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Danilo Boggini Septet con Flavio Boltro: buona la terza

Di stelle del jazz, pubblico ritrovato e strumenti musicali col fisarmonicista ticinese, aspettando il concerto del 26 novembre a Bellinzona

‘Se tu dovessi fare un disco con un trombettista, chi chiameresti?’ (foto: Matteo Ceschi)
10 novembre 2021
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Agli appassionati di statistica, o a quelli di aneddoti musicali, potrebbe risultare utile sapere che negli ultimi tempi, in ambiti prettamente teatrali, Danilo Boggini si è conteso con l’amico Igor Horvat il record di rinvii causa Covid; il risultato di questo confronto a distanza non voluto e non cercato è uno spettacolare (eufemismo) due a due. Al terzo tentativo, così come sarà per ‘La bottega del caffè’, il Teatro Sociale di Bellinzona ospiterà finalmente il Danilo Boggini Septet con Flavio Boltro, una delle eccellenze internazionali della tromba, per un concerto visto a JazzAscona in epoca pre-pandemica e poi finito in stand by come tutto il resto. Venerdì 26 novembre alle 20.45, con Boggini (fisarmonica) e Boltro a presentare l’album ‘Fil rouge’ – testimonianza dell’incontro tra il ticinese e il torinese uscita per l’etichetta altrisuoni – saranno Tullio Ricci (sassofoni), Danilo Moccia (trombone), Michael Fleiner (pianoforte), Marco Ricci (contrabbasso) e Mauro Pesenti (batteria), tutti presenti nelle 9 tracce dell’album, più Alessio Canino (tromba, in luogo di Daniele Moretto, solo su disco così come Marco Conti, basso elettrico).

Finestrelle

(Settembre 2017) “Se tu dovessi fare un disco con un trombettista, chi chiameresti?”, chiede la signora Boggini; “Forse Clifford Brown, o Lee Morgan”, risponde il marito; “Ma no, uno vivo!”, rilancia la moglie. Ed ecco che per il regalo dei cinquant’anni del fisarmonicista, da una delle finestrelle di una sorta di cartellone dell’avvento esce Flavio Boltro, insieme a 2 arrangiatori, 8 musicisti, uno studio di registrazione, un fotografo e un grafico. «Ricordo che mi chiese se lo conoscessi e io le risposi che Boltro era stato uno dei punti di riferimento della mia gioventù, uno con la marcia in più. Ma non avevo capito che dietro ci fosse questa sorpresa». La sorpresa di un disco che doveva essere solo suonato e registrato. Con tanto di stella internazionale e un brano già arrangiato, ‘Here Comes The Sun’. Pensato sin da settembre, ‘Fil rouge’ nasce così tra marzo e aprile del 2018, con quattro arrangiamenti, due a testa per Fleiner e Luca Missiti (colui che si è calato su Harrison) e il resto di Boggini. «Abbiamo atteso Boltro pensando a lui, che suona in modo vigoroso, esplosivo, dunque cercando di andare in quella direzione. Abbiamo pensato a lui e alla sezione fiati, per una convivenza con la fisarmonica di cui non ho traccia nei miei ascolti».

Da pensare c’era anche cosa affiancare alla preesistente ‘Here Comes The Sun’: «Ho scelto d’isolare alcuni caposaldi della mia ispirazione musicale», dice Boggini, che quei punti fermi li ha messi a specchio, partendo dal new musette di ‘Ca du Gress’ e ‘Le magicien’ (tracce 1 e 9), passando per ‘Peppino’ e ‘Pirandello Pipistrello’, da lui pensati con Ferruccio Cainero e latinamente arrangiati da Fleiner (tracce 2 e 8); e poi ‘Here Comes The Sun’ che si è portato in scia ‘Walk On By’ (tracce 3 e 7), un classico di Bacharach sul quale, per l’assolo, «ho chiesto a Boltro di portarmi in un club degli anni Settanta, e così ha fatto». Andando più verso il centro (tracce 4 e 6), il jazz ascoltato da ragazzo, ‘Folk Song’ di Chick Corea e ‘Question & Answer’ di Pat Metheny, dall’omonimo album del 1991, «ma scoprii quel pezzo su ‘Like Minds’», 1998: in copertina i cognomi Burton, Corea, Haynes, Holland. E Metheny, che apre all’aneddoto: «Tempo fa mi organizzarono una jam session con Gil Goldstein (pianista e fisarmonicista statunitense tre volte Grammy, con profonde radici in Ticino, ndr); parlammo di jazz e il discorso cadde su Metheny, del quale ricordai il suo primo disco, ‘Bright Size Life’ con Pastorius al basso, rievocando come, dopo la fase elettronica, tornai ad amarlo con ‘Trio 99-00’. Gil mi guardò e sorridendo mi disse che quel disco l’aveva prodotto lui».

