Il pasticcere emigrato, rientrato e poi ancora ripartito, nel racconto della figlia Maria Tuth da Montevideo. “In centro aprimmo la Confiteria Locarno”
Fuori i fazzoletti perché questa è una bella storia di emigrazione dal Ticino all’Uruguay andata, ritorno e di nuovo andata. Una storia fatta di fatiche, talento, integrazione e attaccamento alla terra d’origine. Lo testimonia, fra gli altri, un dettaglio emozionante: l’esistenza, a Montevideo, di una “Confiteria Locarno”.
A raccontarla è Maria Tuth, nata a Locarno nel ’39, vissuta in Ticino fino ai 9 anni e poi emigrata nella capitale dell’Uruguay. Il suo racconto è stato premiato da Pro Ticino lo scorso mese nell’ambito di un concorso riservato agli emigrati, poi pubblicato dal bollettino della Società patriottica liberale ticinese di Montevideo e segnalato alla ‘Regione’ da Francesco Magistra, emigrato anch’egli in Uruguay, da Muralto, alcuni anni fa.
«Mio padre era argoviese e gli piaceva conoscere il mondo – ricorda Maria Tuth, per gli amici Mariuccia –. Era specializzato in pasticceria e, quando sono nata, lui aveva già fatto provare le sue leccornie in parecchi Paesi dell’America del Sud, tra i quali l’Uruguay». I rimpatri in Svizzera erano piuttosto frequenti e servivano per ritrovarsi con la famiglia e condividere le creazioni di pasticceria: «C’era anche arte nelle sue preparazioni, specialmente nella decorazione delle torte, che erano dei capolavori». Fu a Brissago che il papà pasticcere incontrò la donna della sua vita: «Si sposarono e con lei decise di ritornare in Uruguay. Si stabilirono a Piriapolis, un villaggio turistico sulla costa del Rio de la Plata, un estuario “grande come il mare”. In quel luogo si può godere della spiaggia e delle colline che lo circondano. Queste colline sono tra le poche che ci sono in un Paese dove predominano le pianure».
A Piriapolis, continua Mariuccia, «si trova l’Hotel Argentino, un albergo “cinque stelle”, inaugurato nel 1930, dove c’era anche un Casinò e dove si potevano fare delle cure per il benessere». Un grande albergo che «ancora oggi è un simbolo del villaggio e conserva tutte le caratteristiche proposte dal suo fondatore, Francisco Piria, un imprenditore visionario che voleva dare alla struttura il livello dei centri turistici europei». Fu proprio nella cucina dell’Argentino che il padre di Maria andò a lavorare quando giunse in Uruguay dal Ticino: «Nei corridoi si possono trovare fotografie esposte a ricordare quell’epoca, e si può vedere mio padre mentre sta lavorando con i colleghi emigranti che esibiscono con orgoglio le sue creazioni».
Ma nulla è definitivo, così dopo qualche anno i genitori di Maria Tuth decisero di tornare in Ticino per stabilirsi ad Ascona, e lì aprire un negozio di alimentari. Poi nacquero Maria e suo fratello, ma le scorie della Seconda guerra mondiale spinsero la famiglia a prendere un’altra decisione importante: ripartire. Successe nel 1950: «Quando già andavamo a scuola, mio padre decise di ritornare, ancora una volta, in Uruguay, e ciò a causa delle difficoltà economiche dell’epoca lasciate dalla guerra in Europa». Uruguay che a quel tempo era visto «come una nazione prospera e attraente per gli emigranti. Era chiamato “la Svizzera d’America”. Per mio fratello e per me quel cambio significò staccarci da cugini, nonni, amici e dal nostro Ticino. Per il babbo e la mamma, benché si allontanassero ancora una volta dalla loro famiglia, era invece un ritrovarsi con gli amici che avevano lasciato tempo addietro in America». E riaffiora qui un ricordo particolare, nel bel racconto di Maria Tuth: «Quando arrivammo a Montevideo c’era un gran fervore; gli abitanti, per le strade, festeggiavano una vittoria». Era quella, epocale, della Nazionale di calcio, che il 16 luglio al Maracanà di Rio, contro ogni pronostico, aveva sconfitto 2-1 il Brasile nella finale della Coppa del mondo. L’evento sarebbe passato alla storia come “il Maracanazo”. «Quella – sorride Maria – fu l’accoglienza che ci riservò Montevideo!».
La famiglia ri-emigrata si stabilì in centro città e la prospettiva non poteva che essere una sola: aprire una pasticceria, ma che celebrasse le radici: «La chiamarono “Confiteria Locarno”. Avevamo la reputazione della pasticceria svizzera, i clienti arrivavano da tutte le parti della città». Dal punto di vista di Anna e del fratello, diventò luogo di aggregazione: «I bambini che abitavano nei dintorni s’avvicinavano con curiosità per conoscerci. In poco tempo facemmo molte amicizie e senza troppe difficoltà incominciammo anche a parlare lo spagnolo».
Fu allora che Maria conobbe la Società Ticinese, fondata nell’anno 1878 a Montevideo: «Ricordo che era commovente quando andavamo alle riunioni della Società per festeggiare la nostra Patria. Società che adesso continua a salvaguardare i tesori artistici lasciati dai fondatori e ha invitato me e mio marito a far parte del Consiglio di amministrazione».
Un altro capitolo a cavallo fra Uruguay e Ticino, non privo di tristezza, lascia in Maria un sentimento di grande orgoglio. Si apre all’inizio degli anni 70, quando dal germoglio della famiglia originaria ne nasce un’altra: è quella formata da Maria, che sposa un uruguayano e, nel ’74, mette al mondo Juan Pablo. «Fin da adolescente nostro figlio iniziò ad amare profondamente il cinema e capì che era ciò che voleva studiare. Infatti, nel 2000, all’Università Cattolica dell’Uruguay ha ottenuto la laurea in Scienze della comunicazione». Fu la scintilla di una – purtroppo breve – carriera di successo. Juan Carlos Rebella si distinse a livello internazionale con un film, “Whisky”, ambientato proprio all’Hotel Argentino di Piriapolis.
«Prima, con i compagni di studio, Juan Pablo realizzò “25 Watts”, che nel 2001 ricevette il Tiger Award al Festival di Rotterdam e fu premiato pure in parecchi altri festival. Con lo stesso gruppo di amici, ma grazie ad appoggi più importanti, intraprese in seguito un nuovo progetto». “Whisky” appunto, portato sul grande schermo nel 2004, premiato a Cannes nella sezione “Un Certain Regard” e al Sundance Film Festival per l’America Latina, nonché invitato, fuori concorso, al Festival del film della “sua” Locarno.
Juan Carlos Rebella è purtroppo prematuramente scomparso nel 2006 a Montevideo. Ma rimane, fra i molti altri, un segno indelebile “di cuore”: il vecchio albergo sul Rio de la Plata: «Fu ispirazione per la sua arte, come lo fu per suo nonno quando lavorava nella cucina dell’Hotel 75 anni prima».