Un’indagine sulle affinità tra i due, di e con Margherita Saltamacchia e Anahì Traversi, in scena mercoledì 20 ottobre alle 20.45, in prima assoluta
Svizzera e Sicilia. A parte l’iniziale, l’accostamento non produce esattamente attinenze come pizza e pummarola o come orologi e cioccolato. Allo stesso modo, se non guardato più in profondità, l’accostamento tra Friedrich Dürrenmatt e Leonardo Sciascia sembrerebbe non andare oltre i cent’anni dalla nascita di entrambi, divisi all’anagrafe da sole 36 ore (l’italiano, 8 gennaio 1921, è più giovane di tre giorni) e mai incontratisi in vita. Succede però che Madeleine Betschart, direttrice del Centre Dürrenmatt Neuchâtel – per quarant’anni casa dello scrittore, drammaturgo e pittore svizzero – trova nella libreria del fu proprietario una copia di ‘Todo Modo’, opera di Sciascia tanto ardita che il relativo film in Italia fu inviato fisicamente al rogo dall’Inquisizione (o ‘Censura’), opera tanto ardita da compromettere la grandezza del regista due volte candidato all’Oscar Elio Petri. Più note, invece, le simpatie espresse da Sciascia nei confronti di Dürrenmatt, e cioè il frontespizio dell’ultimo libro ‘Una storia semplice’ e un’intervista in cui si dice che l’ammirazione per lo svizzero arriva subito dopo quella per Borges.
Tornando a Neuchâtel: «Lavoriamo con il Centro da circa un anno a questo progetto – ci spiega Sonja Riva, giornalista e autrice – nato dalle molte coincidenze che legano i due. Abbiamo cercato di capire come si potesse dar vita a un’iniziativa che vertesse sulle possibili visioni comuni tra due grandi intellettuali confrontatisi su piani molto simili, l’etica, la giustizia, il caso, il senso di colpa, l’impegno civile, e sulla capacità di essere entrambi uomini di cultura impegnati socialmente». Da qui «un progetto a cavallo tra Svizzera e Italia per riflettere sulle similitudini», in una rete di consolati, ambasciate, istituti: «Siamo partiti il primo ottobre dal Festival del Giallo di Treviso, la seconda tappa sarà il prossimo 24 ottobre a Neuchâtel. Iniziamo dalle testimonianze con Donata Berra, storica traduttrice di Dürrenmatt, e Francesco Izzo, colui che ha ideato e fondato l’associazione Amici di Sciascia, presidente operativo del comitato per i festeggiamenti del Centenario sciasciano presieduto da Emma Bonino e soprattutto frequentatore di Sciascia negli ultimi anni di vita. Nella primavera 2022 ci divideremo tra Lugano e Bellinzona, Milano e Roma, e la Sicilia, in altre modalità».
Leonardo Sciascia (© Fondazione Sciascia Racalmuto - Fabrizio Catalano)
È in tutto questo, da un’idea di Riva, che va a inserirsi ‘Mein Fritz, il mio Leo’, indagine di e con Margherita Saltamacchia e Anahì Traversi, una produzione Teatro Sociale Bellinzona con la collaborazione del suddetto Centro. Una scrivania, un tappeto, «una sorta d’investigation board zeppo d’immagini, frammenti, libri» lo chiama Saltamacchia, per un’ambientazione dal rimando giallistico che lega Dürrenmatt e Sciascia con al centro – altro non è dato sapere – una lavagna luminosa, «oggetto anni Novanta che fa luce in tutti i sensi». E a fare suono, un riproduttore a cassetta dell’era analogica.
Traversi: «Non abbiamo l’ambizione di fare luce sui frammenti, di verificarne le corrispondenze, ed è qualcosa che mettiamo subito in chiaro. Abbiamo ricevuto da Sonja documenti assai eterogenei. L’idea non era quella di lavorare sul confronto letterario, al quale penseranno i tanti studiosi durante le molte occasioni previste, quanto portare in scena qualcosa di non accademico. Ci siamo trovate a giugno con molto materiale audio e video, reso ancor più consistente dal fatto che Sciascia è stato legato al Ticino per questione di premi ricevuti». Saltamacchia: «Ci siamo chieste come avremmo potuto ordinare questa ‘bomba’ d’informazioni e abbiamo deciso molto semplicemente di trasporre sulla scena la situazione nella quale ci eravamo ritrovate». Traversi: «E con tanto materiale a disposizione, ci siamo concesse alcune libere associazioni, anche necessarie». Ancora Saltamacchia: «Potrebbe sembrare una forzatura mettere a confronto due scrittori così lontani anche geograficamente, eppure grazie a questo doppio centenario e questo apparentemente arduo accostamento, abbiamo potuto scoprire affinità e analogie anche divertenti. E questa ironia, in alcuni punti, proviamo a giocarcela, vedi il discorso di Dürrenmatt a Vaclav Havel negli anni Novanta (la Svizzera paragonata a un carcere e gli Svizzeri ai carcerieri di sé stessi, riassunta in una manciata di limitate parole, ndr), ironia tagliente che accomunava anche Sciascia».
Friedrich Dürrenmatt (per gentile concessione del Centre Dürrenmatt di Neuchatel)
A cosa assisterà il pubblico del Sociale, dal punto di vista teatrale? Traversi: «‘Teatrale’ si presta a fraintendimenti. Può significare qualcosa di scritto, d’improvvisato o d’installativo, che è quel che ci riguarda in questo caso. Non c’è una drammaturgia, non c’è un Leo e non c’è un Fritz, soluzione che, in quanto noi donne, sarebbe stata sufficientemente bugiarda». Saltamacchia: «Non siamo lui e l’altro, diamo anzi voce a tante donne, perché entrambi gli autori hanno in comune case popolate da tante donne. Dürrenmatt ha avuto due mogli, Sascia una moglie e tre figlie, la figura femminile li accomuna entrambi». Traversi: «Le mogli di Dürrenmatt erano le sue correttrici di bozze, ex attrici che avevano abbandonato la propria carriera teatrale per diventare le prime lettrici del marito, in qualche modo negandosi. Descriviamo proprio le dinamiche di questo lavoro, in base ai racconti delle figlie che riportano le assenze dei padri, o le difficoltà di capirne esattamente il lavoro».
Detto fuori dai denti: «Una lettura a due leggii con il violoncellista alle spalle – chiude Traversi – non appartiene né a Dürrenmatt né a Sciascia e sarebbe stato limitante per la loro storia. E poi veniamo da un anno e mezzo di difficoltà nel fare questo lavoro, un tempo durante il quale ci siamo poste mille domande su cosa sia andare a teatro, cosa sia necessario fare, e ci siamo dette di essere pronte ad altre modalità, altre forme, compreso un approccio più vivo, più performativo». È il caso di ‘Mein Fritz, il mio Leo’, «restituire, vere o presunte che siano, affinità e diversità, affinché non sia un gioco riduttivo», chiude Saltamacchia. «Io credo che se Fritz e Leo fossero in sala si divertirebbero».