centri come Chiasso, Mendrisio, Lugano, Locarno, Bellinzona, ma anche Roveredo, Poschiavo, Val Bregaglia. E poi Varese, e anche nella Svizzera interna grazie a Proticino. Sarà un modo per mobilitare sempre più persone in difesa della lingua e far conoscere il lavoro della Tepsi, il Teatro popolare della Svizzera italiana che sta dietro all’iniziativa.

Nella ‘notizia bomba’ che avete inviato alle redazioni parlate di ‘dialetto lombardo’: ma che dialetto parlerete voi?

Quello ‘della ferrovia’, espressione usata in senso peggiorativo da chi non conosce la nostra storia: perché il dialetto della ferrovia non è un’espressione annacquata e semplificata di quelli delle valli, ma un gergo comune portato lungo i binari del cantone dagli operai specializzati, perlopiù del Mendrisiotto. Per questo è così vicino al momò: potremmo dire che le Ffs hanno fatto per il dialetto quel che Dante e Petrarca hanno fatto per l’italiano.

Ma questa ‘crociata per il dialetto’ non ti pare una cosa un po’ nostalgica, di retroguardia? Del tipo ‘Ah, come stavamo bene una volta, signora mia’? O peggio ancora, una roba da ‘prima i nostri’?

Macchè! Amare il dialetto non significa mica guardar sempre dietro alle spalle, neanche alla mia età! Si tratta di una lingua che continua a evolvere: certi nomi di utensili che si usavano un secolo fa non li ricordiamo nemmeno più, ma un sacco di gente dice cose come “spécia ca vèrdi l’internèt”. Finché si parla, la lingua resta viva e ci permette di andare nel futuro senza che sia tutto informe e omogeneizzato, senz’anima. È solo quando un linguaggio si ripudia che inizia a ritirarsi, come un ghiacciaio.

In effetti il dialetto lombardo è censito tra le lingue in pericolo dall’Unesco. Negli ultimi decenni si direbbe che sia stato un po’ snobbato in favore dell’italiano, lingua vista anche come status symbol di una presunta emancipazione culturale. Col rischio, magari, di fermarsi a metà del guado, con in bocca una sorta di italiano sghembo, dialettizzato.

Infatti! Per anni abbiamo sentito dire ai ragazzini ‘non parlare il dialetto, sennò non impari l’italiano’. Invece non è vero niente: se ai figli parli dialetto e fai imparare loro anche l’italiano cresceranno bilingui, come in fondo siamo già noi ticinesi. Ed essere bilingui li aiuterà anche a impararne altre, di lingue.

‘Lingua’, ‘dialetto’: usi questi termini in modo intercambiabile. Senza entrare in questioni di lana caprina, non ci vedi una differenza?

Beh, quella lombarda – che lambisce anche zone del Piemonte e del Veneto, oltre ovviamente alla Svizzera italiana – si può considerare una lingua a sé stante, se pensi che moltissimi termini non sono semplicemente una derivazione o una corruzione dell’italiano o del latino. Altrimenti mi spieghi perché le fragole si chiamano ‘magiostri’? (Secondo alcuni perché compaiono a maggio, ndr). Il bello comunque sono anche questi misteri. Ad esempio: perché a Brissago si parla lo stesso dialetto che si sente in Mesolcina? Per me c’è un tunnel!

Mi pare una spiegazione plausibile. Un’ultima cosa: quel ‘dial@’. Qui giochi con l’inglese, mi pare.

C’hai messo un po’ a capirlo, di’ la verità! ‘Dial@’ perché la chiocciolina in inglese significa ‘at’, presso, che si legge ‘èt’. Perché ‘nüm ga tegnum’, ma non significa che ignoriamo il resto del mondo.

CENTRO DI DIALETTOLOGIA

‘Utile per attivare un legame profondo’

«Iniziative come quella di Yor Milano dimostrano che c’è ancora un forte legame della popolazione col dialetto. Certo, in questa fase del suo ciclo stiamo affrontando il problema della trasmissione da una generazione a quella seguente, però il successo di molti spettacoli, serate, eventi legati al dialetto – che riescono ad attrarre persone di ogni età – testimonia come questo ‘attivi’ ancora una significativa identificazione culturale». Parole di Paolo Ostinelli, direttore del Centro di dialettologia e di etnografia ticinese.

Ed è proprio il Centro a organizzare serate e pubblicazioni tese a ‘popolarizzare’ il suo intenso lavoro di ricerca linguistica e storico-etnografica, lo stesso che alimenta progetti di altissimo profilo quali il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, il Lessico dialettale, la collana delle Voci, il Repertorio italiano-dialetti e i Documenti orali, insieme a numerosi saggi. «Ogni volta che organizziamo incontri con la popolazione – ultimamente, purtroppo, rallentati dalla pandemia – troviamo interesse e calore. Molti dialettofoni di ogni generazione partecipano anche al progetto di un repertorio toponomastico, aiutandoci a recuperare gli antichi nomi di molte località. Nel frattempo il dialetto continua a evolvere, le sue stratificazioni partono da radici prelatine ma da decenni accolgono il francese, il tedesco o l’inglese, eredità della stagione migratoria ticinese» (come nel ‘sanababicc’ – da ‘son of a bitch’ – che usano certi biaschesi per designare un mascalzone, ndr). Per Ostinelli, insomma, il cuore del dialetto continua a battere: «Abbiamo ancora a che fare con qualcosa di vivo e vissuto».