Tornando a Bellinzona, tornando a Boltro. «Vederlo lavorare in studio è stato impressionante. Quelli che vanno veloci sono tanti, quelli che invece hanno esplosività e fantasia sono molti meno». Sintesi del trombettista davanti ai microfoni di Marco Conti, alla ricerca del suono in un primo assolo già da ‘buona la prima’ e ben oltre le disposizioni manageriali che gl’imponevano tre pezzi e invece i pezzi sono diventati cinque. «Cosa non scontata per uno dal curriculum straordinario, che ha suonato con Freddie Hubbard o Wynton Marsalis, che l’ha definito uno dei cinque migliori trombettisti al mondo su Downbeat (fondamentale rivista del jazz, ndr), uno dei primi europei a incidere per la mitica Blue Note, uno che ha suonato con Petrucciani nel sestetto con Steve Gadd, Anthony Jackson, Bob Brookemeyer…».

Mascherine

Del pianista francese, il fiume in piena Boggini cita ‘Both Worlds’, anno 1997, prima che la chiacchierata prenda la strada del futuro. «Dopo la chiusura, i concerti sono stati tanti e ho sempre visto entusiasmo nel pubblico. È qualcosa che conforta». Parecchi concerti sono stati legati, e ancora lo saranno, all’Hot Club de Suisse, progetto manouche che presto avrà un suo album di riferimento, con Marco Ricci al contrabbasso, Daniele Gregolin alla chitarra manouche («uno che a Parigi coi manouche ci ha anche vissuto») e il violinista Anton Jablokov, slovacco-bellinzonese conosciuto due anni fa alle prove dello spettacolo ‘La città’, di e con Gianluca Grossi, con attori/attrici Anaì Traversi e Max Zampetti e tre musicisti: Boggini, Claude Hauri e, appunto, Jablokov.

Abbiamo soddisfatto gli statistici, chiudiamo provando a fare lo stesso con gli appassionati di strumenti. Al Sociale, Boggini sfoggerà una fisarmonica nuova, una Ranco attesa per tutto il lockdown, pensata insieme al nuovo titolare della storica ditta del Vercellese (di cui Boggini è dimostratore e collaudatore da oltre 15 anni), Roberto Farina, una ‘Danilo Boggini’ «con il marchio intagliato da Peppino Ranco, che ci ha lasciati due anni fa. Nei magazzini, Roberto ha trovato ciò che Peppino nemmeno sapeva più di avere: mascherine realizzate ottant’anni fa dal padre Antonio, oggi introvabili e non più riproducibili». Mascherine non chirurgiche ma metalliche, «materiale che si usava nelle vecchie fisarmoniche, poi caduto in disuso. Quel metallo, invece, convoglia il suono, esalta certi armonici, ne tarpa altri e ti dà un suono assolutamente vivo, capace di distinguersi in un panorama in cui le fisarmoniche diventano anch’esse sempre più omologate» (seguono 12 minuti di lezione sulla fisarmonica qui non riportabili per mere questioni di spazio, ma – garantiamo – decisamente affascinanti). www.daniloboggini.ch


Danilo Boggini (foto: Antonello Ambrosio)